30 luglio 2006

CARNE DI CANE, ieri e oggi: «L’arrosto di San Bernardo? Squisito e afrodisiaco».

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“AMICI DELL’UOMO” IN TAVOLA
ARROSTO DI CANE
IL SAN BERNARDO? «SQUISITO E AFRODISIACO»
La carne di cane? Una “leccornia”. In Cina e in Corea migliaia di cani, importati anche dall’Europa e dall’America, sono cucinati e serviti, spesso sottobanco, sulla tavola dei ghiottoni più tradizionalisti. Il più richiesto è il cane San Bernardo, un tempo utilizzato per la ricerca dei dispersi in montagna. Secondo i cinesi ha “carni squisite” che “eccitano il sesso”. Ma di solito sono utilizzati cagnolini di taglia piccola. Il “civile” mondo occidentale protesta, ma non troppo. Perché anch’esso ha le sue colpe, presenti e soprattutto passate. Per esempio, Greci e Romani antichi...
di NICO VALERIO, novembre 2001
carne-di-cane-in-cina1«Cagnolino arrosto? E’ carne freschissima, glielo assicuro. Cucinato vivo: si muoveva ancora. Un allevamento pregiato. Lo facciamo venire apposta dall’Europa per i clienti migliori, come lei». Lo chef cinese si indirizza con psicologia antica all’orecchio del funzionario di partito o del giovane imprenditore rampante della new economy, che a tavola, si sa, sono particolarmente esigenti. Clienti d’oro. Ghiottoni dal portafoglio ben fornito, che amano i piatti rari e insoliti della cucina tradizionale: manicaretti di carne di serpente, orso, tartaruga e anche di cane.
Una scena comune nelle piccole trattorie fuori mano, specialmente nel sud, a Canton, lontano da quei ficcanaso dei turisti occidentali. Per i cinesi maschi la carne di cane (kou) è considerata da millenni un cibo prelibato e dalle molte salutari proprietà. La più pregiata è quella del cane San Bernardo, ritenuta dagli “esperti” afrodisiaca.

Rari sui banchi dei normali macellai di città e nei colorati e rumorosi mercati all’aperto, i cagnolini lattanti spellati e pronti da cuocere, interi o squartati con cura per mostrare le ricercatissime interiora e invogliare così i clienti, si possono trovare ormai solo sui tavoli di cucina delle trattorie popolari più nascoste, oppure sui banchi delle feste popolari, come a Yulin nella regione autonoma di Guan-xi (Cina), dove si stima che ogni anno in occasione delle feste popolari per il solstizio d'estate (21 giugno) siano macellati, cotti e mangiati migliaia di cani Solo nel 2013 sono stati circa 10 mila. E ci sono cani cinesi, spesso rubati ai loro padroni, e cani importati dall'estero, a più caro prezzo. Sui banchi s’indovinano le carni bianche e aristocratiche dei giovani cani capitalisti degli allevamenti australiani o americani, ben più tenere di quelle dei randagi proletari delle campagne o delle viuzze maleodoranti delle periferie urbane della Cina.

Carne cane in Cina festa equinozio estate 21 giugnoOgni tanto, però, càpita che un fotografo occidentale, travestito da turista, fotografi la scena, non nascondendo sotto la maschera cinica di chi ne ha viste tante una smorfia di ribrezzo. Specialmente quando scopre che lo spezzatino di cane più richiesto, tra i tanti di cani cinesi di piccola taglia, è quello del mite e carnoso cane delle Alpi, il San Bernardo, fino a pochi anni fa utilizzato per ricercare e soccorrere – grazie alla fiaschetta d’acquavite legata al collare – gli escursionisti di montagna dispersi o in difficoltà.

Oggi, anziché essergli grati, gli uomini se lo pappano in umido, oppure arrosto o in brodo. Un modo imprevisto, per il “migliore amico dell’uomo”, di farsi apprezzare e di rendersi ancora “utile”.
Nascosto alle autorità del commercio mondiale sotto il capitolo “importazione d’animali da pelliccia”, o “da allevamento”, l’uso alimentare dei cani da parte dei cinesi ha sollevato l’indignazione degli anglosassoni. Che però si guardano bene dal rifiutarsi di esportare i cani. Gli affari sono affari. Si può calcolare che almeno centomila cani l’anno possano essere uccisi per la loro pelle e poi utilizzati in cucina come golosità per ricchi cittadini e provinciali tradizionalisti. E poi, per paradosso, proprio con le pellicce di quei cani i cinesi fabbricano i baveri di pelo per i loro economici e caldi giacconi o eskimo venduti in Occidente.

