31 maggio 2007

CIBO PERDUTO. Quando fece scandalo su Repubblica il primo “mangiar sano”.

Fruttivendola (V.Campi 1536-1591)

.NUTRIRSI CON SAGGEZZA: QUANTE VERITA’ E QUANTE FAVOLE SI DICONO SUI CIBI GENUINI

.ALLA RICERCA DEL

CIBO PERDUTO

L’educazione che più ci manca è quella al mangiar sano.
Sagge indicazioni ci vengono dalle tavole dei nostri avi.
Le due pagine centrali dedicate al “weekend in casa” le abbiamo riservate questa settimana a un argomento monografico: l’alimentazione naturale. Abbiamo voluto fare una specie di punto a proposito delle molte verità, ma anche dei molti miti che si sono accumulati negli ultimi tempi sui cibi genuini, sulle loro proprietà, sui presunti benefici effetti. Una guida, non priva di humour, per i lettori.

.di NICO VALERIO, La Repubblica, 3 marzo 1978.

Se la Doxa o la Demoskopea chiedessero agli italiani «quali sono gli alimenti più adatti all’uomo», pochi saprebbero rispondere. Su questo tema c’è ignoranza anche a sinistra, nonostante che antichi filosofi materialisti e lo stesso Feuerbach abbiano dichiarato: «L’uomo è ciò che mangia».

Ma è vero, poi, che noi mangiamo «più naturale» di americani, tedeschi, inglesi e francesi, ormai allungati e gonfiati come polli di allevamento dalle vitamine sintetiche, con tutte le loro scatolette, patatine, Coca Cola, pizze all’amido?

Fortuna che noi, invece, mangiamo male come si mangiava male nell’America degli anni ’40-50; non come si mangia male oggi, nell’America del ’78. c’è una bella differenza, solo che seguiamo a distanza anche in questo. È un fatto, però, che senza bisogno di revival o mode retrò, oggi in Valtellina ancora si usa la polenta bigia di saraceno, nel Lazio la minestra di farricello degli antichi Romani, in Puglia il passato di fave con le cicorie. Pietanze che sgusciano dalle maglie dell’industria alimentare; nessuna multinazionale, Nestlè o Unilever che sia, ci può speculare sopra. Cibi per etruschi e sabini, fieri e un po’ tracagnotti, piatti ricchi di sapori e profumi della terra. Nelle testimonianze raccolte da Nuto Revelli nel suo Mondo dei vinti i vecchi piemontesi ricordano di aver mangiato fino al 1918 solo e sempre castagne, poca polenta integrale e pan di segale. Nel Sud il “piatto di resistenza” è stato la pasta o la pizza al pomodoro. In più, per gli uni e gli altri, molte verdure; di rado mandorle, formaggi e fichi secchi. La carne non era una pietanza, era un “rito”, per gli sposalizi. Latte e uova? Neanche a parlarne. Galline, vacche e pecore erano un capitale che dava reddito.

Oggi gli scienziati anglosassoni ci invidiano quella che chiamano la “dieta mediterranea”: è più naturale, nutre meglio, evita il cancro e le malattie coronariche. Vaglielo a dire al contadino piemontese di Revelli. Il guaio, ancora 50 anni fa, era che essendo tutti molto poveri, di quel cibo gustoso, naturale e nutriente ne avevano sempre poco.

Ma buona razza non mente. Ancora oggi noi italiani siamo i più forti manducatori al mondo di frutta, ortaggi e verdure. Di soli ortaggi ognuno di noi consuma 155 chili l’anno, contro i 118 del francese, i 69 dell’inglese, i 47 del danese. In compenso abbiamo esportato ovunque la moda degli spaghetti e della pizza all’amido puro, fonte di molti mali, dall’acidosi alla stitichezza cronica, all’obesità, fino alle ulcere e al cancro al colon (Burkitt, Paoletti, Painter ecc.). americani ed europei non finiranno per chiedere i danni?

Chi ha capito istintivamente che bisogna tornare alla dieta degli anni ’50, arricchendola però – ora che possiamo farlo – delle proteine del latte, delle uova e dei formaggi, sono i giovani, soprattutto le donne.

