31 marzo 2006

ANIMALI STRANI. Più inquietanti gli incroci, le specie sconosciute o i parassiti?

Jaculus. mitologico  ZOOLOGIA. Come vivono i più originali dei nostri «cugini» animali? Ecco le loro bizzarrie che ci affascinano e terrorizzano allo stesso tempo.

ANIMALI CURIOSI,

RARI E MISTERIOSI

Nel regno animale il bizzarro è spesso la regola. Talvolta, però, vi si accompagna l'orrido, il tenebroso, il ripugnante. Le leggi della natura non hanno pietà, e impongono comportamenti che sfidano ogni fantasia. Nasce da qui, forse, il lato ambiguo e «oscuro» del fascino che il mondo animale esercita sull'uomo.

NICO VALERIO, Scienza 2000, novembre 1984

Jaculus jaculus Egitto Africa Il «tigone» non è un bel nome per un animale appena creato, però ‑ dicono ‑ è un bell'esemplare, veloce e resistente: un ibrido mostruoso e infecondo tra la tigre e il leone, realizzato nei laboratori di quei nuovi Frankestein che sono gli zoologi genetisti. E la «ligre»? Come non scorgervi i segni inconfondibili della tigre e della lince? La «geep», almeno (da goat, capra, e sheep, pecora), servirà a dare più latte, sperano all'Istituto di fisiologia animale dell'Università di Cambridge, in Gran Bretagna, i realizzatori del fausto connubio in provetta. Per un siffatto capolavoro di biotecnologia (lana abbondante e un'indefinibile sguardo ovino) il materiale genetico è stato prodotto da ovuli fecondati di entrambe le specie. Ma sarà più «goat» o più «sheep»? Ah, saperlo! E' una questione, evidentemente, di lana caprina.

Ligre (leone M x tigre F) Più pratici, forse, sono gli intendimenti dell'alpinista Ardito Desio, che a Lanzada, in Val Malenco (Sondrio), ha prodotto un nuovo bovide incrociando un lanoso e resistente yak tibetano con una vacca di razza bruno-alpina. L'esperimento è stato già tentato con successo nelle valli basse hymalaiane ed ha dato vita al dzo, ruminante più adatto alle modeste altitudini.

Tigone, leonessa più tigre maschio Insomma, con gli animali si scherza e si sperimenta a cuor leggero, ma in realtà, dopo 900 mila anni di convivenza con vermi e rettili, mammiferi e uccelli, pesci e insetti, l'Homo sapiens sapiens – nonostante il naturismo e le leghe zoofile ‑ guarda purtroppo con immutata apprensione, se non con ribrezzo e talora con paura, ai suoi lontani parenti. E' strano, ma è così; almeno a voler dare importanza alla sorpresa, all'interesse morboso o al raccapriccio con cui l'opinione pubblica segue le imprese animali, anche le meno bizzarre. Anzi, più il comportamento degli animali ci appare «logico», «intelligente» e quasi umano, più rabbrividiamo di inquietudine. Il terrore; spesso mascherato da ribrezzo, è un residuo dell'antica concorrenza e del bisogno vitale di differenziarsi sempre più dai nostri «simili». La controprova? Il nostro rapporto emotivo con platelminti, nematelminti e rettili, per esempio, ovverossia con tutto ciò che striscia. E il fascino che emanano i delfini, le balene, le aquile e i grandi felini; e l' inquietudine con cui seguiamo l'identificazione delle misteriose, nuove specie appena scoperte.

thylacine___recolored_by_classicalguy-d5fv43z Più di un milione di specie animali, per lo più insetti, ma anche animali superiori, ci sono del tutto sconosciute e vivono da «clandestine» nel folto delle foreste, nel buio degli oceani, nelle savane. Qualcosa ogni tanto trapela sugli strani animali appena scoperti: rane nere, bruchi che sembrano di zucchero filato, pipistrelli mostruosi, serpenti di lunghezza e colori inusitati. Un Eden arcaico, come quello conservatosi intatto sul monte Neblina, tra Venezuela, Colombia e Brasile, che è stato trovato di recente.

Ogni anno le scoperte sono migliaia, come registra lo Zoological Record, e spesso non occorre neanche andare troppo lontano. Il Longitarsus noricus, un coleottero, è stato scoperto dallo zoologo Carlo Leonardi «dietro casa», a Brugherio Novarese. Crostacei mai visti prima e meravigliosi uccelli policromi, ma anche strani topi, insetti e pesci mostruosi, escono fuori dalle reti o dalle trappole dei ricercatori allibiti.

Longitarsus-noricus scoperto anni 80 Italia Sùbito lo scienziato scopritore, dopo l'identificazione, si affanna per dare un nome scientifico alla nuova specie scoperta. E' per tradizione un suo diritto. Ed è questo il momento che lo ripaga di tante fatiche. Ebbro di potere, pur sapendo che il "suo" nome resterà per la fine dei secoli (o forse proprio per questo), lo zoologo brancola nel buio: che nome dare al nuovo insetto, al nuovo vermetto?

Ed è così, in una comprensibile fase euforica, che lo scienziato folleggia e si diverte goliardicamente con le denominazioni più strane e addirittura ridicole. Ecco la ragione di una Minckia peregrina, cioè in latino e dialetto meridionale, un fallo vagante(coleottero crisomelide diffuso tra Toscana e il Monte Pellegrino); di una Merethrix deflorata che altro non è se non una ovvietà, come dire "prostituta sverginata", di una Natica millepunctata, di un Cyprecassis testiculus o di un Pitar lupanarius, tutti molluschi marini.

Geep o Shot (capra x pecora) Vicino a Vercelli è stato  scoperto un nuovo imenottero del genere «Pamphilius», mentre in Sud‑America sono apparse falene di 8 cm con pelo rosa shocking, gigantesche tarantole, rane dal naso appuntito. Peccato che le relazioni degli scienziati siano pubblicate soltanto dopo anni dalla scoperta, per una vecchia abitudine.

Geep o shot (sheep x goat, capra-pecora) Intanto, in Tasmania, una missione italiana condotta da Luigi Boitani, celebre esperto di lupi, ha fatto la posta al misteriosissimo tilacino, uno strano animale con la testa di lupo, il corpo di un dingo e il marsupio d'un canguro, mancandolo, è il caso di dirlo, «per un pelo». Un esemplare abbattuto da un cacciatore era stato del tutto ripulito dai predatori: erano rimasti solo dei ciuffi di pelliccia. Così ci si deve accontentare di scoprire gli strani usi del castorino o nutria, un pelosissimo e un po' ributtante grosso topo di nove chili di peso, 65 cm di lunghezza, più una coda di 30 cm, che ormai è sfuggito agli allevamenti commerciali e vive comodamente nei fiumi, nei canali di scarico e nei laghetti delle nostre città, accanto al bel fistione turco, un'anatra tuffatrice, e al pendolino, un piccolo uccello che si costruisce una sacca‑nido appesa agli alberi acquatici.

Cricetomis gambianus ratto edule Africa Ma da quando i bellissimi colubri d'Esculapio e la sgargiante Elaphe situla, serpenti innocui per l'uomo ma capaci di causare sempre un certo scompiglio, hanno messo il naso nella casetta in Sardegna o nella Biblioteca Marcelliana di Firenze, oppure al Colosseo, la gente si è abituata ai sapori forti e va in cerca di nuove emozioni. Del resto, ben altri sono gli animali il cui abbraccio può rivelarsi letale.

Nel Sud-Pacifico, davanti all'isola neozelandese di Kiribati, poche settimane fa delle mostruose piovre giganti di 20 m di lunghezza e del presumibile peso di 6 quintali, hanno ghermito e trascinato nel fondo, con i loro tentacoli, due pescatori. Né Jules Verne, né il Victor Hugo dei «Travailleurs de la mer» avrebbero potuto immaginare scene più terrificanti. In realtà si trattava di mastodontici molluschi decapodi (sottordine: teutoidei), simili ad enormi calamari. Ma non mancano i giganteschi polpi (octopus) che abitualmente si divertono con simili tiri mancini.

Ora ci si è messo anche il cinema. Dopo storie agghiaccianti di uccelli crudeli, serpenti e insetti giganti, è il momento («Wild Beasts») dei ratti impazziti per aver bevuto acqua inquinata da compostí organici clorurati. Inutile dire che la massa pullulante di roditori spolperà in pochi attimi gli umani che dormono ignari nei loro letti. E nella realtà?