Ma di fronte agli occidentali i cinesi si vergognano di quest’uso gastronomico. Negano che il consumo di carne di cane sia elevato e sostengono che è un residuo del passato, ormai limitato a rare occasioni e a ristrette aree. Anche la popolazione, soprattutto quella femminile, sostiene che “in Cina non si mangia carne di cane”. Lo ripete, tra gli altri, la gentile signora Zhu Sheng Hua (in Italia “Anna Chang”), direttrice del raffinato ristorante “Ruyi” di via Valadier, a Roma. Per dimostrare d’essere credibile mi elenca altre pietanze d’uso tradizionale in Cina considerate “proibite” da noi occidentali, come lo Jiao yin ser, che è uno stufato di serpente con sesamo e salsa di soia, e il Qin nie jia yie, di vera carne di tartaruga. Anche Wilma Costantini, esperta di cultura cinese che ha risieduto a lungo in Cina, esclude di aver mai notato esposte nei mercati le carni di cane. «Anche tra i cinesi, specialmente dopo le proteste occidentali, si sta facendo largo un certo ritegno nell’ammettere questa pratica alimentare. Forse in coincidenza con la timida riscoperta in Cina del cane come animale da guardia e da compagnia, dopo che era stato eliminato dalle città in seguito alla Rivoluzione culturale dei decenni scorsi». Le donne negano, dunque. Per forza, la carne “afrodisiaca” di cane è richiesta soprattutto dagli uomini.

Carne di cane arrosto venduta in Sud Corea Fatto sta che su una popolazione così numerosa, si obietta in Occidente, anche un consumo “di nicchia” può arrivare a centinaia di migliaia di animali. Per questo il governo della Nuova Zelanda ha di recente inviato una petizione alle Nazioni Unite, denunciando il lassismo e la complicità commerciale dei paesi esportatori: Stati Uniti, Australia ed Europa. Le organizzazioni non governative, dal canto loro, stanno indirizzando appelli alla Fao, che come agenzia alimentare dovrebbe avere competenza sulla materia (l’indirizzo è: Mr. Jack Diouf, Food and agricolture organisation, viale Terme di Caracalla, 00100 Roma).
Ma sottobanco, per ospiti di riguardo, accade che perfino in Occidente, per esempio in Italia, qualche ristorante cinese cucini carne di cane, come ha denunciato un articolo di Gianni Santucci sul Corriere della Sera.

L’Europa, poi, ha pochi titoli per scandalizzarsi, sia dal punto di vista etico, che da quello protezionistico o del gusto. In molti paesi (vedi riquadro), ancora in età classica e anche in seguito, il consumo di carne di cane e perfino di latte di cagna era normale. In Italia, fino al ‘600 e oltre si è mangiata carne d’orso, e ogni specie di cacciagione, compresi uccelli e mammiferi selvatici rari o familiari (come rondini, gru e cicogne). In Italia, Francia e Spagna si mangiano tradizionalmente carni di cavallo, di coniglio, di rana e di riccio. Eppure il primo era ritenuto dai Romani, ed oggi dagli anglosassoni, animale nobile perché legato ai cavalieri, alla guerra e alle virtù militari. Oggi è tanto amato e familiare da essere equiparato ad un animale domestico, come il coniglio. Perciò l’uso alimentare di entrambi gli animali è assolutamente tabù in Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Ma non nei paesi latini.