Dietro non c’è solo la crisi economica. In questo senso la flessione del consumismo carneo in Italia, negli ultimi due anni, va oltre i problemi dell’inflazione e della diminuzione del potere d’acquisto. Si inserisce, è vero, nelle nostre abitudini e nella nostra cultura; ma nasconde un elemento di novità nelle motivazioni, proprio come il nuovo movimento anti-caccia: il rifiuto, specie nei giovani, di identificarsi in quei miti di aggressività e di violenza propri della cultura alimentare carnea e, perché no, la ridicolizzazione di certi modelli ultra-maschili e viriloidi che la società dei cacciatori-soldati ha creato.

Quando il filosofo masticava grani d’orzo

Il Naturismo alimentare non è una moda, un’invenzione recente. È un’antica pratica nata, si può dire, con l’uomo. Ippocrate la consigliava fin dal 400 a.C. dettando le regole per gustare i veri sapori, vivere a lungo, prevenire e curare tutte le malattie. Suggeriva il frugivorismo e il granivorismo con abolizione dei cibi carnei.

Ma a quei tempi Ippocrate non era davvero originale: più o meno tutti la pensavano come lui. Nell’Antichità quasi tutti i filosofi: Platone, Pitagora, quelli del Peripato e della Stoà, anche Sofocle. Anche il popolo era d’accordo. I latini mangiavano il puls, una polenta di di farro con formaggio, asparagi o carciofi selvatici, cipolle e mandorle. Perciò i Romani li chiamavano “pulmentari”. Ma anche loro si nutrivano di minestre di farro e verdure, formaggio caprino, aglio e cipolla. Il moretum dei pastori e dei primi soldati era un impasto analogo, molto energetico ed eccitante. Richiestissimi i dolci rustici al miele. Bevevano il vino con l’acqua e chiamavano ubriaconi i Greci che lo bevevano schietto. Mangiavano carne di rado, ma anche troppa secondo il rompiscatole dell’epoca, Catone il censore. Cesare pagava i soldati con un sacchetto di grano e una testa d’aglio ciascuno, ogni giorno. Però gli operai delle piramidi egiziane erano pagati meglio: grano, aglio, cipolle, frutta.

Come spiegare poi la fine dell’Impero romano? I Germani, mangiatori di avena, eccitante e rinvigorente, ebbero la meglio sui romani e meridionali, mangiatori di grano e orzo, buoni tutt’al più per la riflessione e il pensiero (Schmidt, Rezembrick) non per l’azione. I filosofi greci, infatti, quando si ricordavano di mangiare si nutrivano di stiacciate d’orzo e pani d’orzo.

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CARENZE DELLA DIETA ORIENTALE
Macrobiotica che tristezza

Nella confusa ricerca di culture “alternative” è facile fare il passo più lungo della gamba e ritrovarsi in braccio a Shiva o alla dea Visnù. Come? Seguendo gli allettamenti pubblicitari della Grande Mafia degli alimenti esotici. In una certa sottocultura di periferia è agevole spacciare per “naturali” la dieta mistica dei Veda o la screditata ma onnipresente macrobiotica “imported from Japan”. Non si riesce a recuperare la nostra genuina cultura alimentare, ma in compenso c’è sempre un “guru” furbacchione che approfitta dell’insicurezza piccolo-borghese di impiegati complessati, studenti ex ’68 o ex ’77 in crisi, casalinghe plagiabili, per “piazzare” la dieta orientale a sfondo esoterico.

Un’alga, due chicchi di riso, una minzione di tamari, due granelli d’incenso mistico. La sacra mensa va servita sull’altare o in tavola? Guai a dire che il tamari è ormai acqua e sale; che questo tipo di alimentazione è demineralizzante, sbilanciata e carente di proteine, che le pietanze non sanno di niente. A sentire i “teorici” della macrobiotica i cereali integrali li ha inventati un certo Oshawa cinquant’anni fa. Il consumismo macrobiotico è caricaturale. Nelle lussuose “farmacie macro” tutto è già confezionato ed etichettato dalle multinazionali del ramo, Arche de Vie, Lima, Céréal, e venduto a caro prezzo.

