24 gennaio 2007

GLI ALTERNATIVI. Oggi come ieri cadono a fagiolo. Sulla soia

"Soia e gioia" era un ristorantino d'atmosfera esotica aperto in via Garibaldi, a Roma, nei ruggenti "Anni Alternativi". Fui invitato all'inaugurazione, insieme all'attrice Paola Pitagora. Ricordo che dall'ingresso all'uscita non abbandonai mai un atteggiamento interiore di motivata, profonda ironia. Senza darlo a vedere, per rispetto verso chi mi aveva invitato come ospite testimonial.
Erano lì concentrati nei depliant, nei menù, nelle parole dei commensali, tutti i luoghi comuni, le frasi fatte, il Kitsch, le leggende metropolitane, di quella che doveva essere la "controcultura", e che invece già allora era sottocultura. Del cibo, della salute, della scienza, dell'economia, della politica, della società, della vita.

La soia era per i miei amici, per tutti gli "alternativi", "il cibo dell'anima" e del corpo, il miracolo d'una Natura versatile, l'esempio dell'autosufficienza, lo stendardo della lotta alle Sette Sorelle delle granaglie che "affamavano" e, pare, affamano tuttora il Terzo Mondo, forse il simbolo stesso dell'alimentazione antioccidentale e anticapitalistica. Il fagiolo d’Oriente, insomma, doveva essere sottratto al diavolo capitalista e affidato al dio comunista.

A nulla valeva opporre che la soia è un legume come tutti gli altri, solo più difficile da cuocere, che è prodotto soprattutto dagli Stati Uniti (e ora – quasi tutto Ogm – anche dal Brasile di Lula, un altro socialista povero arricchitosi al Governo), che l'Oriente quasi non lo usa al naturale, ma lo germoglia, lo trita, lo quaglia, lo trasforma, lo estrae, lo pasticcia, lo inocula di funghi, lo fermenta. E con i peggiori metodi tecnologici, spesso nella sporcizia più totale (e i batteri in compenso creano la rara vitamina B12, preziosa per i popoli poveri), trasformandolo per ignoranza da cibo anticancro in cibo cancerogeno (nitrosammine e aflatossine nella salsa di soia usata ogni giorno), e soprattutto sfruttando i lavoratori. Tutte cose che fa il finto-capitalismo selvaggio d’Oriente, che unisce la dittatura al "libero" mercato dei privilegiati, ma che quello vero d'Occidente, sposato alle libertà e controllato dalle regole del gioco, non si sogna neppure. O meglio, talvolta ci prova, ma corre seri rischi di essere punito da Autority e mercato.

Macché, erano parole al vento. Attenuati dai tendaggi i suoni leggeri dei flauti si spargevano nell'aria stantia del locale, intercalati da clangori tenui di gong, tintinnii di sistri un po' sinistri, accordi stonati di sitar, ritmi sordi di tabla. Non sedie ma solo cuscini attorno ai bassi tavolini di legno scuro di dimensioni vietnamite. Sotto i quali, però, le gambe occidentali "non potevano capirci" (entrarvi), per rifare il verso sarcastico di Gadda sulle toilettes delle pretenziose villette della Brianza degli arricchiti (La cognizione del dolore). Là dentro, tranne la tozza cameriera di evidente stirpe ciociara, tutto era orientale. Tutto tranne il conto, che era molto, molto occidentale. Conto che poi doveva essere la Ragione Ultima, teleologica, della complessa messinscena tardo-capitalistica "de sinistra". Proprietari e avventori, ça va sans dire, erano tutti Alternativi, Macrobiotici, Vegetariani e della più decisa Gauche Anarchica. Mai visto in quegli ambienti, che so, un conservatore, un democristiano, e non dirò un missino ma almeno un carnivoro. Io stesso non avrei mai potuto mettervi piede, se mi fossi dichiarato "liberale", come del resto ero. Ma vi ero invitato, e con tutti gli onori, proprio perché considerato da loro un maitre à penser vegetariano, e quindi super-alternativo, e dei più tosti, e anche "noto radicale", e per di più teorico della "alternativa alimentare", da loro interpretata come una specie di rivoluzione che dalla cucina avrebbe dovuto estendersi al palazzo d'Inverno.

E figuratevi il mio imbarazzo di liberale quando, anni dopo, il mio primo libro, L'Alimentazione Naturale (che alla soia dedicava qualche pagina) divenne un libro di culto tra i carcerati politici e gli irriducibili brigatisti di Rebibbia, non saprò mai se convertiti al vegetarismo non-violento, oppure attratti dalla Lebensreform o Riforma della vita del Naturismo, oppure dalle possibilità eversive, come ripiego dopo il fallimento del Comunismo, dell'anti-consumismo, visto erroneamente come un anti-capitalismo imposto dall’alto, anziché come scelta individuale quotidiana del tutto a-ideologica.