Il rifiuto culturale in alcuni soggetti diventa raccapriccio quando le piccole dimensioni rendono riconoscibile nel piatto la forma originaria. In questo ben noto processo psicologico – lo stesso che permette ai non vegetariani di gustare senza rimorsi un’informe e anodina bistecca – gli europei e gli occidentali in genere mostrano strane contraddizioni. I gourmet francesi e italiani, per esempio, considerano prelibato il formaggio stramaturo brulicante di vermi, tanto da avervi abbinato dei vini particolari. Le rane e le chiocciole erano e sono accettate come ghiottonerie, allo stesso modo dei pesci. Chissà perché, le anguille e i “capitoni” sono “squisiti”, mentre i serpenti e le lucertole sono “disgustosi” e “raccapriccianti”. Eppure, nessuno considera imbarazzante, tutt’altro, mangiare ben più mostruose delizie animalesche: granchi, gamberi, aragoste e crostacei d’ogni specie, polpi e calamari, ricci di mare, ostriche. Non si vede, dunque con quale coerenza i finti non-violenti e gli schizzinosi di casa nostra mostrino orrore per i cani che finiscono sui piatti cinesi e disgusto per i serpenti marinati e le salse di formiche rosse (Asia), le larve di mosca, i coleotteri, le cavallette e i topini di campagna arrosto (Africa).

Ipocrisia? Ma no, solo antropologia, cioè abitudine culturale. Il mondo dei tabù alimentari, insomma, a cominciare dalle fave che ripugnavano a Pitagora e ai suoi discepoli, nonostante che fossero vegetariani (anzi, proprio per questo: perché credevano che in quei legumi si celassero le anime dei morti), è così variegato e irrazionale da avvalorare ancora una volta il gustoso, vecchio paradosso degli antropologi, che – lontano dai colleghi, in maniche di camicia e con un boccale di birra scura in mano sono disposti a sostenere che “tutto è tradizione” e che, in parole povere, “non esiste il cibo tipico dell’uomo”.
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CURIOSITA’ DELLA NOSTRA CULTURA ANTROPOLOGICA 
CARNE DI CANE IN TAVOLA? SI’, MA PER RELIGIOSI TRADIZIONALISTI
Romani e Greci mangiavano, eccome, carne di cane. Con alcune limitazioni, però. E bevevano addirittura “latte di cagna”. Come nella Cina d’oggi, nella Grecia classica, poverissima di cibi proteici, il cane era un cibo volgare ma spesso necessario al sostentamento, e purtuttavia apprezzato. “Socrate mangiava carne di cane” è il titolo d’un capitolo della Tavola degli Antichi, un volume degli Oscar Mondadori uscito nel 1989. Del resto anche la cugina volpe era d’uso culinario. Un po’ come oggi in Oriente, però, si aveva un certo ritegno ad ammettere di mangiare carne di cane. Era considerata un’abitudine vergognosa, da uomini poveri o rozzi. «I pitagorici non mangiano cibi animati” dice un personaggio della commedia satirica “I tarantini” di Alessi. «Eppure – gli obietta un altro – Epicaride, che è pitagorico, mangia carne di cane». «Certo, – replica il primo – ma prima l’ammazza… E così non è più animato». Come si vede, il tabù dell’animale “da compagnia” era già operante, sia pure in forma attenuata.

In Grecia, negli scavi del 1985 a est del teatro di Corinto, in una costruzione a più locali, alcuni evidentemente destinati a macelleria, altri a cucina, di quello che doveva essere un complesso pubblico, sono state trovati ben 145 kg di ossa di animali usualmente macellati (manzi, capre, suini, uccelli, pesci ecc.), ma anche ossa di cani giovani (probabilmente 9 individui) di età dai 6-7 ai 13-16 mesi. La maggior parte delle ossa canine, per i segni e le rotture caratteristiche dovevano far parte di carni evidentemente macellate, quindi destinate all’alimentazione (David S. Reese, A bone assemblage at Corinth of the second century after Christ. American School of Classic Studies in Athens).

Sulla tavola arcaica dei Romani, dove il manzo non compare per un altro tabù, quello dei “buoi, animali da lavoro”, sanzionato dalle Leggi delle XII tavole, la carne di cagnolino (“catulina caro”), tenera e non tigliosa come quella dei buoi, era presente solo occasionalmente, e per lo più per motivi rituali e religiosi. Secoli dopo, fino all’epoca imperiale (I secolo d.C.), quando ormai erano diffusi gli allevamenti di bovini, quest’antico uso alimentare ancora sopravviveva come rito codificato: ogni anno si riunivano per mangiare – come gli antenati – carne di cane in un pubblico banchetto i membri della comunità religiosa dedicata agli dèi Mani, protettori della casa e delle tradizioni ancestrali.