Ormai è però accertata la pericolosità di questa dieta. Per la carenza di alimenti crudi, frutta e vegetali, ma anche di latte, uova e formaggi, la dieta macrò è estremamente povera di “vitalìe” (vitamine naturali, enzimi, oligoelementi, sali minerali, lieviti) e di calcio, oltreché di proteine, vegetali e animali, e può essere molto dannosa, specie per i giovani. Si aggiungano poi gli scarsi stimoli psicologici di gusti piatti e insapori, la tetraggine e la depressione quasi autopunitiva che aleggiano nei ristoranti dedicati allo “ying” e allo “yang”.

Del masochismo latente nel consumatore di questa dieta – come della evidente necrofagia dei grandi mangiatori di carne – ci sarebbe molto da dire. Si è parlato di una vera e propria “sindrome”, che si rivela attraverso la facies macrobiotica: volto triste, scarno, teso, inquieto (avete notato che i macrobiotici non sorridono mai?), per lo più decisamente brutto, corpi disarmonici e, spesso, flaccidi.

La famigerata “dieta n.7”, poi, sarebbe meritevole di denuncia penale. Solo riso, per mesi. Nelle comuni macrobiotiche Usa diversi bambini, condannati dai genitori alla “dieta n.7”, sono morti.

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SECONDO LA FISIOLOGIA UMANA APPARTENIAMO
AI FRUGI-GRANIVORI

Il molare piatto dimostra che l’orango è nostro zio

«Carnivori, onnivori, frugivori, granivori, erbivori di tutto il mondo, disperdetevi e cercate il vostro cibo». Gli animali, almeno, hanno l’istinto per trovare il proprio cibo elettivo. Ma noi, che l’istinto lo abbiamo perso, che cosa siamo; carnivori o onnivori? O né l’uno né l’altro?

Carnivori non siamo, perché non abbiamo i canini sviluppati per dilaniare le carni, né denti a sega, artigli o becchi adunchi, né mandibole possenti per stritolare insieme carni e ossa delle vittime, né stomaco molto forte e molto acido, né un fegato capace di neutralizzare completamente le tossine della carne, né un intestino molto corto come i carnivori.

Erbivori non siamo. Ci manca il rumine, non abbiamo l’intestino molto lungo e la dentatura poco sviluppata. Ma neanche onnivori, aggiunge la studiosa Angela Cattro, cioè divoratori non qualificati e specializzati, come il cane e il gatto, il cigno e il pettirosso. Il nostro organismo non è indifferente a quello che mangiamo. Quando mangiamo la carne, per esempio, il sangue che dovrebbe restare alcalino si acidifica; l’intestino crasso che dovrebbe restare acido si alcalinizza.

Che cosa siamo, allora, secondo natura? Soprattutto frugivori e granivori, rispondono gli antropologi e i biologi. La mano, anatomicamente funzionale alla raccolta del frutto (alberi e spighe sono a portata di braccio), i molari piatti per molare semi oleosi e grani, gli incisivi sviluppati per addentare i frutti, l’intestino di media lunghezza, sono tutti segni che ci accomunano ai primati, all’orango e allo scimpanzè, frugi-granivori per antonomasia.

Anche l’enfant sauvage di Truffaut o i bambini perduti nei boschi vivono mangiando le bacche e le radici istintivamente. Eravamo così, insomma. Tutto cambiò quando, avendo spogliato la natura, non avendo ancora scoperto l’agricoltura, e dovendo pur vivere, diventammo nomadi e inventammo la caccia.

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LA DIETA A BASE DI CIBI SANI HA REGOLE D’ORO DA RISPETTARE

Comandamenti per chi vuol mangiar giusto

Hanno fatto scalpore le ricerche antropologiche di alcuni studiosi nei villaggi del Perù e del Caucaso. Là gli ultracentenari si precano, i “vecchi” di 90 anni lavorano nei campi e fanno ancora l’amore; sconosciuto l’infarto, rare le malattie d’ogni tipo. Come mai? Certo, per l’aria non inquinata, l’assenza di rumori, l’equilibrio nei ruoli sociali; ma soprattutto grazie al cibo sano e semplice. Ecco, in sintesi, le regole dell’alimentazione naturista.