Il germoglio di soia era il simbolo vitalistico - dunque "di destra"? - di quei tempi lontani e "felici" (ma questo l'avremmo appreso più tardi) che discriminava come un marker solo gli alternativi, gli ultrà, i filo-orientali e quindi gli anti-americani. Erano gli unici, nel silenzio scettico delle Università, a straparlare, e bene, della soia.

Oggi, col senno di poi, potremmo arguire che gli Uffici Stampa e Pubbliche Relazioni dei produttori americani di sementi avevano lavorato bene, infiltrando i loro agenti migliori tra gli alternativi di tutt'Europa. Ma sì, "Soja e gioia", il "cibo dello spirito" e del corpo, che guariva da tutto, ma soprattutto dall'Occidente. Possibile che il guru rasato e col codino che mi accoglieva con una scodella di salatissimo e ipertensivo miso fosse l’emissario inconsapevole d’un grasso farmer americano? Eppure…

In realtà la miracolosa soia, se curava qualcuno, curava innanzitutto i proprietari dei ristoranti alternativi, e da una malattia sola: la povertà. Quando dalla fine degli anni 80 gli alternativi furbi, che sapevano, smisero di tacere, e quelli ignoranti di ignorare, la soia decadde da seme puro di monaci a simbolo del capitalismo delle Sette Sorelle dell'agricoltura, del cinismo degli scienziati genetici dell’Ogm, proprio quelle "multinazionali" di cui avevano parlato nei loro folli comunicati burocratici le Brigate Rosse. Così la speculazione finì, e l'amore degli alternativi per la soia si raffreddò, fino a cessare del tutto, o a ristagnare nelle ultime trincee macrobiotiche.

Ora, perciò, non mi scandalizza la campagna che con citazioni sui blog e grandi lodi dai compagni ultrà, il cattolico di destra Blondet, dell'Avvenire (giornale ufficiale della Conferenza Episcopale Italana, cioè dei vescovi), sta conducendo da un anno contro la soia. Nei giorni scorsi sul sito Effedieffe è uscito un altro articolo sui rischi allergenici e tossicologici del legume.

Ma è puro scandalismo, per attirare lettori. E su Internet molte anime impressionabili ed emotive abboccano alle denunce scandalistiche. Come sorridevo per le esagerazioni della soia "cibo-miracolo", visto che è un legume con proprietà analoghe ad altri legumi, rido ora della bufala dei "rischi gravissimi" che la soia nasconderebbe, dato che i suoi antinutrienti, fitormoni e allergeni sono comuni a molti altri alimenti considerati sanissimi, anzi "protettivi e curativi".

Tutte cose risapute da decenni, trite e ritrite, altro che scoop sul "cibo del diavolo" o Ogm. Già nell’edizione del lontano ’84 sul prestigioso manuale universitario Krause & Mahan, Food Nutrition and Diet Therapy, dagli spaghetti di grano alle meringhe, dalla pancetta ai vegetali verdi, dal mais al brodo di manzo (ma oggi c’è ben altro), la soia e i suoi derivati sono in buona compagnia tra gli alimenti capaci di dare reazioni allergiche.

E il simbolo economico e politico? Come ieri la soia non era il simbolo dell'Oriente comunista contro l'Occidente capitalista, così oggi non può essere il contrario, ora che conosciamo le meschinità del capitalismo selvaggio dell'Oriente, lo sfruttamento della manodopera, e le schifezze della loro industria alimentare che causano morti e malattie molto più che da noi.

E Blondet, che evidentemente non è un esperto di nutrizione o tossicologia alimentare, scelga meglio i propri informatori. Le sostanze antinutritive o tossiche della soia sono presenti - chi più chi meno - in quasi tutti i cibi naturali, specialimente i legumi e i cereali integrali. Vogliamo fare dell’inutile terrorismo, così la gente che già li consuma poco - purtroppo - finirà per non consumarli più?

E sì, perché quello che Blondet forse non sa è che la soia, come le lenticchie, i ceci, i fagioli, ed anche i cereali integrali, avrà pure tutti i difetti immaginabili, ma ha anche dei pregi che superano qualunque difetto: riduce in modo considerevole i rischi delle più gravi malattie dell'uomo, dal diabete all'obesità, dalle malattie cardiovascolari ai tumori. E proprio grazie alle sostanze antinutrizionali che ha. Lo dimostrano non decine, ma migliaia di studi scientifici, e non da un anno ma da oltre 20 anni.
Quindi insistere, come fa il Blondet ancora nell’articolo del 5 gennaio scorso, sui fitati e le antitripsine è retrò, obsoleto, pateticamente non aggiornato da almeno 14 anni. Una gaffe scientifica grande come una casa, per un giornalista è da nascondersi sotto terra.