Numerosi, poi, i cani sacrificati agli dei, come quelli tipici della festa dei Robigalia, di pelo rosso per analogia col colore della ruggine delle spighe di grano, cereale protetto dalla dea arcaica Robigo. Ebbene, in tutti i casi, dopo il sacrificio, il sacerdote e i suoi inservienti mangiavano al posto del dio le carni cotte del cane ucciso. Insomma, i preti si prendevano l’arrosto, al dio andava solo il fumo e semmai il profumo (per fumum).

Nei primi secoli a Roma si allevavano anche cagne da latte. E come si vendeva il colostro di pecora e capra, cioè il liquido che precede il latte vero e proprio dell’animale, per “fortificare” lattanti, bambini, malati e vecchi, così era messo in commercio il latte di cagna. Non ci sono giunte notizie sui consumatori di questo latte, leggero e molto delicato al gusto, ancor più di quello d’asina consigliato vivamente dall’intellettuale di origine etrusca Mecenate. E’ probabile che fosse ritenuto “più leggero” o “più adatto a soggetti delicati o malati”, o fosse indicato per bambini, anziani, malati e convalescenti (cfr. N. Valerio. La tavola degli Antichi, Mondadori 1989).
NICO VALERIO, novembre 2001

IMMAGINI. Cani arrosto in vendita oggi nelle bancarelle all’aperto dei mercati di Cina e Corea, dove sono celebrate addirittura delle “Feste del cane”, purtroppo inteso come “carne di cane”. Ma anche noi Europei lo abbiamo fatto più di 2000 anni fa, e anche più di recente in tempi di carestia e di guerra.

AGGIORNATO IL 17 GIUGNO 2015

11 luglio 2006

AMICI DELLA TERRA: inquina di più un inceneritore o una discarica abusiva?

L'appello che Rosa Filippini, degli Amici della terra, ha inviato tramite l'agenzia Notizie Radicali al ministro dell'ambiente e agli ecologisti è capace di scuotere, forse, i cuori dei politici - se ne hanno ancora uno - ma non di stimolare i loro cervelli. Sarebbe stato meglio scriverlo in modo più documentato e razionale, e non così populisticamente emotivo. Dopotutto, se si lamenta l'irrazionalità dei Verdi, si deve poi essere in grado di argomentare in modo più razionale.
E invece, qual è il fatto che ha fatto traboccare il bicchiere della Margareth Thathcher dell'ambientalismo italiano? Il sito archeologico? Conoscendo un poco la Filippini, non credo. Che sia accaduto in Puglia, o comunque al Sud? Neanche. Tutt'al più serve come artificio retorico nel più puro stile "politichese", variante meridionalistica. E allora?
L'opzione di fondo è l'interpretazione industrialista e tecnocratica del fenomeno ecologico, rifiuti compresi. Da liberale, nulla in contrario, anche se si è scoperto che grandi impianti e interventi di scala mal si conciliano con le diversità e disomogeneità tipiche dei problemi dell'ambiente. Purché non si arrivi, voglio dire, a deturpare in modo irreparabile il territorio, come è accaduto con le torri eoliche, di per se "pulite".
Ma il problema vero è un altro. Qual è il vero confronto di previsioni, cifre, costi, vantaggi, rischi? Quale la presenza prevista, quale il ruolo epidemiololgico delle particelle o polveri sottili PM 10 e oltre? Un'opzione così delicata, quella dell'iimpatto ambientale tra discariche a cielo aperto e termovalorizzatori, avrebbe meritato qualche argomentazione in più, che so, almeno qualche link o rimando a studi tecnologici e scientifici accurati. Ci torneremo sù, perché l'argomento ci interessa, e da ecologisti razionali ci piace sentire anche l'altra campana. Per esempio, Stefano Montanari e Marcella Lorenti, che invece stanno lottando contro un inceneritore programmato in Maremma. (Nico Valerio)
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La notizia che una nuova discarica d'emergenza in Puglia è stata localizzata in un sito archeologico di grande interesse rappresenta un fatto politico oltre che una storia di ordinaria arretratezza del nostro Mezzogiorno.
Non intendiamo speculare sull'ennesimo scandalo e sui suoi risvolti, anche penali, ma vorremmo che l'episodio non fosse ignorato e costituisse invece l'occasione per riconoscere un fatto: la demonizzazione dell'incenerimento con recupero di energia perseguita dagli ambientalisti, dai verdi e dai partiti di sinistra ha come risultato quello di favorire l'apertura di nuove discariche o l'invio all'estero dei rifiuti; vale a dire, le peggiori soluzioni che una classe politica che si dichiara eticamente e ambientalmente sensibile possa augurarsi.
Sono passati dodici anni dalla prima volta che gli Amici della Terra hanno apertamente sostenuto la tesi che i veti agli inceneritori non aiutano l'ambiente ma peggiorano le condizioni dell'emergenza e ritardano gli obiettivi di sostenibilità del settore dei rifiuti. L'esperienza, la cronaca quotidiana, le statistiche di tutta Europa ci danno inequivocabilmente ragione.
Non si tratta di costruire inceneritori ovunque, ma di dotare il Mezzogiorno degli impianti necessari per evitare nuove discariche, consentendo che una gestione integrata, così come avviene nel nord del nostro paese, riequilibri il sistema, aiuti a superare il regime di commissariamento straordinario ed eviti nuove emergenze.
Caro Ministro, caro Governatore, cari amici ambientalisti del centro sinistra, tutto ciò può essere fatto a partire da parole chiare che, ora che siete al governo o in posizioni di grande influenza sugli esecutivi, avete la possibilità di dire dissipando le troppe ambiguità che hanno caratterizzato la politica ambientalista di questi anni e condizionato le posizioni dei partiti.
ROSA FILIPPINI
Presidente degli Amici della Terra