FRUTTA – Meglio cruda e lontano dai pasti, se no può fermentare. La mela, però, può essere consumata a fine pasto. Con la buccia o senza? È questione di scelte. Senza buccia c’è un minor rischio di inquinamenti, ma quasi spariscono le vitamine, gli enzimi, la cellulosa. La miglior garanzia sarebbe la frutta d’una volta col “baco”, ma chi la vuole più? In ogni caso la frutta va ben lavata. Boicottiamo le primizie e la frutta esotica, di solito maturata artificialmente, costosa e poco vitale.

ORTAGGI E VERDURE – Se usati crudi, prevengono e curano molte malattie, oltre ad essere gustosi. Carote, crescione, cavolo scuro o rosso, sedano, cipolla, aglio, tarassaco, finocchio e tutte le verdure molto verdi sono adatti per aprire il pranzo. Possono essere anche cotti “al dente” e conditi.

CEREALI COMPLETI – (Frumento, avena, orzo, saraceno, riso, farro, miglio, segale), pane, paste e pizze integrali al 100% per mantenere il tenore di scorie (Burkitt, Reuben). Costituiscono la parte centrale del pasto, il “piatto di resistenza”. Si usano in grani, fiocchi, sfarinati. Sono molto nutrienti per l’alto tenore proteico, ma non ingrassano perché in percentuale hanno meno amido dei cereali raffinati. Quantitativamente possono avere le stesse proteine della carne (l’avena fino al 16%), però hanno meno aminoacidi. Si equilibrano unendoli ad altri cibi, come si usa normalmente.

LATTE, LATTICINI, FORMAGGI – Il latte intero, meglio se di vacche selezionate (ma non quello “a lunga conservazione”) o sterilizzato, che è sostanza inerte e si presta a sofisticazioni, è un alimento molto utile, specie per i giovani. Berlo molto lentamente. Non lo digerisce bene chi si è disabituato a consumarlo ed ha perso gli enzimi che lo trasformano: può riabituarsi bevendolo a poco a poco. Meglio però trasformarlo in yogurt. Salutari anche i formaggi: tener conto però che hanno dal 40 al 65% di grassi. Boicottare i “formaggini” ottenuti con prodotti di scarto pastorizzati. Attenti alle mozzarelle e alla ricotta, facilmente sofisticabili ed esposte a germi d’ogni tipo.

UOVA – Il cibo animale più nutriente ed equilibrato. La loro NPU (utilizzazione proteica netta) cioè il valore biologico, è 94; quella del latte 86; quella della carne solo 76. molto digeribili e utili per gli individui sani.

LEGUMI SECCHI – Ottimi se non troppo vecchi. I fagioli di soja hanno il 45% di proteine, più del doppio della carne. Proteici anche lenticchie e ceci. Perciò niente piattoni all’italiana, ma mezzi piatti.

GRASSI, OLII E CONDIMENTI – Da evitare i grassi animali (lardo, strutto, bacon), burro solo crudo, in piccole quantità. l’extra-vergine di oliva, cartamo, vinacciolo, mais e girasole sono i più sani e digeribili. Ma vanno sempre consumati crudi. Eliminare l’aceto e condire con limone, sale integrale, rosmarino, timo.

CARNI, PESCI, CROSTACEI – Consumarne il meno possibile, meglio farne a meno, riducendone la quantità gradatamente per dare modo all’organismo di disintossicarsi. Dopotutto sono sempre organi morti, pieni di sostanze tossiche (purine e ptomaine, acido lattico, putrescina, cadaverina, scatolo, indolo, acido urico, ormoni, antibiotici).

DOLCIFICANTI – Per torte, gelati, biscotti naturali, per la colazione del mattino, dolcificare con miele grezzo (ha un odore caratteristico). Lo zucchero bianco è un tossico, responsabile di molti mali. Quello giallo di canna è praticamente raffinato come lo zucchero bianco. Solo lo zucchero di canna “color liquirizia” ha ancora le sostanze nutritive della melassa. Per dolcificare le torte bastano l’uvetta, i fichi secchi o i datteri.