Il terribile rattus norvegicus e il ratto nero non prendono lezioni di voracità da nessun animale cinematografico. Lunghi 20‑40 cm, più una coda di 25 cm, abili nuotatori nelle fogne cittadine, i grossi ratti hanno non di rado sorpreso di notte nella culla e aggredito teneri lattanti, che hanno scarnificato crudelmente nel volto. Luoghi elettivi? I «bassi» di Napoli, i «carrugi» di Genova, i magazzini di Venezia e le cantine abitate di Palermo. Se la vittima sopravvive per le ferite, soccombe per le gravi infezioni virali.

Eppure il topo può rivelarsi, per chi se ne intende, una vera prelibatezza gastronomica. Come il mostruoso ratto gigante (Cricetomys gambianus) che vive in Africa: i buongustai locali lo cacciano per gustarne le carni arrosto.

E i vampiri? L'aggressivo «vampiro della lancia» (Phyllostomus hastatus) è carnivoro e deliberatamente attacca l'uomo a morsi, anche se non è infastidito. Molti di questi fastidiosi succhiatori di sangue o ematofagi praticano la trofallassi, quella che il socio-biologo prof. Wilson ha definito lo «scambio di cibo liquido per rigurgito tra i membri di una colonia». I vampiri dei Sud-America (Desmodus rotundus) si nutrono di sangue bovino, equino, ma anche umano all'occorrenza. Si avvicinano silenziosi e con gli incisivi provocano la fuoriuscita del prezioso liquido che poi leccano. Le vittime, ferite ripetutamente si indeboliscono sempre più.

Costumi un po' agghiaccianti, è vero; però «altruisti». Se un vampiro non ce l'ha fatta a rimpinzarsi di sangue, può chiedere ad un compagno più abile un po' del suo bottino. Quello ‑ oh, bontà dei vampiri ‑ non si fa pregare e glielo rigurgita in bocca. Ora, poi, perfino gli uccellini più innocenti, i fringuelli, si son messi a succhiar sangue al prossimo. Nell'isola di Wenman, nell'arcipelago delle Galapagos, un fringuello locale (Geospiza difficilis) ha appreso da qualche anno a sottrarre alle grandi sule (Sula sula e S. dactylactra), due grossi uccelli marini simili a pellicani, non solo gli insetti ma anche un po' di sangue. Un esserino di 15 cm che anemizza un gigante alato di un metro. A quando la «rivolta vampiresca» del canarino di casa?

Nel luglio scorso, in Italia, due villaggi del Novares, Ronco e Pella, furono invasi all'improvviso da una ributtante coltre verminosa di milioni di bruchi pelosissimi e urticanti di color rosso mattone, lunghi 5 cm e voracissimi: in pochi giorni un intero bosco fu distrutto. Il rumore prodotto dalle mandibole delle larve (si trattava della terribile Lymantria dispar, combattuta anche in America) era simile al crepitio della pioggia battente. Chi si azzardava a toccare un bruco subiva irritazioni alla pelle. Anche da morti colpiscono: il pelo si distacca e provoca allergie asmatiche. La velocità dell'evoluzione in farfalle è tale che spesso non c'è tempo per intervenire con i ferormoni sessuali per catturare i maschi. Anche quello fu un classico caso di scompenso ecologico causato dall'inquinamento.

Così è meglio utilizzare le antipatie tra insetti, la cosiddetta «lotta biologica», per neutralizzare larve, farfalle e coleotteri defolianti, veri killer di piante e germogli, come la tingide del platano (Corythuca ciliata) o la Dacus oleae dell'olivo. Pochi sanno che cimici delle piante, afidi, bruchi, mosche bianche, lumache, ragnetti rossi, rodilegni, cocciniglie ecc., distruttori voraci di piante, sono messi a tacere da mantidi religiose, lucciole, crisopi, formicaleoni, coccinelle ecc.

La fastidiosa zanzara, o meglio la sua larva presente nelle vasche o nelle pozzanghere, è un cibo appetitoso per la libellula. Anche un pesciolino di 7 cm, la Cyno1ebias bellottii, che vive nelle paludi del Brasile e dell'Argentina, ce l'ha a morte con le zanzare. Ingoia più di 50 larve al giorno e per di più si riproduce rapidamente. La femmina, dopo un mese di vita, depone 300 uova alla settimana. Come sostiene Ernest Bay, dell'Università di California, con 70 mila cinolebie per ettaro, risaie, stagni e paludi verrebbero rese immuni da questi insetti ematofagi.

Ma la nuova "zanzara tigre" (Aedes albopictus) che di recente ha invaso l'Italia attacca l'uomo in modo diretto, incessante e addirittura di giorno. Per non essere avvistata, vola in basso, penetrando nelle case dai giardini nelle cui pozzanghere ha deposto le uova. La sua puntura provoca ponfi visibili per molti giorni e perfino cicatrici e conseguenze ancora più gravi (p.es. può trasmettere virus come la febbre del Nilo, la febbre gialla, l'encefalite di St. Louis, il dengue, la dirofilariasi e la chikungunya) [ha causato la prima e unica epidemia di chikungunya in Europa: in Italia, provincia di Ravenna, nell’estate del 2007]. Inoltre abbiamo la Culex pipiens, che punge in casa di notte, è comune in Italia la C. hortensis, che ci trafigge nei giardini, la Aedes caspius, che ci toglie il sangue sulle coste, la A. aegypti, anch'essa cittadina anche se inurbana, la Anopheles che un tempo trasmetteva i piasmodi della malaria (è ancora attiva in Oriente e in Sud-America), e la A. pullatus che ci perseguita perfino in montagna. Ma perché ci succhiano il sangue? Per poter far maturare le uova. Ecco perché sono solo le femmine che ci trafiggono. 1 rischi? C'è il pericolo di malattie indirette: encefaliti da arbovirus, trasmesso dalla culex (600 morti in Egitto nel 1980), febbre gialla e vermi parassiti canini (filarie) inoculati nell'uomo dalla A. caspius, coi rischio di cisti. Senza contare la recrudescenza della malaria in tutto il terzo mondo: neanche la clorochina è più sufficiente.

L'invenzione del giorno sono, però, i chironomidi, un vero scherzo di natura prodotto dall'inquinamento delle coste: senza bocca, questi insetti inquietanti vivono un giorno solo senza poter mangiare, cercano la luce e il color bianco. Si posano a milioni sui fari, sui vetri delle auto, sullo smoking bianco dei camerieri o sulla divisa dei marinai. Accecano motociclisti e passanti. A Venezia si sono trovate larve di chironomidi (Stylotanitarsus inquilinus) che si nutrivano di ferro‑batteri nei tubi dell'acquedotto. Le femmine si riproducono nel buio dei tubi, facendo a meno dei maschi, ed escono a migliaia dai rubinetti casalinghi, seminando ribrezzo. Insomma, un ottimo tema di fantascienza horror. Altrettanto prolifiche sono le due nuove conchiglie sbarcate in Italia: la scapharca e la Dreissena polimorpha. La prima proveniente dall'Oriente, ha invaso le spiagge adriatiche e il Delta, la seconda, portata dal centro-Europa attaccata alla barca d'un turista tedesco, ha colonizzato il Garda, il Mincio e il Po.

Quanto più discreto, allora, il mite e solitario Chirocephalus marchesonii, un rarissimo crostaceo rosa lungo pochi millimetri che vive miracolosamente soltanto, nel laghetto di Pilato, sul monte Vettore. Ha vita breve e precaria. D'inverno scompare, ma le sue uova restano sul fondo, nella melma, pronte a schiudersi nella primavera successiva. E gli asini bianchi nani? Ne restano alcune decine nell'isola dell'Asinara, e sono molto più rari e preziosi dei tanto strombazzati panda. Perfino il comune gatto domestico ha ancora dei segreti. E ora accertato che i piccoli amano ‑ guarda un po' ‑ essere allattati al seno umano. Già alcune padroncine con figli lattanti hanno esteso ai giovani felici le poppate quotidiane, con grande soddisfazione reciproca. Ci sono prove scientifiche e archeologiche che l'allattamento al seno di donna dei gatti giovani fosse, già 8000 anni fa, cosa normale.

E, a proposito di allattamento, il più arzigogolato è quello del piccolo dell'echidna‑istrice. Se ne sta nella tasca ventrale della madre e succhia il latte che scorre dalle ghiandole mammarie sul pelo fin dentro il marsupio. E, in quanto ad usi e costumi, ogni animale sembra un eccentrico lord inglese. L'ornitorinco per pescare sott'acqua chiude occhi e orecchie e sceglie il cibo al tatto, che è sviluppato specialmente sul becco. Deposita le prede nelle sacche mascellari, insieme a pietruzze con cui sminuzza il cibo. L'opussum virginiano è un mostro d'ipocrisia: quando corre pericolo si finge morto. La volpe grigia delle pampas recita meglio, e da «morta» non reagisce neanche se colpita con un bastone. Avidi sono lo Sminthopsis, un piccolo marsupiale, e il topo‑ragno americano: ogni notte mangiano una quantità di cibo più pesante del proprio corpo. Migliaia sono poi le specie che emettono odori repellenti, mediante speciali ghiandole, quando sono disturbate.