E’ proprio grazie a queste e molte altre sostanze che la soia riduce i rischi (o, come si dice impropriamente, "previene e cura"). Tra l’altro, i fito-ormoni della soia, analoghi all’estradiolo, sono già usati come coadiuvanti in terapie ormonali di routine, e potrebbero essere utili anche per ridurre i dolori mestruali. Ma le donne in cura ormonale devono dire al medico se mangiano spesso soia e mais, perché questi cibi interferiscono con le cure farmacologiche.

La soia, come tutti i cibi, come l'aspirina, come tutti i farmaci, fa bene e male. Ma fa "più bene che male", se no la specie umana si sarebbe estinta da migliaia d’anni. Solo gli stupidi, infatti, oggi ripetono l’errore di Rousseau all’alba della civiltà scientifica, convinto che la "Natura è buona" e "l’uomo cattivo". Gli stessi alimenti, visti da punti di vista diversi, fanno contemporaneamente bene e male, perché non sono stati previsti come "cibo per l'Uomo". Siamo noi a giudicare sul momento, egoisticamente, tossiche o salutari certe sostanze. In realtà anche i "veleni" nel cibo hanno qualche scopo, talvolta recondito, stanno lì magari per difendere la pianta dai predatori, noi compresi. Però dobbiamo pur mangiare qualcosa, anche il Blondet, che io lascerei volentieri a digiuno, visto che tutti i cibi contengono sostanze antinutrizionali che lui non ama.

Curioso destino quello del piccolo legume giallo. Già aveva cominciato male, diciamo, con un'insanabile ambiguità di fondo, nei ristorantini e negozietti degli "imprenditori alternativi", cioè col portafoglio a destra e i proclami a sinistra. Il più diffuso legume americano, il seme della mafia della soia, la "Soy Connection", una lobby ultra-capitalistica che lavora 24 ore su 24 per venderlo in tutto il mondo, soprattutto in Oriente, abusivamente spacciato come "cibo di nicchia" per un'elite snob anti-americana e anti-occidentale. Il massimo della mistificazione. Non meraviglia che i suoi nemici di oggi appartengano al medesimo ambiente dei suoi amici di ieri. Imbroglioni ieri, imbroglioni oggi.

Le colpe della soia? Inesistenti. Certo, va consumata con oculatezza. Ma questo, dopo le rivelazioni della scienza, ormai si deve dire di tutti gli alimenti. Per la "farmacologia alimentare" oggi quasi tutti i cibi vegetali sono considerati veri e propri farmaci, con indicazioni e controindicazioni. Ma le sue colpe vere sono altre: è che dal "comunismo d'elite" e dallo snobismo biologico la soia è tornata al capitalismo da cui era partita e allo scientismo Ogm. Da "legume di Dio" si è trasformata in "cibo del Diavolo". E questo, i tifosi dell’ideologia non possono perdonarlo. .

Per saperne di più, a vostro rischio, ecco un articolo divulgativo e alla buona, un po' esagerato, sui rischi della soia e le bugie di produttori e terapeuti alternativi su questo legume. Informazioni in stile scientifico "contro la soia" le trovate nell'articolo di Elaine Hollingsworth: Attack of the killer Bean. The Case Against Soy. Ma ormai, saggiamente, sappiamo che alle esagerazioni in un senso seguono, devono seguire, le esagerazioni correttive nell’altro senso. La vita si governa come la barca: per correzioni successive. Un po’ a destra, un po’ a sinistra. E la barca, miracolo, sembra intelligentemente fare la sintesi. E va dritta.

IMMAGINI: Il trasformismo della soia è unico tra gli alimenti: semi di soia al naturale, tofu (o "formaggio" di soia), spaghetti di soia, tempeh, shoyou o salsa di soia, olio di soia, burro di soia, "latte" di soia.