BEVANDE – Se l’alimentazione è corretta, in genere, non si ha sete: l’acqua è già contenuta nei cibi “giusti”. Non bere perciò durante i pasti per non diluire i succhi gastrici e gli elementi nutritivi. Si può invece bere dopo due ore dai pasti (tè aromatici, infusi, succhi).

ALCOOL, CAFFE’, CACAO – Nervini da usarsi come medicine, in piccole quantità o comunque sporadicamente, non come alimenti correnti. Un infuso salutare – al posto del caffè – è quello di bardana o quello di cereali misti tostati.

FAME E SETE – Non mangiare se non si ha vera fame, non bere se non si ha vera sete. Il digiuno totale è disintossicante e benefico fino al 7. giorno.

PROTEINE – Mescolare proteina a proteina (uova e legumi, formaggi e carne) può renderle indigeste e meno utili.

COSTI – L’alimentazione naturista ha costi nettamente inferiori a quella industriale-cittadina. Un piatto di cereali costa da 30-35 lire (grano) a 60-80 (avena), a 70-100 (riso), a 140-170 (farro). Due etti di vero pane integrale costano 160-190 lire. 50 grammi di miele grezzo 120 lire; un vasetto da 120 centimetri cubici di yogurt fatto in casa costa 50 lire; un chilo di sale integrale del Monopolio lire 100. I prezzi di frutta e ortaggi, uova e formaggi, sono noti.

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A volte cuocere è un po’ peccare

Il crudo o il cotto? Non c’è dubbio che per conservare agli alimenti tutte le loro proprietà l’ideale sarebbe mangiarli ancora freschi e crudi. I “crudisti” sono le persone più sane e longeve: del cibo assimilano tuti i principi vitali, che il calore distrugge. Per quanto i profani pensino il contrario, la maggior parte dei cibi è più digeribile allo stato crudo. Il cavolo crudo, per fare un esempio, si digerisce in un’ora e mezza; cotto, in un 3 ore e mezza-4 ore. Lo stesso accade per uova, formaggi, latte, grassi e olii, con l’aggravante che, riscaldandoli molto, i grassi danno luogo a idrocarburi cancerogeni e acroleina tossica per il fegato. Niente fritti, quindi.

Ortaggi e verdure possono essere sbollentati a vapore o cotti appena in pentole dal coperchio chiuso, senza acqua né olio ma con un po’ di sale. Cereali e legumi, invece, richiedono cotture consistenti. I più secchi possono essere messi a bagno per una notte e più, poi immersi in una pentola di coccio con acqua fredda e cotti per il giusto tempo a fuoco basso. Ma per i crudisti irriducibili c’è anche il modo di mangiarli crudi. Si lasciano due-tre giorni in acqua fredda, poi si scolano alla meglio e si adagiano su un panno bagnato: germoglieranno in 2-4 giorni. Vitamine ed enzimi così si moltiplicano miracolosamente: sono delicatessen molto tonificanti da usarsi in insalata o come contorno.

Altri nemici del calore, il miele grezzo e lo yogurt: enzimi e batteri muoiono oltre 40-43°. Per la preparazione casalinga, molto facile, di yogurt, pane e pasta integrali, consultare una delle guide indicate a parte.

E gli utensili? Gettate via la plastica e l’alluminio, private del coperchio o della guarnizione le pentole a pressione (la pressione fa aumentare la temperatura oltre i 160°, distruggendo vitamine, enzimi, aromi: una vera violenza al cibo), l’ideale sarebbe usare solo terracotta: si risparmia energia e si conservano i sapori.

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Un menù “bomba” per chi si muove

Suggeriamo un menù rivitalizzante e molto energetico, oltretutto economico. Sarà ben difficile, dopo, aver ancora fame. Un esempio – è chiaro – che non tutti devono o possono seguire. La professoressa, il bancario, l’impiegato di concetto, l’intellettuale e in genere tutti i sedentari, si contentino di molto meno.

Al risveglio: 2 frutti di stagione (200-300 g.)

Colazione (dopo mezz’ora): zuppa di fiocchi di avena con latte, yogurt, uvetta, pinoli o noci, 2-3 cucchiai di germe di grano, 1-2 fette di vero pane integrale con miele grezzo; 1 tazza di caffè di cereali tostati o un infuso tonificante di rosmarino.