Strana è la riserva invernale di grasso dei Cercartetus nanus: è nella coda. Numerosi anche i mammiferi volanti, grazie al «patagio», una membrana che unisce le quattro zampe e fa da paracadute, come il pauroso roditore Anomalurus peli, che somiglia ad un «tappeto volante» ed è capace di planare anche per 50 metri, o l'impressionante scoiattolo volante (Glaucomys). L'opossum volante batte tutti e plana per 100 metri. Davvero mostruoso il muso della condilura, una talpa con 22 tentacoli tattili attorno alla testa, simili a lunghe dita e privi di pelo. Una Medusa fantastica, insomma. Mentre il koala come digestivo mangia un po' di terra, il vombato, che sembra un brutto e tozzo bassotto, nella terra scava grosse e lunghe gallerie, che difende poi a unghiate contro gli invasori. li più piccolo mammifero del mondo è il mustiolo etrusco, un insettivoro di 3‑5 cm che ha sempre un po' d'affanno: il suo battito cardiaco tocca la bellezza di 1200 pulsazioni al minuto. Lo segue il Sorex cinereus, con 800 battiti al minuto. Ha un metabolismo un po' alto e vive solo un anno.

Se andate negli Stati Uniti, attenti a non incontrare la blarina, un topo‑ragno aggressivo che morde iniettando una saliva neuro‑tossica che procura all'uomo forti dolori per alcuni giorni. E' capace di spolpare viva la sua preda. Evitate lo skunk maculato, che in segno di intimazione vi mostrerebbe il posteriore e, se voi non fuggite in tempo, vi lancerebbe negli occhi uno schizzo ben mirato dei secreto irritante e puzzolente delle ghiandole anali. No, meglio allora la pseudopecora cinese Baral o la capra crinita, che passano tutto il loro tempo nell'immobilità più assoluta; e molto più utili alcuni pesci teleostei, detti «anguille elettriche» (Gymnotus electricus), lunghi 2‑3 metri e viventi nelle acque dolci del centro e sud‑America, che hanno due poli elettrici così potenti da accendere a distanza 3‑4 lampadine e da fulminare molti animali. Insomma, dei veri accumulatori biologici di energia elettrica.

Tra i comportamenti più truffaldini, in nome della lotta per l'esistenza, c'è il parassitismo della nidiata. Che cos'è? Una coppia di uccelli (cuculi, ma anche altri), troppo pigra o indaffarata o di liberi costumi per fare il nido, sostituisce con l'inganno un uovo di un nido – scelto tra quelli che hanno uova di colore simile – con un proprio uovo fecondato. Il numero totale delle uova resta uguale e la coppia‑balia non si accorge di nulla. Il piccolo cuculo nasce prima degli altri, già robusto e affamato, e dopo 10 ore dalla nascita scaraventa fuori dal nido uova e neonati legittimi. Così resta l'unica bocca da sfamare. Ed è patetico vedere con quanta fatica le piccole capinere, gli scriccioli, i codirossi o i passeri, «genitori adottivi», fanno di tutto per sfamare quel grosso pargolo estraneo e vorace per ben 40 giorni. Uno «scandalo» zoologico, vero e proprio; tanto più che la femmina cuculo ripete il bel gesto, 8‑12 volte all'anno, non fa vita di coppia ed è sempre alla ricerca di maschi nuovi. Un caso di poliandria.

Alcuni insetti dei generi Atemeles e Lomechusa, imitando i segnali odorosi e il linguaggio delle formiche, riescono a farsi allevare gratis le proprie larve, le quali, una volta cresciute, continueranno l'inganno chiedendo cure e cibo. Alla fi­ne, smascherati, gli insetti clandestini riescono a bloccare l'aggressività delle formiche con messaggi chimici pacificanti. Con una analoga «truffaa da computer biologico», l'Amphotis marginata decritta il linguaggio cifrato delle formiche per depredarle.

Veri e propri fratricidi obbligati avvengono ad ogni covata di aquile di Verroux, anatraie minori, aquile coronate. La regola è semplice e sbrigativa: in genere, il primo nato mangia il secondo. Fratricidio facoltativo è invece quello che si consuma talvolta nei nidi di Aquila chrysaetus, di A. Heliaca e di Haeliaetus leucocephalus. Qui, forse, c'è una ragione selettiva.

L'aquila, si sa, è un animale sveglio e combattivo. Ne sa qualcosa un pescatore che un mese fa riuscì a pescare una trota sul fiume Sesia, a Scopa (Vercelli).. E' stato aggredito e artigliato al volto e alle braccia da un aquilotto reale di 120 cm di apertura alare, che riteneva il pesce «cosa propria». Un ennesimo regolamento di conti tra il più bello dei predatori alati e l'uomo, unico e vero «rapace». Non sono mancati in passato, secondo numerose storie locali, rapimenti di bambini lattanti da parte di grossi uccelli dal becco adunco, così come sono normali da parte dei più grandi accipitridi (aquila, avvoltoio ecc.) prelevamenti di piccoli di camosci, pecore e capre.

Con una puntura velenosa, un imenottero (Cerceris bupresticida) paralizza la sua preda preferita, il Cleonus ophtalmicus, che darà in pasto, ancora vivo e ben conservato, alle proprie larve. La farfalla «testa di morto», che è così truccata per intimorire i predatori, penetra in un alveare emettendo un sibilo che blocca la reazione delle api. Riempita di miele, spesso non riesce ad uscire dalla fessura, e le api, riavutesi dall'incanto, la uccidono col pungiglione e la mummificano con resine e cera, evitando la putrefazione. Anche l'aragosta si lascia facilmente ipnotizzare: basta carezzarla con una mano e agitare l'altra davanti ai suoi occhi.

C'è anche chi digerisce a distanza. La larva del ditisco, un grosso coleottero d'acqua, inietta nei pesci e negli anfibi un veleno che li uccide. Poi vi pompa dentro i succhi gastrici. Quando la polpa è digerita, il ditisco la succhia. L'avventura mirabolante dell'ornitoplostomum è degna d'un soggetto cinematografico del genere Orwell o fantazoologia. La larva di questo piccolo parassita acquatico entra nel corpo di un pesce Pimephales e, muovendosi dentro il suo corpo, arriva al cervello. Da lì comincia a «comandare», influenzando le scelte del pesciolino e tele‑guidandolo fino alla bocca e allo stomaco d'una anatra tuffatrice. Così il diabolico parassita riesce nel suo vero intento: entrare nel corpo dell'anatra, dove può svilupparsi. I suoi figli, attraverso una chiocciola e alcune metamorfosi, ritorneranno in acqua. Da dove ricominceranno...

I serpenti hanno mandibole snodate e gola elastica. Solo così possono ingoiare anfibi, mammiferi e grosse uova. I piccoli Dasipeltidi, però, per rompere e digerire un uovo ricorrono ad una seghetta presente nel loro stomaco come prolungamento delle prime vertebre.

E il sesso? Dopo la copula, il serpente giarrettiera (Thamnophis) applica alla femmina un tampone di gelatina ai ferormoni che la rende sgradevole agli altri pretendenti. Un trucco a cui guardano con interesse "professionale" molti uomini gelosi. Mi ero dimenticato di aggiungere, però, che prima, il serpente maschio ha dovuto sostenere una aggrovigliata lotta‑partouze con 20-30 maschi, attratti dalla odorosa vitellogenina emessa dalla femmina (che annusano dardeggiando la lingua). Solo un fortunato riesce a inserire uno dei due emipeni irti di aculei e uncini. Se poi le uova non sono ancora mature, la femmina conserva lo sperma in una sorta di frigorifero interno, anche per 6-8 mesi.

Le cimici hanno una stravagante ed intensa attività sessuale. In certe specie sia il maschio che la femmina hanno tre vagine e l'omosessualità è frequente. Spesso il maschio perfora la partner a caso, iniettandole direttamente nel corpo l'equivalente per un uomo di 30 litri di sperma, che poi con un giro tortuoso andrà a fecondare le ovaie. Il maschio che «per sbaglio» è stato perforato, accoppiandosi con una femmina, le trasmetterà un misto di spermatozoi: i propri e quelli di altri maschi.