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23 gennaio 2007

FOLLIE ITALIANE. L'aeroporto nel Parco. E vogliono ingrandirlo

Il Parco della Valle del Ticino si estende dal lago Maggiore alla confluenza con il Po, costituisce una parte cruciale del corridoio ecologico transnazionale tra le Alpi ed il mare ed è stato insignito dall’UNESCO del titolo di "Riserva della Biosfera" del Programma M.A.B. (Man And Biosphere).
E’ anche il Parco fluviale più grande d’Europa.
Ma nel Parco c’è l’aeroporto intercontinentale di Milano/Malpensa che è stato oggetto di un ampliamento, concordato con il Territorio, e definito da un Piano Regolatore Generale che aveva stabilito una crescita del traffico, a partire dagli esistenti 80-90 movimenti, fino ad un limite di 280 movimenti/giorno (280 x 365 = 100.000 movimenti/anno).
Ma nel 1998, allorchè fu inaugurato, vi fu trasferito buona parte del traffico di Linate e perfino voli da Fiumicino e da altri aeroporti con lo scopo di farlo diventare un "hub" (aeroporto di concentrazione e transito di passeggeri) malgrado l’hub nazionale e base di Alitalia fosse Fiumicino.
Ad oggi i movimenti aerei sono 250.000/anno invece dei 100.000 stabiliti come limite dal P.R.G. e, nell’immediato futuro, con la terza pista, è previsto un ulteriore raddoppio.
Nel Territorio è in crisi l’ecosistema e si riscontrano evidenti segni di degrado confermati da una lunga serie di studi e di ricerche.
La Associazioni, i Comitati ed alcuni Sindaci coraggiosi cercano di opporsi al disastro ambientale in atto ma lo strapotere determinato dagli interessi economici è tale da soffocare queste deboli voci e far apparire fondamentale per l’economia lo sviluppo dell’aeroporto e trascurabile il danno ambientale.
Invece, oltre al fatto che il danno ambientale è enorme essendo in gioco la peculiarità ed il futuro di un Parco di rilevanza mondiale riconosciuta dall’UNESCO, anche le ragioni economiche dicono che investire su Malpensa è contrario all’interesse nazionale.
BEPPE BALZARINI

21 gennaio 2007

IL DESTINO A BIBLIOTHE’. Nel locale Ayurveda ritrovo ben tre vecchi amici.

L'Ayurveda (in sanscrito "conoscenza della vita") è un'antichissima filosofia e scienza naturista indiana che prescrive alimenti e farmaci naturali per nutrire e mantenere l'uomo in equilibrio, ma anche prevenire e curare le malattie, tenendo conto più che del sintomo dell'unità inscindibile soma-psiche. In questo, almeno, appare una medicina "moderna", vista l'attenzione che oggi perfino la medicina sperimentale pone alla visione "olistica", cioè globale (olos in greco è "tutto") e agli aspetti psicologici del rapporto medico-paziente, deficit umano sul quale spesso scivola anche la medicina moderna farmacologicamente più efficace.

Ma l'aspetto che più interessa il naturista occidentale è l'uso che l'Ayurveda prescrive di alimenti sani e naturali, considerati come nel Naturismo veri e propri farmaci, dai cereali integrali agli ortaggi e alla frutta, con grande spazio alle erbe e alle spezie d'ogni tipo. Basti pensare che quando studiavo la letteratura scientifica per scrivere il "Manuale di Terapie con gli Alimenti", nel 1994, mi sono imbattuto in centinaia di studi di farmacologia che riferivano ricerche sulle spezie da parte di studiosi indiani, i maggiori esperti al mondo di droghe ed erbe, alcuni dei quali su riviste di Ayurveda stampate su leggera carta di riso. Il largo uso quotidiano da parte degli Indiani di questi complementi alimentari così sottovalutati in Occidente permette ai ricercatori di effettuare ogni genere di studi, da quelli clinici controllati e in doppio cieco agli esperimenti di laboratorio, fino alle grandi indagini epidemiologiche.

Queste considerazioni mi venivano alla mente mentre nel bel locale ayurvedico di Roma, il "Bibliothè", tra alti scaffali di libri, bei quadri, un severo pavimento in cotto e l'imponente soffitto di legno scuro, parlavo l'altro giorno con l'amico Enzo Barchi, gestore di questa bella iniziativa insieme con la moglie americana Trina. In pieno centro storico, in via Celsa 4 e 5, accanto a via del Gesù (tra piazza Venezia e l’Argentina), il locale è un club privato di bell'ambiente, umano e architettonico, che a pranzo e a cena funziona da elegante, salutare e perfino economico ristorantino per gli amici (per la sera, meglio telefonare prima: 06.6781427), ma anche da originale sala da tè indiana nel pomeriggio, da fornita biblioteca di testi filosofici e salutistici per gli studiosi di Ayurveda e di culture orientali, da sede di corsi e conferenze sull'alimentazione e le medicine, e anche da sala di esposizione d'arte.