10 luglio 2006

MOSTRI IN CASA. Quel terrificante “molto piccolo” che ci vive accanto.

Acaro dermatofagoidesL’invisibile nella nostra casa

FANTASMI E MOSTRI

NEL NOSTRO LETTO

E’ stata fotografata l’inquietante “impronta termica” del nostro corpo, impressa sul materasso. Ma tra le lenzuola con noi, e anche sulla nostra pelle, ci sono milioni di repellenti e mostruosi abitatori, come del resto in cucina, in terrazzo e in ogni angolo della casa. E non c’è igiene che tenga: è quasi impossibile cacciarli. Ma perfino l’innocuo sale da cucina e la punta d’uno spillo rivelano sorprese incredibili sotto le lenti dei moderni microscopi. Ecco le curiosità che l’estremamente piccolo riserva in un normale appartamento.

di OLIVER KAHN
(anagramma di Nico Valerio), Teknos, marzo 1996

Sono in tanti, ammettiamolo, a dormire con noi e nostra moglie tra le nostre lenzuola, o a rifugiarsi di nascosto sotto il nostro letto. Ma non è cosa che possa far ingelosire un Otello. Semmai, a non vederla di buon occhio sono il parassitologo, il medico igienista e l'epidemiologo.

Giorno e notte, migliaia di orridi animaletti a otto zampe armati di corazza chitinosa e artigli seghettati che usano per portare alla bocca i brandelli di pelle del nostro corpo, cugini di ragni e scorpioni (per gli zoologi, sono artropodi della classe degli Aracnidi), si insinuano in pigiami e slip, ci seguono sulla nostra pelle quando ci alziamo al mattino, si annidano in mucchi brulicanti nella polvere degli angoli, sotto il letto, sopra e sotto tappeti e moquette, dove si cibano anche di molliche e resti amidacei, e camminano su migliaia di scheletri, quelli dei loro padri e nonni mummificati. In un letto matrimoniale sono circa 2 milioni questi acari dermatofagi che a loro agio respirano, mangiano, si accoppiano e defecano.

Defecano? Certo. Ogni giorno, venti milioni di pallottoline di escrementi leggerissimi che ondeggiano nell'aria insieme con i frammenti degli scheletri, sono inavvertitamente inalati dall'uomo con la respirazione e possono causare asma e gravi broncopneumopatie di origine allergica.