Misteriosissimi, infine, sono tutti gli animali che vivono nelle grotte, esclusivamente o parzialmente. Strani ragni, millepiedi (a proposito, non ne hanno più di 260), insetti biancastri, tutti depigmentati, quasi tutti ciechi e con arti molto sviluppati per sopperire alla mancanza della vista col tatto. E ancora, anfibi unici, pesci, mammiferi e perfino uccelli di passaggio. Cercano un ambiente umido, temperatura sempre costante, assenza di luce? Sono accontentati.

Il bel proteo (Proteus anguinis) è un anfibio bianco, simile ad una lucertola con zampe atrofizzate, lungo 20-30 cm. Più rara la salamandra cieca del Texas. Curiosi anche gli insetti cavernicoli come la Meta menardi e il Dolìchopoda azani, simile ad un grillo bianco, e poi il pesce cieco del Kentucky, il Caracide del Messico e il Ciprinide sotterraneo della Somalia. Tra insetti, anfibi e crostacei è lotta dura: non vedendo, tutti diffidano di tutti. Il tocco d'una zampa misteriosa può significare la morte. E poi ci sono sempre i pipistrelli più avidi e insaziabili che imperversano, lasciando però resti di pasti agli animali più piccoli.

C'è anche uno strano uccello eremita che ama il buio e la relativa calma delle grotte: il guaciaro (Steatornis caripensis). In Venezuela e a Trinìdad ha imparato a seguire i pipistrelli e a dirigersi con l'eco-sonar naturale. Un'arma in più per la sopravvivenza. Dei resto anche pulci di mare, tartarughe, granchi violinisti, salmoni, uccelli migratori, e molti altri animali, posseggono un elaborato «orologio interno» che permette loro in ogni momento di avere le coordinate del tempo e dello spazio. Gli studi più recenti hanno accertato che tale meraviglioso computer‑bussola biologico è basato sul movimento degli astri.
NICO VALERIO

IMMAGINI. 1. Lo jaculus ha probabilmente dato vita ad animali mitologici dell’Antichità (Wikipedia). 2. Jaculus jaculus orientalis, minuscolo roditore saltatore su due zampe (https://www.flickr.com/photos/a_dg/). 3. La ligre, incrocio tra maschio di leone e femmina di tigre (http://randomstory.org/big-cat-liger-the-worlds-biggest-cat/) 4. Il tigone, incrocio tra leonessa e tigre maschio. 5. Il misterioso e contestatissimo tilacino. 5. Longitarsus noricus, trovato in Italia negli anni 80 (V.Fogato). 6-7. Geep o shot, incrocio tra pecora e capra (sheep e goat). 8. Cricetomys gambianus, sorta di grosso ratto allevato per uso domestico, non escluso quello alimentare.

NARCISI D'ITALIA. Quelli che non leggono, ma scrivono libri

Cambia un assegno in banca e il cassiere con aria da sotterfugio le allunga, anziché quello sperato, un altro genere di malloppo: una risma di propri manoscritti da leggere. Lei, che è donna riservata e gentile, non ha avuto la prontezza di spirito di obiettare: "E va bene, vuol dire che se è così anch’io i miei biglietti di banca me li stampo col computer". Va a comprare le scarpe, ma al momento di ritirare il pacco vi trova dentro un libretto di poesie. "Scritte con i piedi?" avrebbe dovuto chiedere vista la pericolosa vicinanza.
La scrittrice Dacia Maraini – è di lei che stiamo parlando – deve essere abituata a sentirsi una cassetta delle lettere ambulante, visto che mezza Italia, quella un po’ sottoculturale e narcisista che non legge un libro, ma il libro vuole "scriverlo", la insegue tentanto di consegnarle dattiloscritti con "opere prime" da valutare, semmai correggere , e perché no, segnalare a editori e giornali. Ne ha ricavato un articolo per il Corriere.
Certo, siamo un popolo unico al mondo anche in questo. Un tempo nei paesini agricoli e nelle cittadine di provincia, soprattutto al centro-sud, il libro era così raro nelle case da essere destinato ad abbellire l’unica scansia d’una finta libreria. Le più adatte erano le raccolte del Reader’s Digest, perché avendo una legatura rigida sembravano, visti di dorso, più "seri". Così, oggi, continuando il libro ad essere raro, estraneo alla vita della maggior parte degli Italiani, professionisti, artigiani e imprenditori compresi (d’altra parte "a che serve un libro? a nulla", giustamente…), proprio per questa sua lontananza diventa un simbolo di stato sociale.
Ma se fosse solo così, basterebbe correre alla più vicina libreria. No, il libro lo devono scrivere. Come scriverlo, poi, è tutto da vedere. Anzi da leggere. Non avendo dimestichezza con quella strana risma di carta stampata, effettivamente "noiosa da guardare" (come si espresse una mia amica rossa e procace, la stessa che mi chiedeva ogni volta: "Uh, quanti libri, ma li hai letti tutti?", cercando secondo lei di prendermi in castagna), i nipoti o figli dei contadini, oggi nella società benestante, vogliono essere finalmente come quegli intellettuali pallidi e con gli occhiali che vedono in tv, a cui tutti, pure i politici, si inchinano, e che tutti chiamano "professore". E il libro "scritto" in proprio, magari stampato dalla tipografia sottocasa, che li bastona per benino con un conto salato, è ormai l’ingresso in società di professionisti, medici, insegnanti, poetesse botaniche (se non sai tutti i fiori di Kew Garden o della Riviera, è inutile che ti metti al computer, tanto la metrica non esiste, la famosa "sintesi poetica" neppure…).
A quando un nuovo Marx che faccia appello agli umili paria della sottocultura nazionale: "Ignoranti di tutt’Italia, unitevi: iscrivetevi al Sindacato scrittori"? Solo così, per eccesso paradossale, diventeremmo tutti lettori di libri: se tutti gli italiani scrivessero un volume all’anno, ecco che tutti leggerebbero automaticamente almeno un libro, il proprio. "Cercansi immigrati, meglio se dell’Est europeo…". Più alfabetizzati degli autoctoni saranno.

30 marzo 2006

COSTUMI INGLESI. Per fortuna c'è anche la "notte dei rospi"

Ora che sono globalizzati la pizza, il gorgonzola e i maccheroni (recuperiamo questa antica parola italiana, da maccus=gnocco schiacciato), e dunque di tipicamente italiano restano le cose brutte, come il gettare il fazzoletto di carta dal finestrino dell’auto o la raccomandazione, salutiamo con favore ogni nuovo costume inglese accolto nella Penisola. Non bastavano la zuppa inglese e lo smoking – ignoti in Gran Bretagna – le scarpe finto-inglesi, il giaccone da lavoro inglese (che qui, in terra cafona e perciò xenofila passa come elegante), o le insegne sbagliate dei negozi. Ci voleva qualcosa di più vero: l’uomo che dimentica i suoi problemi quotidiani, come il far soldi o rubarli al prossimo, e si dedica per qualche ora, gratis, ad aiutare gli animali in difficoltà. Nella "notte dei rospi", per esempio.
In Piemonte ogni anno all’epoca degli amori (in questi giorni) si verificano vere trasmigrazioni bibliche di Bufo bufo (rospo comune) e di altre specie di rospi, che cercano a migliaia (quest’anno sono attesi in 25.000) di raggiungere zone d’acqua per riprodursi. Alcune strade provinciali e statali – apprendiamo dal sito delle Guardie ecologiche piemontesi – vengono letteralmente ricoperte di questi animaletti di color bruno chiaro o verdastro: una durissima selezione casuale compiuta dalle auto di passaggio. Giovani volontari, scolaresche ma anche adulti, si preoccupano per alcune notti, dal 22 marzo, di favorire l’attraversamento delle strade di rospi comuni e corallini, che così possono riprodursi. E non solo si tratta di specie protette, alcune in estinzione, ma anche di "rivelatori biologici" dell’ambiente. I rospi, infatti, per la permeabilità della pelle sono più sensibili di altri animali a vari agenti tossici o a cambiamenti climatici e ambientali.
Con l’occasione va detto che le strade in Italia sono costruite male e in modo troppo economico: servono, seppure, solo per le automobili. Sono scomode e pericolose per gli uomini che si trovano a doverle percorrerle a piedi per brevi tratti, o in bicicletta, e anche per gli animali, dagli anfibi ai mammiferi, che devono attraversarle. Dovrebbero essere dotate di piccole gallerie in sottopassaggio, le stesse che si usano talvolta (sempre meno del necessario) per il deflusso delle acque di fossi e rigagnoli.