E' qui che ho spostato il mio stagionale "Seminario intensivo di Alimentazione Naturale e Terapia con gli Alimenti", che un tempo si teneva nella saletta sotterranea del caffè Notegen di via del Babuino. Ma è qui che parlando con Enzo ho ritrovato tanti amici perduti e tante vecchie conoscenze. Una serie di "agnizioni" e "ritrovamenti" degni del teatro antico. Al Bibliothè, ho scoperto, collabora per la parte culturale l'ex giornalista e scrittore Alessandro Coletti, autore anche di importanti biografie, con cui ho lavorato a varie iniziative giornalistiche tanti anni fa (Astrolabio, Aut), e che avevo perso di vista (*).

Poi, parlando con Enzo, ho "ritrovato" Mirabai, una deliziosa amica Hare Krishna, disc-jokey di Radio Hare Krishna Centrale, che conobbi negli anni Ottanta, proprio quando scrivevo la mia guida vegetariana "Il Piatto Verde" (una copia l'ho regalata alla biblioteca del club). Ricordo che lei si preoccupava che citassi correttamente la filosofia non-violenta e le ricette vegetariane degli Hare Krishna, cosa che feci puntualmente. Ma resterà nei miei ricordi indelebili una fredda notte d'inverno, era l'ultimo giorno dell'anno, passata anticonformisticamente tra dolci e champagne, sì, ma immersi nella vasca d'acqua calda d'una sorgente termale nascosta tra le rocce e i boschi del Lazio. Poi lei si stabilì in Umbria e la persi di vista.

Infine, sempre nella stessa serata passata al Bibliothè, spunta un altro vecchio amico in comune, il grande Giorgio Cerquetti, uno dei primi della "controcultura" d'allora a passare agli Hare Krishna. Milanese di origine marchigiana, attivissimo, intelligentissimo e ovviamente ricco di humour, positivo, pratico, determinato, mondano "amico di tutti" e gran simpatico, autore di guide al vegetarismo e ai "vegetariani celebri", lo ricordo sempre, nelle sue eleganti vesti arancioni di devoto, tra donne bellissime. La più brutta delle quali sembrava un'indossatrice. Credo che abbia convertito più giovani maschi agli Hare Krishna il solo Cerquetti mostrando in giro quelle sue bellissime donne devote, che le prediche di 500 monaci del Tibet.

Insomma, ritrovare in un sol colpo tre vecchi amici, ognuno dei quali mi fa venire in mente un periodo diverso della mia vita, e proprio nel locale dove casualmente ho dovuto spostare per emergenza il mio Corso, mi è sembrata una coincidenza davvero singolare (gli Antichi, molto sensibili a queste cose, avrebbero detto significativa), che credo proprio mi legherà al bel locale di Enzo. Infatti, come prima cosa, oltre a ringraziarlo per l'ospitalità che dà al mio Seminario, terrò una delle conferenze del giovedi, tradizionali per il locale: quella di giovedi 1 marzo ("Donne e uomini a tavola nell'antica Roma"). Poi si vedrà.

Ma, visto che il locale è aperto ogni giorno dall'ora di pranzo alle 21, tranne il sabato in cui si fa più tardi, penso che bisognerà dargli una mano a farlo conoscere tra i tanti impiegati del Centro storico che all'intervallo vogliono evitare i menù inquinanti o troppo grassi o troppo innaturali dei soliti bar. Perché non mangiare a metà giornata al Bibliothè? Da naturista, da propagandista del cibo semplice, sano e integrale, cercherò di fargli pubblicità, senza che me ne venga un centesimo, sia chiaro. Mi sembra semplicemente ingiusto, irrazionale, che gli impiegati romani si accalchino negli orribili "bar per turisti" tra via Nazionale e piazza Navona, dove vengono spellati per mangiare cibo innaturale e super-raffinato. Se solo sapessero che cosa c'è in via Celsa 4, accanto a piazza del Gesù... Il luogo delle memorie, dei ritrovamenti, degli amici che credevate perduti per sempre.

(*) Alessandro Coletti, la cui biografia sintetica mi sono affrettato a scrivere per Wikipedia, è scomparso per una malattia improvvisa nel febbraio 2014.
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IMMAGINI. Shirley Marie Bradby (“MiraBai Devi Dasi”), in alto, e Giorgio Cerquetti in due foto tratte dai loro siti.