Punta di spillo colonizzata da batteri Per fortuna, soffriamo della "sindrome di Gulliver" nel regno di Lilliput, cioè non abbiamo la vista così acuta da vederli: sono lunghi un decimo di millimetro circa. Ma se noi fossimo 100 o 1000 volte piú piccoli (o loro 100 o 1.000 volte più grandi) ci apparirebbero massicci e ributtanti come grossi scarafaggi e ratti di fogna, e forse chissà potrebbero ucciderci nel sonno. Incubi dì calde notti insonni in una capanna del Bangladesh? Macché, siamo in una casa elegante o in un albergo di lusso in Italia, negli Stati Uniti, in Germania o in qualunque altro Paese avanzato. Studi epidemiologici hanno appurato che l'acaro dermatophagoides è presente nel 100 per cento delle nostre case, anche le più pulite. Solo eliminando tappeti, poltrone e tende, cambiando lenzuola ogni giorno o scuotendole ed esponendole all'aria fresca, e togliendo accuratamente la polvere con potenti aspirapolvere ogni giorno un lavoro quotidiano di almeno 2 ore potremmo non eliminare ma ridurre il numero di questi indesiderati coinquilini.

Minacciosi, ma solo se visti al microscopio, appaiono anche altri nostri coinquilini, i punteruoli (famiglia dei Curculionidi), coleotteri che vivono in cucina o nella dispensa e scavano gallerie nei chicchi di riso, nei legumi e nella pasta aiutandosi con un lungo rostro dotato di lame acuminate, come le escavatrici circolati utilizzate per costruire le metropolitane sotterranee.

Termografia uomo steso su un letto (Bodanis) Il nostro salotto, se i mobili sono vecchiotti, è il regno di caparbi coleotteri xilofagi del genere Anobium, che al microscopio elettronico appaiono dotati di sfaccettati occhi azzurrini. Il terrazzo, il giardino, perfino i vasi di fiori sul davanzale, sono l'habitat ideale per i verdi afidi, insetti emitteri, che vivono succhiando la linfa zuccherina delle piante con la loro siringa buccale. Sono curati e difesi c'è chi dice "allevati" dalle formiche, che non mancano mai in terrazzo, ghiotte dei loro escrementi ricchi di zucchero. E sulle foglie, talvolta, proprio dove è stata sparsa un po' della linfa dolce, si può generare una coltura di lieviti che a 3.000 ingrandimenti ricorda una distesa di piselli.

Alcune piante, però, si difendono dalla denutrizione e dalle virosi causate dagli afidi con foghe munite di microscopici aculei taglienti e una colla capace di immobilizzarli. Succhiano il sangue umano, ma solo al buio, altri emitteri come Cimex lectularius, la cimice, per noi triste ricordo di tempi di scarsa igiene, povertà e promiscuità. Sono ancor oggi comuni nelle locande in Asia, Africa e Sud-America, ma non solo. Una penetrante proboscide e i radi peli ne fanno dei soggetti molto interessanti per la microfotografia.

Cristalli di sale da cucina cloruro di sodio Queste e altre innumerevoli stranezze della nostra quotidiana vita d'appartamento, visibili solo con l'ausilio di potenti microscopi, sono state documentate da David Bodanis, un divulgatore scientifico americano che ha attinto a uno straordinario apparato iconografico selezionato negli archivi scientifici e industriali di tutto il mondo.

Anche chi credeva di sapere abbastanza di cose scientifiche, scopre attraverso il terzo occhio a 600 o 6.000 ingrandimenti qualche aspetto del tutto nuovo della realtà casalinga. Una pentola di alluminio mai usata, per esempio. Che cosa c'è di più liscio e regolare? Eppure una microfotografia a 4.000 ingrandimenti rivela una superficie lunare segnata da mille concrezioni e impurità. Nella carta di giornale, poi, sono chiaramente visibili fibre d'ogni genere ammassate come in un pagliaio (perfino vetro e amianto, lana e capelli).

Il canovaccio di cucina con cui si asciugano i piatti è un terreno di coltura quasi perfetto per i microrganismi, uno dei quali, il batterio Pseudomonas, quando è in posa davanti al foto microscopio elettronico, assume atteggiamenti da divo e ostenta una sorta di coda di cavallo da hippy. Del resto, anche sulla punta degli spilli sono stati trovati grappoli di batteri.

Insetto xilofago che scava gallerie nei mobili e sedie di legno In cucina, sale, zucchero e caffè rivelano costruzioni ed effetti affascinanti. Il sale assomiglia a una complessa navicella spaziale assemblata con sezioni cubiformi, mentre alla luce polarizzata i cristalli di zucchero appaiono ramificati in coralli azzurri degni di atolli del Pacifico, e la superficie del nostro caffè del mattino, nella tazzina, presenta meravigliose simmetrie colorate come un caleidoscopio, a seconda delle microvibrazioni presenti nell'aria.