15 marzo 2006

L'ABBACCHIO NEO-FASCISTA. Vegetariani di lotta e di potere

E' un appello che si ripete ogni anno, a Pasqua e a Natale (che ci sia dietro lo zampino - oops, stavo per dire lo "zampone" - della Chiesa?), quello dei vegetariani e degli animalisti. "Non mangiate agnello o altri animali". La Cronaca di Roma del Corriere, quasi a volerne fare un caso più politico (propaganda pre-elettorale?), visto che a Roma ci sono anche le elezioni comunali, intitola: L’appello della Cirinnà: «Basta con la strage di agnelli per imbandire le tavole» Gli animalisti contro il pranzo di Pasqua.
      Vabbe', siamo persone navigate: sono cose che si fanno nei giornali schierati. E in Cronaca, poi, accade di tutto. Però noi da liberali e anticonformisti, sì, però anche da vegetariani della prima ora (record a Roma tra persone note: dal 1 gennaio 1970), anzi in qualche modo teorici del vegetarismo (abbiamo fondato club, studiato gli aspetti scientifici e storici, scritto libri, organizzato corsi, tenuto conferenze), come la prendiamo? Insomma, bando alle ciance, siamo contro o a favore?
      La prendiamo con molta ironia, anticipiamo subito. Da vegetariani e da pratici di cose politiche, oltre che di psicologia della comunicazione. Intanto la notizia del Corriere di oggi:
Di tradizione si tratta. Cotolette, arrosticini e spezzatino d’agnello, per Pasqua imbandiscono (non poco) le tavole degli italiani. A Roma, i piatti d’«abbacchio» vanno in realtà tutto l’anno. Lo sa bene il consigliere capitolino delegato per i diritti degli animali Monica Cirinnà che ieri, dal palco del terzo «Forum vegetariano» svoltosi in Campidoglio, ha invitato gli amanti degli animali «a rifiutare, soprattutto nell’imminente periodo pasquale, piatti a base di agnello o capretto, perché la ricorrenza non divenga l’ennesimo inutile massacro di animali». Nella Capitale sono circa 500 le associazioni che si occupano di ambiente, animali e, contestualmente, di alimentazione vegetariana. Il convegno, organizzato dal consiglio comunale di Roma, ne ha chiamate a raccolta alcune: «siamo un insieme disordinato che deve organizzarsi - ha detto Franco Libero Marco, presidente del «Forum vegetariano» - spero che un giorno tutte queste onlus abbiano concretamente la possibilità di riunirsi». Un’idea del genere sembra già essere andata in porto, e la Cirinnà incoraggia l’esperimento, «il Comune ha offerto un palazzo storico in cui decine di associazioni di donne hanno potuto riunirsi, possono farlo anche le onlus «vegetariane», magari spedendo una lettera al sindaco». Il fenomeno c’è, tra progetti del vivere vegetariano e gruppi «vegan» (gli ultraortodossi dell’universo in questione), i ristoratori se ne sono subito accorti. A Roma, ma non solo, aumentano i locali che offrono l’alternativa alla carne. Monica Cirinnà vorrebbe che si attrezzasse anche la tv: «Ho chiesto un impegno specifico per avere pari dignità nelle trasmissioni televisive di cucina, ai piatti di carne o pesce, sarebbe bene affiancarne uno vegetariano». Re. Do.
Be', intanto, caso strano, noi non siamo stati neanche invitati al Convegno. Forse perché non ammanicati politicamente? Altamente probabile in un "convegno" tenuto in piena campagna elettorale, a cui l'occhiuta segreteria del sindaco Veltroni (che gestisce direttamente, pensate un po', l'affidamento delle sale comunali, tanto è strategico nella loro "politica del far sapere", più che del fare...) ha concesso una bella sala del Campidoglio. Che se la chiedo io a nome dei liberali, anche se gli porto Cavour imbalsamato, non solo non me la danno, ma mi ridono pure dietro. A convegni del genere, poi, non si invitano mica i veri esperti, ma gli amici, i compagni di merende, sia pure "veg". Meglio se rosso-finto-verdi.
      E i vegetariani liberali, o peggio di Destra? Ma poi vi risulta che Marx, in nome della sfruttata classe degli erbivori, rifiutasse costolette di porco e beef-steck quando con Engels "cospirava" - si fa per dire - giocando a dama e scacchi ai tavolini dei caffè di Parigi o nei pub di Londra, finanziato da qualche dama aristocratica?       
      Del resto, lo stesso Mahatma Gandhi diventò vegetariano a Londra, non in India. Perciò chiediamo alla Cirinnà: come mai non c'è stato posto per un vegetariano esperto, "ma" di idee liberali? Per di più specializzato nello smontare leggende metropolitane e luoghi comuni della sotto-cultura dominante, anche a proposito di vegetarismo? O forse è proprio questa nomèa che ha dato fastidio? E questo solo per la forma, la cornice.
      Nella sostanza, peggio di peggio. Che significa chiedere di non mangiare l' "abbacchio" (romanesco, etimol: "agnellino da latte ucciso con una botta in testa") a Pasqua, o che so, il tacchino nel giorno del Tanksgiving? Non è la più cinica delle ipocrisie, il peggiore degli spot pubblicitari, per cercare adesioni al proprio club, o voti elettorali per una lista? E le cotolette, le salsicce, gli hamburger, le bistecche, le fettine, i polli e i conigli, e perché no, i pesci, "strafocati" (cfr., napoletano pop., sec.XIX-XX) tutti i giorni dalla PIT (Popolazione Italiana Tutta)?
      O forse l'abbacchio è intoccabile, sì, ma in quanto neo-fascista? E il suo rifiuto è "cosa da kompagni"? Magari molto snob, frequentatori di costosi ristorantini chic e à la page, e perfino (stranamente) spiritualisti, ma sempre kompagni? E allora i vegetariani fascisti, o nazisti, come Hitler?
      Quindi, per favore, smettiamola con le cretinate, le falsità e le ipocrisie infantili. Ma anche con le allusioni ad una "superiorità morale" di noi vegetariani, tutta da dimostrare. Perché io conosco dei vegetariani così mascalzoni e figli di puttana, così odiatori degli uomini, che il "nostro" Adolf in confronto era un agnellino, che dico, un abbacchio. Perché, cari amici, poi tutte le furbizie e falsità vengono scoperte. Insomma, ammettetelo, è stata almeno una gaffe organizzativa, politica e comunicativa. Proprio vero che solo "le persone molto intelligenti" possono impunemente architettare qualcosa. Non gli altri. Se volevate avere un titoletto di giornale in cronaca, cosa che dalle nostre parti non si nega a nessuno, per fare propaganda politica e associativa, magari per creare un nuovo piccolo Centro nel sotto-potere comunale, l'avete avuto.         
      Ma il vegetarismo è un'altra cosa. Gli esperti da convegno, poi, e i giornalisti, e i politici capaci di parlarne senza farsi ridere dietro, un'altra cosa ancora. E non ho ancora affrontato l'argomento "vegan", su cui cadono troppi asini. Ne riparleremo.

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12 marzo 2006

AERONAVI. Quel misterioso dirigibile che volò su Roma per oltre un anno.

Dirigibile Good Year in volo (b-n)
IL PIU’ LEGGERO DELL’ARIA E’ TORNATO NEI CIELI D’ITALIA
.NELL’EPOCA DEI VIAGGI NELLO SPAZIO
SI SCOPRE IL FASCINO
DEL DIRIGIBILE
NICO VALERIO, ottobre-novembre 1972 (*)
CAPENA (Roma), ottobre - Basta essere entrati alme­no una volta nella cabina di comando di un aeroplano di linea per notare la differenza. Intanto qui manca la clo­che, il caratteristico volante a mezzaluna impugnato fino allo spasimo dal «tenente buono » Kirk Douglas nei duelli aerei dei vecchi film di guerra. Poi la strumentazione di bordo è molto meno imponente; non c'è pressurizzazione della cabina; volen­do ci si può affacciare al finestrino e cambiare di posto senza mai allacciare le cintu­re di sicurezza: tanto la ho­stess non c'è. Per finire, una grossa ruota collegata verticalmente al posto di guida - è il timone di profondità, spiega premuroso un passeggero che virtualmente si sen­te già secondo pilota - fa assomigliare curiosamente a un grande invalido un distin­to signore in abito scuro che si rivela un superspecializza­to pilota di dirigibili.

Dirigibile Europa Good Year navicellaInfatti siamo a bordo di uno di quei mastodontici si­gari volanti che accesero la fantasia dei nostri padri nell'età compresa tra le due guerre. Cinquant'anni dopo le tra­svolate di Umberto Nobile in Alaska e al Polo Nord col dirigibile Norge e con lo sfor­tunato Italia, ecco una nuova silenziosa « nave del cielo » volare nei cieli italiani: si tratta del dirigibile Europa, giunto in questi giorni dagli stabilimenti inglesi di Cardington, dove è stato costrui­to, nella sua nuova base di Capena, a venti chilometri da Roma.