AGGIORNATO IL 23 APRILE 2014

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11 gennaio 2007

LIBERTÀ DI CREDERE o no, e uguali diritti per tutte le religioni: Luigi Rodelli

Preti in cattedra di Luigi Rodelli 1958
Ma chi è la bella donna che in tailleur blu e gonna con lo spacco, "stile parlamentare in carriera", fotografata davanti al Parlamento? E' Rosalba Sgroia, rappresentante, insieme all'allora segretario Villella, dell'Unione degli atei, agnostici e razionalisti italiani (Uaar), in piazza Montecitorio, pronta per essere ricevuta dalla I Commissione Affari Costituzionali (presidente Violante) in un'importante audizione. Cose dell’altro ieri, ormai (2007).
Anche i non credenti, com'è giusto, vogliono dire la loro sulla prossima legge sulla "libertà di religione". Libertà di credere, ma anche di non credere: deve esser chiaro per tutti gli Italiani. E troviamo molto liberale che accanto ai rappresentanti delle varie fedi, per la prima volta ci siano anche coloro che difendono il diritto di non credere. E che chiedono per i non credenti la fine delle discriminazioni giuridiche (legali e amministrative), cioè le medesime garanzie di libertà e di possibilità concrete previste per i credenti (scuola, locali pubblici, funerali, consultazioni con lo Stato ecc.).
      Tutti obiettivi per i quali nei lontani anni Sessanta e Settanta (ma i suoi primi articoli e saggi risalgono al 1958) si era battuto a lungo un uomo coraggioso e mite, risoluto e timido, oggi del tutto dimenticato, l’insegnante, saggista e propagandista Luigi Rodelli, con la sua benemerita ALRI (Associazione per la libertà religiosa in Italia), che aveva sede in piazza SS. Apostoli, a Roma. Rodelli era attivissimo. Scrisse molti articoli, opuscoli e libri di denuncia contro il Concordato, il prepotere e i privilegi della Chiesa Cattolica sulle altre religioni e sui non credenti, e si batté sempre per l’uguaglianza di tutte le religioni e i credo filosofici, spiritualisti o no. Allora si vedeva spesso ai convegni del Partito Radicale. Bei tempi, quando i Radicali erano ancora non tanto lontani dalle origini di Pannunzio, Calogero e Rossi, e avevano ancora una bella carica anticlericale e liberale!
      Si veda, qui di seguito in appendice un breve estratto della lunga bibliografia di Rodelli (*) e, qui accanto la copertina di un suo libro, uno dei pochi che siamo riusciti a trovare su internet (visto che i suoi libri che sappiamo di avere in libreria sono nascosti in fondo, sepolti da molte file di altri libri, forse mangiucchiati dai “pesciolini d’argento”, i terribili lepisma…:-).
      Davvero un grande uomo, Luigi Rodelli, forse troppo semplice e appartato, non amante della notorietà e non interessato alla comunicazione di massa (ma neanche i suoi tanti allievi, a quanto pare, visto che mancano sue foto sul web, il che è un vero scandalo…). Ebbe il torto di vivere decenni prima di internet, e il web si vendica non ricordandolo. Eppure i temi da lui sollevati nel suo valoroso impegno civile e pubblicistico sono più attuali che mai.
      Oggi ci vorrebbe un Rodelli, per scrivere in modo perfetto una bella legge sulla libertà religiosa, di cui si sente la mancanza in Italia. Il rischio, invece, è che venga partorita la solita leggina meschina e di corta visuale, pensata sull'onda emotiva delle reazioni al fondamentalismo islamico e alla reviviscenza dell'integralismo cattolico. Rischierebbe di risolversi in una sorta di accordo interno e corporativo tra associazioni specializzate, religioni, e soprattutto tra le due Chiese più intolleranti, per di più con l'avallo ambiguo dello Stato. Come se la libertà delle idee filosofiche fosse un monopolio delle religioni. E come se lo Stato dovesse entrare in queste faccende di coscienza privilegiando questa o quella Chiesa.
      Nel frattempo guardiamo a quel pochino che abbiamo. L’associazione che riunisce non-credenti, atei, agnostici e razionalisti (comunque li si voglia definire), l'Uaar, ha ottenuto prima un'importante audizione in Parlamento (I Commissione), poi altri riconoscimenti. Ma il potere della Chiesa e del Vaticano è ancora enorme in Italia, patologico. Per far sì che lo Stato italiano riconosca in via di principio l'esistenza degli atei, che oltretutto sono oltre il 5 per cento della popolazione, e poi anche per porre le ragioni ateiste sullo stesso piano legislativo e amministrativo di quelle religiose, il che è davvero il minimo per uno Stato che davvero voglia essere non confessionale e liberale. Sull'audizione, ecco ripresa dal nostro Salon Voltaire la testimonianza diretta dell'amica Sgroia, tratta dal sito dell'Uaar. Complimenti vivissimi a lei, a Villella, all'Uaar, e un po' a tutti noi. E soprattutto, un caro e riconoscente pensiero al grande Luigi Rodelli.