Perfino il nostro odore è stato fotografato. E’ noto che le naturali secrezioni prodotte dal corpo dell'uomo emanano un odore sgradevole, dovuto alla presenza di sostanze chimiche aromatiche come scatolo e indolo, le stesse che sono presenti inquilini invisibili nelle feci. e, come fissativi dell'aroma, in numerosi profumi in commercio. La foto a luce polarizzata dell'indolo, che insieme con ammoniaca, alcool etilico e idrogeno solforato sembra costituire la base chimica del tipico odore umano, ricorda qualcosa di una aurora boreale. In bagno ogni uomo sa che la differenza tra il radersi con un rasoio elettrico e con uno a mano consiste solo in un diverso grado di rumore e di irritazione della pelle, maggiori, entrambi, nel primo caso. Ma al microscopio, checché ne dicano i produttori di rasoi elettrici, si vede benissimo che con i loro infernali strumenti il pelo non viene tagliato di netto, come con la lametta, ma strappato e sfibrato malamente.

Ma è ancora il nostro letto che offre le immagini più misteriose, se è corredato di un materasso a molle. La gommapiuma di cuscini e materassi diventa bellissima sotto i sistemi ottici più sofisticati e le sue microfoto mostrano una fitta rete di anelli colorati. E poi, qualunque sia il materiale di cui è fatto il materasso, ogni letto conserva in modo davvero inquietante la nostra immagine.

Dopo essere rimasti stesi nel letto a lungo, tanto meglio se nudi, la nostra impronta termica permane abbastanza netta per alcuni minuti anche dopo che ci siamo alzati. La fotografia all'infrarosso del nostro "fantasma" posato sul letto, scattata da noi stessi in piedi e ormai vestiti, potrebbe terrorizzare qualcuno o far pensare i cultori di scienze esoteriche alla presenza di "visitor" o di anime di sopravvissuti, se non addirittura all'angelo custode. Macché, è soltanto la "memoria" fisica del nostro corpo.

IMMAGINI. 1. Testa e arti superiori dell’acaro dermatofagoides che è “dorme” tra le nostre lenzuola insieme a noi… 2. Batteri che colonizzano la punta di uno spillo. 3. Il comune sale da cucina. 4. L’impronta termica di una persona a letto. 4. Il tarlo dei mobili e delle sedie.