Prodotta da una società a­mericana che ha già al suo attivo la fabbricazione di oltre trecento dirigibili di ogni tipo, l'aeronave solcherà ogni anno i cieli dell'Europa cen­trale e settentrionale in primavera e in estate, mentre nei mesi invernali agirà in Italia, dove sarà impiegata in attività di interesse pubblico e in programmi civili senza fini di lucro: insomma al ser­vizio della comunità (così al­meno ci assicura un opusco­lo della ditta costruttrice).

Oggi è giornata di voli all'aeroporto-base e gli addetti hanno il loro daffare a tene­re a bada tutti i visitatori che vorrebbero salire a bor­do. Nell'epoca delle passeggiate sulla Luna, dei jumbo e degli aerei ad ala variabi­le, chi non se la sente di ri­schiare un modesto volo su un romantico ma sicuro diri­gibile? Nella calca, tra giornalisti, « ospiti di riguardo » vestiti di scuro, robuste signore di mezz'età con pelliccia e odiosi ragazzini frignan­ti, le graziose hostess azzurro-vestite che fanno gli o­nori di casa appaiono piut­tosto spaurite. Favorito da u­na fortuna sfacciata supero di sbieco due arzille vecchiet­te che, illuminate da una vo­cazione tardiva, si appresta­vano a ricevere il battesimo dell'aria, ed eccomi a bordo.

Dirigibile Europa Good Year Siamo in sette, compreso il pilota, nella piccola cabina sopraffatta dalla imponente mole dell'involucro di neoprene che rinchiude il gas raro e costoso al quale dobbiamo il nostro sostentamento, l'e­lio. Volteggiamo leggermente nel limpido pomeriggio romano nella luce radente di un sole che già declina, accom­pagnati dal tenue rombo dei motori - non più fastidioso di quello di una grossa automobile - mentre sotto di noi scorre lentamente il Te­vere nelle sue anse regolari ad angolo retto. Il volo è pia­cevole. La cabina panorami­ca, la velocità estremamente contenuta e una bassissima quota di volo ci consentono dì ammirare a nostro agio campagne e paesi sottostanti.

Proprio sotto di noi è l'an­tichissimo Lucus Feroniae, bo­sco sacro alla dea Feronia e mitico luogo di culto degli Etruschi capenati; poco più in là, su una bassa collina, la cittadina di Capena, già potente città etrusca e poi ro­mana, offre alla nostra indi­screta incursione dall'alto le sue cupe chiese medievali, le torri non troppo ben con­servate (ahi, la difesa delle nostre opere d'arte!), le ca­sette basse di architettura spontanea. Di lontano, stac­cato in maniera stupefacente­mente netta dalla pianura circostante, domina il paesaggio l'imponente massa del monte Soratte, che non sorpasseremo perché il pilota or­mai punta deciso su Roma.

Scontati ricordi letterari, sepolte visioni dell'infanzia possono assalire il passegge­ro di un dirigibile, e può ac­cadere che per uno scherzo dell'addetto al montaggio della nostra memoria il capita­no Nobile si trasfiguri fino a identificarsi col capitano Ne­mo, il dirigibile Italia si con­fonda col sommergibile Nautilus e alcuni tranquilli pae­sani di Monterotondo che agi­tano le braccia in segno di saluto, sotto di noi, finiscono per assumere le sembianze dei buoni Congolesi che il cele­bre dottor Livingstone, scen­dendo dal suo bianco aero­stato, si appresta a civilizza­re.

A scuoterci dall'inevitabile torpore - il ronzio del mo­tore, pare abbia un effetto rilassante - giungono le pa­role del pilota, l'italiano Li­vio Cavazza, che sta illustran­do dati e caratteristiche del­l'Europa. Si tratta di un ti­po non rigido, cioè privo di struttura interna o di chiglia, chiamato in gergo aeronau­tico blimp per distinguerlo dagli zeppelin che, come il primo modello costruito da conte von Zeppelin in Germania, sono dotati di u­na vera e propria carrozze­ria portante.

Come i suoi due confratel­li americani, il Columbia che è di base a Los Ange­les e l'America di base a Houston, l'Europa è lungo circa sessanta metri, alto diciotto e largo quindici. In fondo è uno dei più piccoli: il tipo ZPG-3W usato dalla Marina americana per scopi difensivi fino al 1962 era grande otto volte l'apparec­chio sul quale stiamo volan­do, un vero gigante del cielo. Modelli di dimensioni mastodontiche non mancano nella storia del dirigibile; sono quelli anzi che hanno alimentato per anni la po­polarità del romantico aeromobile. Le gesta del Graf Zeppelin e dell'Hindenburg nel trasporto di passeggeri e merci, al culmine degli anni Trenta, avevano spes­so l'onore delle prime pagi­ne nei giornali. La stessa costruzione di queste enor­mi aeronavi rigide poneva problemi di non facile riso­luzione.

Il nostro dirigibile invece non ha cifre da capogiro; è anche troppo se con l'aiuto di due motori a elica da duecento cavalli riesce a sfiorare gli ottanta chilome­tri l'ora. E' dotato in compenso di due enormi scher­mi laterali sui quali 7560 lampadine di vario colore, comandate da un elaboratore elettronico a nastri ma­gnetici, tracciano scritte lu­minose e disegni animati, a fini di propaganda, benefi­cenza ecc.

La riscoperta di questo sicuro e paziente mezzo di trasporto appare una spe­cie di uovo di Colombo. Non si tratta dell'impiego su va­sta scala per il trasporto passeggeri, ma d'un mezzo alternativo e a breve rag­gio di azione per ricerche geografiche, archeologiche, naturalistiche (osservazioni sulle abitudini trasmigrato­rie di alcuni animali) e co­me strumento di sensibilizzazione di massa (campagne di educazione stradale, per il rispetto della natura e delle opere d'arte, ecc.).

Certo fa una strana im­pressione parlare di dirigibi­li mentre si va sulla Luna, e si corre il rischio di con­fondere le idee dei « non addetti si lavori ». Come fu il caso per quella nostra a­mica giovane e belloccia che parlando di conquiste luna­ri, con una tartina in mano, la sera dell'inaugurazione dell'Europa chiese con un' espressione candida e im­paziente a un noto giornalista aeronautico: «Ma insomma, questi russi quan­do si decidono a mandare anche loro un dirigibile sul­la Luna?».

Chissà, le fu risposto gentilmente, non è detto che veicoli simili agli attuali dirigibili non possano esse­re usati sul nostro satelli­te, per esempio per costrui­re grandi impianti e strut­ture fisse sul suolo lunare. La scienza aeronautica e la storia del volo ci hanno a­bituati alle sorprese e ai mi­racolosi «ritorni». Il conte von Zeppelin, anche senza il dottor von Braun, ne sa sempre una più del diavolo.

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(*) Questo articolo fu pubblicato da ben 9 quotidiani italiani: Gazzetta di Mantova (5 ottobre 1972), Il Mezzogiorno (5 ottobre 1972), La Provincia di Como (6 ottobre 1972), Giornale di Brescia (6 ottobre 1972), La Provincia di Cremona (10 ottobre 1972), Il Cittadino di Genova (11 ottobre 1972), Il Giornale di Bergamo (15 ottobre 1972), La Prealpina (1 novembre 1972), L’Unione Sarda (21 novembre 1972).

IMMAGINI. Da Aeromedia, che offre a chi è appassionato di dirigibili anche altre interessanti notizie. Si noti nel filmato del dirigibile Europa, protagonista dell’articolo, l’eccezionale velocità con cui l’aeromobile atterra e decolla nuovamente.