IMMAGINI. 1. Copertina del libro "I preti in cattedra". 2. Luigi Rodelli nel 1976 (foto di Sergio Clerici). 3. I dirigenti dell'UAAR, Villella e Sgroia, ricevuti in Parlamento.           
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* BIBLIOGRAFIA PARZIALE DI LUIGI RODELLI
Ecco, come esempio del suo impegno, alcuni articoli e saggi di Luigi Rodelli:

- L'altra faccia della Conciliazione, Archetipografia di Milano (Estr. da: Critica sociale, n. 5, mar. 1959).
- Una beffa storica: la revisione del Concordato, Firenze, Olschki, 1979. (Estratto da: Belfagor, 1979)
- I preti in cattedra. Parenti, Firenze, 1958
- Cattolici e laici contro il Concordato, M. Berutti et al.; a cura di Luigi Rodelli. – Milano, Dall'Oglio, 1970
- Dieci domande agli studenti. (Estratto da: Critica Sociale, n. 6, 20-03-1962, a cura della Sezione di Milano della Associazione per la libertà religiosa in Italia.
- Il finanziamento alle scuole cattoliche. (Estratto da: Critica sociale, 12, 20 giugno 1962
- Lettera aperta ad Andreotti (sul Concordato), Associazione per la liberta religiosa in Italia, [1977?]
- La libertà religiosa nella scuola italiana; a cura dell'Associazione per la libertà religiosa in Italia. Firenze, La nuova Italia. (Estr. da: Scuola e città, 1957 n. 5, mag.1957.
- L'ora di religione : quel che succede a scuola. Lamberto Borghi, Luigi Rodelli, Franco Emilio Borsani. Milano: Associazione per la liberta religiosa in Italia, 1960. (Estr. da: Scuola e citta, a. 11, n. 9/11 (1960)
- Patti lateranensi: quanto costano alla democrazia. A cura di Luigi Rodelli e Lorenzo Strik Lievers. Milano, Dall'Oglio 1970.
- Proposta di riforma della legislazione scolastica in materia di religione in base ai principi della Costituzione della Repubblica. Milano: ALRI, 1980.
- La Repubblica romana del 1849: con appendice di documenti.1955, Torino : Stab. graf. Impronta
- Rifiutano la lezione di religione. Bari: Edizioni del centro librario.(Estratto da: Rassegna pugliese, anno V, n. 1-3 (gennaio-marzo 1970).
- La scuola del Concordato. Milano, Dall'Oglio, 1971. Relazioni di L. Borghi, G. Porrotto, L. Rodelli, al convegno L'ipoteca del Concordato sull'istruzione pubblica, Milano 1971.
- Teismo e ateismo. Il testo di Henri Arvon e i confronti antologici da G. Leopardi. A cura di Luigi Rodelli.       Messina-Firenze, G. D'Anna, 1973.

AGGIORNATO IL 30 AGOSTO 2018

06 gennaio 2007

LE MODE NELL’ARTE. Ma che mostra è, se un Caravaggio non c’è?

Molti luoghi comuni spingono la gente, per altri versi poco o nulla sensibile all’arte, a mettersi in fila per una mostra “caravaggesca”. Peccato che alcuni di questi siano inesatti, oppure totalmente falsi, talvolta propalati da avversari del pittore milanese (sì, nato a Milano, non a Caravaggio: ora abbiamo i documenti parrocchiali che lo provano). Ne parla in questo articolo lo studioso Alessandro Zuccari.

Ora il medico e cultore d’arte napoletano Achille della Ragione, col quale ho in comune non so più quanti interessi – e ogni tanto ne rivela uno nuovo, nuovo ai miei occhi, s'intende – mi invia una interessante nota che riguarda il Caravaggio, l’avventurosa attribuzione di una sua opera, ora finalmente in mostra.

Da "caravaggista" di complemento (nel senso che da adolescente disegnavo e dipingevo sempre in forte contrasto luce-ombra, facendo apparire quasi in bianco-nero anche il colore, e così tuttora disegno, e così “penso” la mia pittura virtuale), e quindi istintivamente attratto dai toni e dalle composizioni del Merisi, sono stato colpito dall’articolo del Della Ragione sull'ultima malattia alla moda: la "caravaggite".