AGGIORNATO IL 30 OTTOBRE 2014

06 luglio 2006

PROCESSI DEGNI DI STALIN. Il calcio rappresenta bene l'Italia

Un vincitore, comune vadano le cose al Mondiale, c'è già, ed è la Juventus, intitola il Giornale: Buffon, Zambrotta, Cannavaro, Thuram, Camoranesi, Vieira, Zidane, Del Piero, Trezeguet, Henry, Inzaghi. E Peruzzi secondo portiere. Senza contare Lippi in panchina e Platini manager. Nella finale di domenica a Berlino tra Italia e Francia si conteranno ben 8 giocatori della Juventus (5 italiani e 3 francesi), più 4 ex juventini, calcola in una lettera al Corriere Giacomo Langfelder. Be', non è forse questa la prova schiacciante - aggiungiamo noi - della grandezza della Juve e della piccolezza di Moggi? Quest'ultimo, con le sue proverbiali spacconate, con i suoi trucchi, per lo più tentati o solo vantati, che altro avrebbe potuto aggiungere al valore di calciatori del genere? Questa è la vera domanda retorica che gli accusatori della Juve dovrebbero farsi. A che serviva raccomandare i primi della classe? Sono o non sono Italia e Francia, zeppe di juventini, arrivate alla finalissima mondiale? E i giocatori juventini giocano bene o no?
Ma facciamo un passo indietro.
Dopo l'articolo di costume precedente, questa è la terza volta in vita mia che scrivo di calcio. La prima, a 15 anni, sul giornalino della scuola, dove sostenevo la tesi cattivista, alla Gianni Brera, che gli italiani mangiano troppa pastasciutta per giocare bene al calcio. Tesi futurista senza saperlo, imbarazzante per chi sarebbe diventato in seguito un esperto di alimentazione (anzi, i carboidrati complessi sono l'ideale per il lento rilascio energetico). Ed ero già juventino, sia chiaro, da almeno 5 anni.
"Non è un processo ma una decapitazione", è il titolo messo dal Corriere ad un articolo garantista e liberale di Piero Ostellino. Anche lui sospetto juventino? Be' noi juventini siamo milioni, il primo partito in Italia. E non perché la Juve "vince sempre", come insinuano gli avversari, ma per la classe, la dignità, la moderazione, il motto insieme sportivo e liberale "vinca il migliore", che caratterizzano (e in parte ancor oggi) l'ambiente della Juve. Perciò le grossolanità e le pastette immaginate dal faccendiere Moggi, davvero il meno "juventino" in assoluto tra i direttori generali, sono stati un duro colpo per gli appassionati della Juve. Squadra così forte, con giocatori talmente bravi, da non richiedere certo raccomandazioni di sorta. Come mostrano anche i decenni di vittorie nelle Coppe e ai Mondiali, dove certo il "sistema Moggi" non poteva arrivare. Ma se anche fosse vere che in qualche partita si fosse preferito un arbitro ad un altro, che c'entrano i giocatori? Se fossero stati brocchi non avrebbero mai vinto, neanche con arbitri parenti. E invece i giocatori della Juve sudavano, faticavano, si dannavano l'anima come e più degli altri.
Ma il grave è il processo staliniano che è in corso nelle sale della Lega Calcio. Un processo sommario, che commina pene severissime sulla base della sola accusa. Difensori e testimoni sono in posizione nettamente inferiore, lamenta nell'articolo citato Ostellino. Insomma, il processo a Juve, Milan e alle altre squadre rischia di essere la rappresentazione della giustizia in Italia. Una tesi accusatoria prefissata, testimoni in subordine. A quanto i solito ruolo dei "pentiti di Stato" scelti accuratamente e prezzolati perché confermino il teorema dell'accusa, come direbbe il bravo avvocato Mauro Mellini? Un cattivo esempio anche per i tifosi delle curve, che ora si confermeranno nell'idea che è il furor di popolo, la piazza, a fare e disfare i processi in Italia.
http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CULTURA&doc=POTERI

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04 luglio 2006

PALLA AL PIEDE. Le ragazze anti-football che vagano nei vicoli bui...

Cari amici, inutile - ci ho provato per molti anni - fare finta che il calcio non esista. Controproducenti e faticosi i gesti snob studiati per l'auto-gratificazione elitaria. Per molti anni - ricordo - durante le finalissime Tv uscivo di casa e andavo in giro. Credendo così di fuggire la telecronaca, la tv, il football, la folla stupida, il mondo. Errore.
Era peggio, sul piano psicologico: ovunque, perfino nei vicoli più nascosti, le urla, le trombette, i boati, il volume degli apparecchi, mi raggiungeva amplificato dalle quinte dei cortili e dei palazzi romani. Un incubo un po' surreale.
E come nella triste notte di Natale dei racconti di Dickens, i rari e sperduti passanti affrettavano il passo per mettersi in salvo nei portoni. Come se giudicassero una umiliazione l'essere esclusi da un rito stupido, sì, ma collettivo, anzi totale, e per questo legittimato, nobilitato.
E il risultato "tecnico"? Tornavo a casa più informato su fuorigioco, rigori e calci d'angolo che se non fossi mai uscito.
Certo, un vantaggio c'era, come faceva notare il razionale Nico-2 al Nico-1: tra i poveri essere umani vaganti insieme con me nella città fantasma era altissima la percentuale di donne, e data l'ora serale, ragazze, oltretutto scarsamente legate ad amici maschi, se no li avrebbero seguiti davanti allo schermo Tv. Un'occasione d'oro,
per molti anni sfruttata con una furbizia machiavellica travestita da quell'ingenua casualità ("l'occasione", la "forza maggiore", "non c'è nessuno in giro, e siamo solo noi due") che piace tanto alle donne.
Ma quest'anno ho deciso: vado incontro direttamente al match, sicuro che stando al fresco del giardino del Goethe Institut davanti allo schermo, o deviando per qualche vialetto o sala interna, le frustrazioni saranno minori, e maggiori - chissà - anche le conoscenze... E chissà se non incontrerò là dentro qualcuna delle ragazze che negli anni scorsi vagavano desolate nei vicoli bui fuggendo da un rito vuoto. O da se stesse.