04 marzo 2006

ASINI ECOLOGISTI. Meglio sbranati dai cani che attori da circo

Erano asini politicamente corretti, e hanno fatto una brutta fine. Sulle ottusità ideologiche dei finti ecologisti e animalisti sinistresi, che riescono a farsi votare perfino da giovani e vecchine di destra amanti di cani e gatti, blateriamo da decenni, cioè da quando i sedicenti Verdi si costituirono in associazione proprio nella nostra sede della Lega Naturista (primi anni 80), nella romana via Magenta. Avevamo capito subito vedendoli arrivare di che pasta erano fatti i primi infiltrati politici che fondarono il movimento, e che mai avevamo visto prima dedicarsi all’ambiente, ma solo ai consueti temi politici dell’ultra-sinistra.
Da allora andiamo raccogliendo faldoni di castronerie finto-ecologiste che sfidano quelli del Palazzo di Giustizia. L’ultimo episodio, minore ma simbolicamente perfetto, è accaduto a Roma, dove sono strenuamente convinti che l’uso degli animali nei circhi sia da vietare rigorosamente e in ogni caso solo Sindaco, Giunta e Assessora agli animali – in senso stretto, s’intende, se no dovrebbe occuparsi innanzitutto della Giunta – cioè la signora Cirinnà, che ha come unico titolo quello di "possedere" molti cani, contro il loro diritto di libertà.
Noi, dall’alto del nostro vegetarismo di lungo corso e animalismo della prima ora (I referendum anti-caccia), non ne siamo troppo convinti. Certamente diciamo no ai maltrattamenti, ma sì all’impiego umano e moderato negli spettacoli. Altrimenti per coerenza bisognerebbe proibire anche l’addestramento familiare dei cani, che per loro è gioco e benefica attività fisica. Senza contare il valore culturale antropologico del circo. D’accordo che allevamento, addestramento e lavoro nel circo sono in alcuni casi occasioni di sofferenze e maltrattamenti per gli animali. In questi casi bisogna reprimere. Ma vietare tutti i circhi con animali a Roma, e solo a Roma, è una sciocchezza. Perché, allora, non proibire la detenzione di tutti gli animali in casa, dove spesso sono sottoposti a stress e regimi di vita innaturali e insani, se non violenti? Ma la misura sarebbe impopolare, specialmente tra gli animalisti, a cui piace egoisticamente "detenere" ogni specie di bestie, dal gatto all'alligatore, dal furetto alla scimmia. Contro la natura stessa, l'istinto, degli animali, che amano la libertà come e più degli uomini.
Dopo il Circo Togni, il Circo Fantasy è stato preso di mira dal Comune, che invece è indifferente alle buche sulle strade, al traffico caotico, al disservizio dei mezzi pubblici e all’inquinamento. Gli hanno sequestrato gli animali, perché tenuti non a norma. Ebbene, dove li hanno messi? In "sequestro giudiziario" in stretti containers. Ma non stavano meglio al circo? E quello che è più triste, è che due asini (asini veri, non assessori) sottratti allo "sfruttamento" – il linguaggio è ormai di tipo sindacale-marxista – sono stati affidati a un privato della Magliana che ieri li ha trovati sbranati dai cani randagi. Destino degli asini di sinistra: attori da circo no, sbranati dai cani sì.
Sembra che a ridosso del quartiere residenziale dell’Eur, in piena Roma, vaghino branchi di cani randagi fino a 100 esemplari, come ha denunciato Ilaria Ferri, direttrice di Animalisti italiani. E, a proposito – ha incalzato - che fa l’assessora, amante di bei cani lussuosi e curati, per risolvere il problema del randagismo, davvero grave per uomini e animali da cortile? Nulla, solo politica del "far vedere", dell’immagine. Per carità, un vizio di tutti i politici italiani, di destra e sinistra, e bisogna ammettere che neanche quelli di sinistra sono bravi a non farsi scoprire a bluffare in questa forma di "teatro politico". Solo loro i veri asini, senza offendere i cari quadrupedi.
E meno male che Romolo non sapeva di fare qualcosa che sarebbe stato illegale per il Comune di Roma, quando dietro al bue con l’aratro andava solcando il perimetro della prima città. Altrimenti, per non pagare la multa, era capace di non fondarla più. Meglio così, non avremmo avuto la Cirinnà, Veltroni e neanche Rutelli. Uno di quelli, appunto, che quel giorno, nei primi anni 80, vedemmo arrivare bel bello a via Magenta, a "fondare", lui che fino a quel momento aveva fatto solo anti-militarismo, il movimento dei Verdi. Asini verdi, of course.

03 marzo 2006

MAURO MELLINI, il mite avvocato liberale che il divorzio rese un leone

Politico liberale e radicale, intriso come pochi di laicismo e anti-clericalismo, avvocato cassazionista e coltissimo giurista, deputato per varie legislature, membro del Consiglio Superiore della Magistratura, autore di numerosi coraggiosi saggi e pamphlet sulla giustizia in Italia, Mauro Mellini è stato il "padre del divorzio" e un grande protagonista delle battaglie per le libertà del cittadino e la laicità dello Stato nei “ruggenti anni Settanta” e Ottanta, quelli delle battaglie per i diritti civili.
      Vero galantuomo d’altri tempi, onestissimo, mite per natura, incline a una vena ironica, paradossale e satirica, Mellini in politica si trasformava, diventava un leone. Padrone del diritto come pochi, poteva permettersi nei suoi numerosi articoli, arringhe, saggi e pamphlet di incalzare senza tregua il lettore o il contraddittore, da efficacissimo e documentato polemista; mentre s’imponeva come possente e implacabile oratore dal palco nei comizi in piazza, in televisione o dallo scranno in Parlamento, dove fu presente per dieci anni alla Camera dalla VII alla IX Legislatura 
      Nel 1970 fu lui, non Pannella, il vero artefice della vittoria divorzista, con la Lega Italiana per il Divorzio (LID), da lui fondata con Giorgio Moroni e altri, che aveva deciso di cavalcare la tigre della proposta di legge sul divorzio di Loris Fortuna, sanguigno come un avvocato socialista di fine Ottocento, e del compassato liberale Antonio Baslini. Nell'epica adunata divorzista del 1 dicembre a piazza Navona (piena come mai più in seguito, e non solo di divorziandi, ma di tantissimi giovani), ricordo ancora il vocione di Mauro Mellini.
      Ero molto giovane e mi annoiavo a morte nella Gioventù liberale, quando conobbi a via Frattina, nella sede del Partito Liberale, questo avvocato liberale già maturo, che si era iscritto al primissimo Partito Liberale fondato alla Liberazione da Pannunzio, e che trattava i giovani alla pari, come fanno le persone intelligenti, con la faccia per bene e un non so che di fanciullesco e di ingenuo nel tratto, caratteristica tipica degli idealisti. E anche questo mi rassicurava.
      Conoscevo già i radicali. Avevo intervistato Pannella - allora un eterno ragazzone sempre in maglione - sul giornale ufficiale degli studenti dell’Università di Roma, "Roma Università", di cui ero direttore perché l'AGI, Associazione goliardica italiana (liberale) aveva vinto le elezioni universitarie. L'inchiesta - ho conservato il giornale - era "Il clericalismo oggi", e aveva in copertina la foto d'un carabiniere in alta uniforme che faceva il saluto a un cardinale.      
      Fatto sta che da "liberalino" ventenne, un po’ aristocratico e con la puzza sotto al naso, avevo ancora qualche residuo timore dei radicali: allora, molto più di oggi, i nostri cugini liberal-socialisti avevano fama di super-alternativi e provocatori, anche verso i liberali. E si capiva: per alcuni il distacco dalla casa madre era recente. Ma in realtà, eravamo noi del PLI ad essere insopportabilmente tradizionali, impacciati e borghesucci. Ad ogni modo, rassicurato dalla vicinanza d’un vero liberale e d'una persona per bene come Mellini, quando lui passò ai Radicali, lo seguii.
      Mellini ebbe immediatamente successo tra i radicali, proprio perché si presentava ed era l'opposto di Pannella: una pasta d'uomo con amici e compagni di lotte, ma implacabile con gli avversari (di volta in volta il Vaticano, la Chiesa, la Destra reazionaria, i Conservatori, la Democrazia Cristiana, Fanfani, il Partito Comunista).
      Ebbe una lunga e intensa carriera politica, in posizioni sempre di primo piano nelle lotte per i diritti civili, come allora si chiamavano i normali diritti di libertà. Solo alla fine del decennio, col declinare della parabola radicale, i suoi rapporti con Pannella si guastarono. Alla fine degli anni 80, quando l’imprevedibile Pannella decretò la fine del Partito Radicale e inventò uno strano Partito Transnazionale in cui le questioni italiane finivano per sparire, sostituite dal “problema del popolo Uiguri” in Cina e dalla “fame nel Mondo”, questo strano harakiri allontanò gran parte dei radicali di base sostituendoli con terzomondisti e cattolici d’ogni risma, annacquando la antica matrice laica e disgustando la vecchia guardia liberale.
      Si scontravano in quegli anni a via di Torre Argentina almeno due opposte linee politiche: quella eternamente movimentista e “distruttiva”, e quella parlamentarista e “costruttiva”. Da una parte la solita facilissima demagogia, l’oratoria torrenziale e populista, gli slogan, la piazza, i digiuni, le azioni provocatorie del gigione Pannella, narcisista innamorato pazzo di se stesso. Dall’altra la Politica vera, cioè le mediazioni con la realtà sociale, il lavoro quotidiano, le riforme concrete, l’approfondimento serio e teorico, lo sporcarsi le mani col ben più difficile Governo in presenza di altre forze politiche, la lotta politica quotidiana con gli avversari in Parlamento, le mediazioni con gli alleati. Sciogliere il Partito Radicale che era stato di Pannunzio e scegliere i vaghi temi universalisti del Mondo intero, come la Chiesa, significava rinunciare alla difficile Politica e preferire gli slogans.
      Una contrapposizione che anticipava esattamente quella del comico Grillo per il suo movimento 5Stelle (una parodia da avanspettacolo del Partito pannelliano), decenni dopo. Da una parte, Pannella che teneva sempre il partito sulla corda, con le firme, gli uomini-sandwich, i digiuni e le raffiche di 20 referendum, per evitare che si formasse una vera e matura classe dirigente radicale, capace un giorno anche di sostituirlo. Dall'altra, la necessità concreta di una vera “politica”, di una quotidiana dialettica con i Partiti e i movimenti della società, allo scopo di dar corpo finalmente a un nuovo e attesissimo “soggetto liberale” ancora assente in Italia, a nuove leggi liberali, a numerose riforme.
      Ma, diciamo la verità, anche la politica obbedisce alle leggi della psicologia. Nel Partito radicale si incontravano e urtavano caratteri diversissimi, incompatibili tra loro. Tipi strani, super-romantici e risorgimentali nei migliori dei casi, ma nei casi peggiori aggressivi anche coi "compagni", talvolta al limite della psico-patologia. Di "Cavallo pazzo", insomma, non ce n'era solo uno (Mario Appignani): ma un'intera classe dirigente. Figuratevi il mite e tranquillo Mellini, come deve essersi trovato. Del resto, allora più di oggi, il Partito era Pannella, con le sue bizze da primadonna, i cambiamenti di fronte, il narcisismo patologico, l'autoritarismo interno sfrenato. E andare d’accordo con un "carismatico" non è mai stato facile per nessuno: io stesso, pur defilato e indirizzato ai temi dell’ambiente, ho assistito o partecipato a sfuriate epiche. Una volta, nel mio piccolo, ricordo che perfino io al Congresso di Napoli parlai con l'oratoria irata e incalzante che avevo appreso da Marco (ma contro di lui), all'una di notte e in una sala vuota. Ma, purtroppo, tra i pochi ad ascoltarmi c'era un giornalista della Repubblica, giornale che ce l'aveva coi radicali e il giorno dopo riportò integralmente la mia filippica.
      Da anni, ormai, Mauro Mellini, da buon liberale laicista e giurista, ma anche da persona arguta, aveva il dente avvelenato coi i “nuovi Radicali”, prima quelli sotto il padre-padrone Pannella, poi dopo la scomparsa del capo carismatico con gli ormai irriconoscibili e ancora peggiori compagni di strada del conformismo “politicamente corretto” catto-sinistrese dalla Chiesa al Partito Democratico. Non gli andava giù che la gloriosa Radio radicale si fosse trasformata in fiancheggiatrice del Vaticano (c’è perfino una rubrica, assai poco critica), con citazioni continue e comunanza d’intenti su diversi punti (p.es: carceri e immigrati) col giornale dei vescovi L’Avvenire, con lunghissime corrispondenze quotidiane dalla Turchia del dittatore Erdogan (“Turchia in Europa” è stato per anni l’assurdo slogan radicale, almeno da quando la Bonino si mise a studiare l’arabo in Egitto) e dalla Sicilia per una vera e propria “campagna” fanatica quotidiana in favore dell’immigrazione selvaggia dall’Africa e dall’Asia.
      Ormai, il vecchio Mellini, non si definiva più “radicale”: era tornato da molti anni, come parecchi radicali della prima e seconda ondata, specialmente quelli che provenivano dal PLI, alle più sicure sponde liberali.
      Ma ora che Mauro Mellini è scomparso alla bella età di 93 anni, ancora lucido e battagliero (aveva appena preannunciato un nuovo pamphlet sulla giustizia), il mio pensiero riconoscente va a una persona davvero “per bene”, a un intelligente e critico galantuomo d’altri tempi, l’unico che mai si comportò in modo men che commendevole tra i caratteriali, capaci di tutto, mattoidi e aggressivi, anche tra loro, Radicali, fino a restarne ovviamente vittima predestinata. Grazie, Mauro, per avermi ricordato quegli anni avventurosi e irripetibili in cui la politica la facevano in Italia, come ai bei tempi del Risorgimento, anche i ventenni – ventenni colti e maturi, però – che gli avvocati-politici dell’epoca, a differenza di quelli di oggi, sapevano scegliere.

