19 novembre 2006

CORRIERE e giornalisti all'italiana, tra editori impuri e lettori marginali

I giornalisti italiani e i loro editori stanno facendo di tutto per disamorare i lettori. In Italia, per la scarsa alfabetizzazione dei lettori e un mediocre ceto giornalistico, i giornali sono sempre stati in crisi. O pessimi e volgari, o discreti ma per pochissimi. Gli editori, essendo tutti "impuri", cioé seguendo secondi fini politici ed economici, hanno colpe gravi. Ma sono il sindacato e i giornalisti stessi, in gran parte raccomandati, figli di papà o legati al Potere, la pesante palla al piede che oggi impedisce paradossalmente sia un giornalismo di qualità, sia un giornalismo popolare e di massa.
Ecco alcuni brani, che presento di seguito, tratti dalla Newsletter di Claudio Sabelli Fioretti, a proposito della vertenza sindacale tra giornalisti ed editori:
"Il sindacato dei giornalisti non è immune da colpe. Come quasi tutti i sindacati italiani ha dimenticato per decenni i non garantiti occupandosi solo di difendere gli occupati e di migliorare le loro condizioni. I giornalisti sono stati quasi tutti ridotti a impiegati del desk, condannati a titolare notizie prese dalle agenzie, che riempiono pagine omogeneizzate, appiattite sulle fonti, ossequianti anche più del solito al potere politico, ispirate da tutto ciò che accade nei palinsesti televisivi, accodate a Rai e Mediaset, di fatto pubblicizzando e promuovendo il suo reale e pericoloso avversario, il video. Il giornalismo di inchiesta è praticamente scomparso, appaltato all'iniziativa quasi privata di qualche generoso e validissimo collega. In Germania alcuni anni or sono i dipendenti delle grosse fabbriche automobilistiche (e forse anche altrove) accettarono di guadagnare di meno in cambio di nuove assunzioni. Provate a fare questa proposta ai giornalisti italiani".
Bravo, condivido tutto: corporativismo editoriale contro corporativismo giornalistico. Ma è solo un piccolo aspetto. Bisogna aggiungere che il prodotto giornale si è degradato molto. E non solo per colpa degli editori, ma soprattutto di cattivi direttori e giornalisti. Il fatto che siano quasi tutti raccomandati, figli di papà o assunti per amicizia, e che si frequentino tra loro senza fare la vita dei comuni mortali, si fa sentire, eccome. La corporazione chiusa e snobistica dei giornalisti italiani, unici al mondo, è legata al Potere e fa la vita del potere. Nei Paesi anglosassoni non è così.
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Il panorama è desolante. Dai quotidiani (per parlare solo di questi) è sparita la cultura, la scienza, la critica, la saggistica, e ogni approfondimento (che per forza vuole articoli lunghi). Ed è grave, perché pochi ricordano che il giornalismo nasce storicamente come commento, critica, tesi, pedagogia sociale, non come cronaca, che agli Antichi proprio non interessava.
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Una sola cosa bella avevamo inventato in Italia, la terza pagina, e l'abbiamo cancellata. Ma questo non ha reso più agile, elegante, moderno, il quotidiano italiano, anzi. Oggi i quotidiani italiani sono brutti - alcuni orribili a vedersi già nella prima pagina - e soprattutto inutili.
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La politica è tanta (per quale motivo gli editori "impuri" italiani comprerebbero una testata, che è quasi sempre in perdita, se non per autodifesa, per ingraziarsi qualcuno, o fare do-ut-des attraverso le pagine politiche o economiche?), ma presentata come pettegolezzo. Ma le sentite le domandine che fanno i cronisti "politici" ai politici? Sapendo che è questo che vogliono i giornalisti per fare il pezzo, i politici si adeguano.
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C'è proprio una riduzione della "varietà biologica", si direbbe in ecologia. Si sono estinte alcune specie giornalistiche. Vent'anni fa esisteva ancora la critica musicale, per fare un esempio. Il jazz, per dire, recensito ad ogni concerto o festival. Dopo l'evento, naturalmente. Oggi è finito. I rari giornali che ne parlano pretendono un pezzullo pubblicitario "prima" dell'evento. Dopodiché, se il concerto non si tiene (è accaduto), resta impressa nella carta a imperitura memoria la recensione preventiva.