Ma proprio come scuotevo la testa per le folle in delirio per Glenn Gould, il Modern Jazz Quartet, Mulligan e Malher; come mi sono divertito o irritato per le code chilometriche per Van Gogh, e il subitaneo entusiasmo di pubblico e critica per i ritrovamenti in un canale di Livorno di "teste di Modigliani" fresate col Black & Decker, così ora mi godo la sindrome della "caravaggite" che sta prendendo un po' tutti. Del resto, mancava alle folle invasate (critici e conoscitori compresi) un grande pittore italiano dei secoli passati.. Che ora, finalmente, si offre inerme e incolpevole ai suoi esteti visionari un po' fanatizzanti. E qui, la pacata verve dell'amico napoletano, senza strafare, li descrive a puntino. Titolo obbligatorio: "Le mode dell'arte. Ma che mostra è, se un Caravaggio non c'è?"
NICO VALERIO


"Il Caravaggio della Regina" [v. foto in alto], così è stato chiamato la Vocazione dei santi Pietro ed Andrea, il dipinto delle collezioni reali inglesi, adoperato per secoli come sovrapporta vicino ai devastanti fumi di un camino, prima che Maurizio Marini, tra i massimi conoscitori del pittore, lo facesse restaurare e lo attribuisse perentoriamente al Caravaggio.

Fino alla fine di gennaio il quadro è in mostra a Roma, accanto a quattro colleghi, anche essi ritenuti autografi del grande artista lombardo. Cerchiamo di approfondire la rassegna, adoperando molta cautela nei giudizi, per evitare la figuraccia alla quale si è esposto in questi giorni il nuovo cardinale di Napoli, annunciando la scoperta di un nuovo Caravaggio sotto una tela antica, scoprendo poi di aver avuto unicamente un’allucinazione.

Le allucinazioni non sono privilegio dei principi della chiesa, infatti nella mostra romana, allestita in alcuni locali della stazione Termini, a fare compagnia al celebre quadro inglese, vi sono altri dipinti ritenuti autentici da fior di studiosi, quali il Cavadenti, proveniente dalla Galleria palatina di Palazzo Pitti a Firenze, una scoperta di Mina Gregori, un’autorità indiscussa, che, in questa attribuzione è stata vittima della sindrome di Caravaggio, uno strano morbo che colpisce unicamente gli storici dell’arte. Si tratta del desiderio inconscio di scoprire un Caravaggio. Senza questa malattia non si spiegherebbe l’incauta attribuzione che negli anni non è stata accolta dagli altri esperti dell’autore. Vi è poi un San Giovannino che si abbevera alla fonte, che fu già presentato come proposta attributiva alla grande mostra che si tenne due anni fa a Capodimonte sugli ultimi anni di attività dell’artista e che già all’epoca sollevò più dubbi che certezze. Ed infine un Sacrificio di Isacco di una collezione americana, una tela interessante, potente, piena di luce abbagliante, con quel tizzone ardente per accendere le fascine, ma sulla quale si dovrà ancora studiare prima di accoglierla definitivamente nel catalogo ufficiale.

Ma passiamo alla star, al dipinto della regina, che costituisce senza dubbio un’opera estremamente interessante, anche se molto rovinata e ben poco hanno potuto fare i restauratori inglesi dove si era persa materia pittorica o dove le successive ridipinture si sono legate indissolubilmente ai pigmenti originari.

Il quadro è stato realizzato a Roma ad inizio secolo ed è entrato come autografo nelle collezioni inglesi già nel 1637, quando consulente della regina era Orazio Gentileschi, un esperto in grado di distinguere il grano dal loglio. Presenta numerosi pentimenti, rivelati dagli esami radiografici, per cui non si tratta di una copia come a lungo si è creduto ed il taglio compositivo è certamente caravaggesco, ma ricorda molto lo stile anche di alcuni seguaci di grande livello, come Bartolomeo Manfredi o alcuni caravaggisti francesi attivi a Roma in quegli anni, come Valentin de Boulogne o Nicolas Tournier.

Un’altra incertezza è sollevata dai colori così simili a quelli adoperati dai pittori emiliani contemporanei del Caravaggio ed attivi a Roma. Difficilmente, in brani sicuramente autografi, si riscontrano quelle originali tonalità di verde e giallo, di carminio ed ultramarino. Il volto di Gesù è quello di un giovane imberbe, in stridente contrasto con gli apostoli barbuti, una licenza iconografica in linea con la pittura rivoluzionaria amata dal maestro lombardo.

Una visita ad un quadro così discusso e che continuerà a far discutere si impone per studiosi ed appassionati. Un salto a Roma (fino alla fine di gennaio) ed ognuno sarà libero di giudicare con i propri occhi, senza dimenticare la sindrome di Stendhal, resa celebre dal film di Dario Argento, che pare colpisca unicamente i soggetti predisposti, in contemplazione davanti ad un Caravaggio. E chi vorrà confrontarsi col sottoscritto, lo potrà fare sabato 20 gennaio alle ore 12,30, in occasione della nona tappa delle visite degli Amici delle chiese napoletane.
ACHILLE DELLA RAGIONE