AGGIORNATO IL 5 LUGLIO 2020

01 marzo 2006

SCRITTORE? Professione impossibile, con questi Italiani ignoranti

Ken Follett, autore inglese di bestseller, strappa anticipi da 600 mila euro e incassi di sei milioni di dollari., stappa costoso champagne ogni giorno e viaggia su una bentley rossa. E gli italiani? Se sono esordienti, al massimo 5000 euro, scrive la Jacomella sul Corriere. E, aggiungiamo noi, anche quando hanno anticipato solo 500 o 1000 euro per le edizioni tascabili, gli editori italiani li vogliono indietro, se il libro non vende, quasi sempre per colpa loro (brutte copertine, sottotitoli sbagliati, carta e stampa pessime, nessuna presentazione o pubblicità, prezzi eccessivi, libretti inconsistenti con poco testo e grandi bordi bianchi a 13 euro…).
Insomma, i nostri scrittori, scrivono non per fare la bella vita ma per sopravvivere. Ci sono i casi eccezionali, come i guadagni una tantum di Eco (gli offrirono un miliardo di lire) o della Fallaci. A Mantova, nelle giornate del Festivaletteratura, qualche urlo e molti spintoni per arrivare primi all’autografo. "È la rockstarizzazione dello scrittore. Quando ero bambino, lo scrittore era uno sfigato: oggi invece ci sono autori, anche tra gli italiani, percepiti come pop star". Alessandro Piperno, autore di "Con le peggiori intenzioni": "Mi dissero che John Grisham era arrivato con il suo aereo privato, io stavo in un albergo a due stelle". Una frase secca che racconta l’abisso tra due mondi: "Da noi esiste un solo bestseller writer, Andrea Camilleri, il catarroso siciliano preso in giro da Fiorello. Peccato che per apprezzarlo bisogna avere un traduttore accanto di siculo-italico.
"Una differenza tra i mercati simile a quella che c’è nel cinema: se si pensa a quanto guadagnano un attore di Hollywood e uno italiano...", è l’unico flebile tentativo di spiegazione della giornalista. Non è un po’ poco? Peccato, l'articolo poteva essere interessante, ma evidentemente l’autrice si è censurata. Ha lasciato nei tanti del computer la frase tabù in Italia: gli Italiani non leggono, sono un popolo di ignoranti e semi-analfabeti. Ma se anche fossero colti e fibliomani, il mercato italofono è ristretto rispetto a quello anglofono. Questo il concetto base, il solo che secondo noi avrebbe autorizzato l'articolo.
Si "difende" l’autrice: "Autocensura? Quantomeno fuorviante. Forse le è sfuggito il passaggio sulla "differenza tra i mercati"….E poi era un pezzo di costume su come diventare ricchi scrivendo libri, non un’inchiesta a tema …Nessuna censura sul fatto che gli italiani leggano poco: ne abbiamo scritto moltissime volte (anche la sottoscritta) e continueremo a scriverne…. Infine, lei dovrebbe sapere che taglio e obiettivi di un pezzo sono di stretta competenza della direzione".
No, la frase sul mercato non ci era sfuggita, ma è troppo debole. Un’occasione ideale per ricordare che "gli Italiani leggono pochissimo". Perfino i laureati. E il fastidio per la lettura è confermato dalla pretesa di romanzi o articoli brevi, brevissimi, o comici o "televisivi", cioè scritti o commissionati da un personaggio Tv o comunque famoso. Ed è eloquente - ma questo ormai tocca ogni società di massa - anche il rifugio nell’iperuranio del romanzo, della fantasia pura, della favola (forme infantili), anziché nella storia, nella saggistica, nella biografia, nella critica delle idee, che sono le forme più evolute e mature di lettura perché coinvolgono di più le zone cerebrali corticali. Forme di lettura che i colti antichi praticavano. Del resto, i "romanzetti" erano vietati dai papà alle figlie nell’800, "perché mettevano in testa le più strane fantasie", non predisponendole, tutte prese dai sentimenti stereotipi e da una psicologia fittizia, a misurarsi con la realtà vera. Prima di Walter Scott (1771-1832) ben pochi erano i romanzi in circolazione.