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Tutto è appiattito, banalizzato come in tv. Nei quotidiani, anche nel Corriere della Sera, ci sono troppo sport e troppa tv. E' assurdo che il CdS imiti in tutto i tabloid popolari. Il lettore di qualità comprava il CdS perché era - 30 anni fa - di qualità. Se è come gli altri giornali non lo compra più. E infatti oggi il CdS ha un pubblico analogo agli altri giornali: vuole molto sport e tv. Per forza, cari direttori ed editori del Corriere, il pubblico esigente voi lo avete già cacciato molti anni fa, ed ora - dopo la riforma degli ultimi anni - state cacciando anche la frangia medio-alta.
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I titoli sono spesso o futili o sbagliati, e evidenziano talvolta solo un aspetto marginale dell'articolo, sviando o disgustando il lettore. E il paradosso è che oggi gli articoli sono lunghi in media la metà di 20 o 30 anni fa, spesso troppo brevi e superficiali per esaurire il tema, ma "ritornano" spesso, cioè vengono ripubblicati con poche variazioni. Sempre allo stesso livello: superficiale, futile, incompleto. Chi, come me ha un poderoso archivio di ritagli (su pc e cartacei) se ne accorge subito: gli argomenti sono sempre gli stessi pochi.
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E ormai solo pochissimi articoli per testata valgono la pena dell'acquisto del quotidiano: un peso di carta zeppa di pubblicità e supplementi inutili di carta patinata, per non dire dei gadgets (ma questo è il meno: potrebbero in teoria convivere con giornali di qualità). Grafici e direttori senza idee hanno distrutto i giornali. Un esempio personale: 20-30 anni fa ogni numero del Corriere della Sera dava (a me che sono pieno di interessi) ben 10-20 articoli degni di essere conservati. Oggi, tra grafiche illeggibili e inutili che non aggiungono ma ripetono particolari dell'articolo, tabelle incomprensibili in corpo 8, foto rosseggianti inguardabili [ma sant'iddio, se la tecnologia per le foto sui quotidiani è ancora così arretrata, non mettetele 'ste foto, grafici e direttori-succubi!], titoli, sottotitoli, colletti, sommari e sommarietti, tra sport, pettegolezzi vip e televisione, è tanto se riesco a isolare 2-3 articoli belli o importanti.
Questo sull'ex "migliore" quotidiano italiano, divenuto ormai un giornale "popolare". Figuratevi sugli altri. Insomma, vale la pena comprare il quotidiano - si dicono in molti - se su internet trovi ben altro che quei 2-3 articoli?
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Altro che nuove assunzioni, caro Sabelli Fioretti. Qui in teoria bisognerebbe licenziare i due terzi dei giornalisti italiani, in effetti inutili o incapaci, e chiudere oltre la metà delle inutili testate. Senza contare la "fossa delle Marianne" del giornalismo italiano: i telegiornali, pubblici e privati. Nei quali, a vedere i risultati, basterebbero 10 o 20 giornalisti ciascuno. E dovremmo trovare una Thatcher capace di razionalizzare: da una parte un giornalismo raffinato, elegante, di qualità, di commento, più costoso (per pochi). Dall'altra i tabloid all'anglosassone, economici o gratuiti. Quindi è sbagliata e corporativa la puzza sotto al naso verso i "giornali da metropolitana".
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Concludo quasi come Catone: ci vogliono due farmaci urgentissimi: abolizione dell'Ordine dei giornalisti e abolizione di ogni provvidenza di Stato alla stampa, sotto qualsiasi forma: dalla carta alle cooperative.

2 Comments:

Blogger Jakala said...

Tristemente ti do ragione, io avevo iniziato a comprare il CdS già dal liceo per poi smettere durante l'università, in quanto la qualità si stava precipitando grazie all'azione di Mieli, decantato come un grande direttore, ma solo per ragioni politiche.

Uno dei pochi giornali decenti è ormai il Sole24Ore che può permettersi articoli di approfondimento su cultura, scienza molto validi, limitando la politica al minimo.

20 novembre 2006 alle ore 11:37  
Anonymous Anonimo said...

Hpo smesso di leggerli da quando (1974-75) sono diventati tutti dei mediocri surrogati dell'Unità.

21 novembre 2006 alle ore 09:28  

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