Metà mattina: 2 frutti di stagione.

Pranzo: antipasto di crudités (carote.

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ECCO I TESTI E LE RIVISTE DA CONSULTARE

Naturismo è anche carta stampata

L’unica guida italiana ai libri sull’alimentazione naturista è la seconda parte dell’opuscolo Naturismo: quali libri, edito dalla Lega Naturista (L.1000). stralciamo qualche indicazione bibliografica.

Tra i libri teorici-pratici: Passebecq, Dietetica e salute (Siad, L.4800), Oudinot, La conquista della salute (Armenia, L.4200), Dextreit, Le virtù della frutta e della verdura (Martello-Giunti, L.3800), Cattro, Natura, nutrice universale (in 3 voll, piuttosto esoterico-filosofico).

Tra i testi più pratici: Harris, Trucchi in casa (Sperling & Kupfer, L.5900), Buonfino, La cucina integrale (Mondadori, L.1800), Gevaert, Vivere sani con cibi sani (Sperling & Kupfer, L.4900), Couffignal, La cucina povera (Rizzoli, L.1200), Cecchini, La cucina naturista (De Vecchi, L.2900).

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MAPPA COMPLETA DEGLI INDIRIZZI UTILI A CHI SCEGLIE IL “NATURALE”

Guida alla casta mensa

[Seguiva un indirizzario dettagliato per città e Regioni, con decine di indirizzi e numeri di telefono, di club, esperti di alimentazione, ristoranti, terapeuti, botteghe ecc., del tutto superato e inutile oggi].

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NOTA DI OGGI. Questa qui riprodotta fu la prima inchiesta in Italia sulla filosofia e la pratica del cibo sano, quella materia che poi chiamerò nel primo libro, due anni dopo, L’Alimentazione Naturale. Una rivelazione per tutti a quei tempi, quando – sembrerà strano – le uniche correnti di pensiero alimentare erano: 1. la arretratissima gastronomia ufficiale, cioè cuochi e gastronomi, che ancora si rifacevano alla allora pesantissima cucina francese (e infatti sulla Repubblica il critico gastronomo Leo Pescarolo protesterà nei giorni successivi con un articolo sostenendo che volevo far mangiare a tutti solo verdure…); 2. i rarissimi vegetariani, allora per lo più anziani intellettuali spiritualisti, che chiamavano il movimento “Vegetarianismo”: fui io a far notare l’errore e a imporre “Vegetarismo”; 3. i macrobiotici, unica alternativa di qualche vitalità, con un minimo di spiegazioni scientifiche, club, ristorantini ecc. 4. I medici dietologi, che dovevano quasi soltanto far dimagrire, la cui competenza non andava oltre la realizzazione di diete pratiche a base di calorie, proteine, carboidrati e lipidi. Ma qualcuno più sveglio e curioso leggeva i primi studi scientifici che timidamente collegavano il cibo alla prevenzione, sia pure per bollare tutto come faddism (fisime, fissazioni, leggende), come faceva su L’Espresso il dietologo Djalma Vitali. Per il resto tutto taceva. Non esistevano, cioè non erano a contatto di pubblico, i nutrizionisti, che oggi sono di moda e inflazionano tv, giornali e web, anche troppo (e non pochi dicono cose…). I pochissimi allora esistenti erano studiosi chiusi a studiare (ah, se si aggiornassero anche quelli di oggi!). Ah, sì, dimenticavo i medici generici o specialisti. Tranne quei tre o quattro naturisti, erano tutti e in gran parte lo sono tuttora, del tutto ignari di tutto quello che riguardava il cibo.

E il giovane autore dell’inchiesta? Anche lui sapeva poco o nulla oltre alla base di biologia della nutrizione, naturismo alimentare e storia del cibo. E confessa che ora, a rileggere l’inchiesta, si vergogna un poco. Ma ha una quadruplice scusa. 1. A quel tempo erano rari gli studi scientifici sul cibo: i ricercatori non lo prendevano sul serio come oggetto di ricerca. 2. Ma anche se ci fossero stati, negli anni 70 in Italia, visto il bassissimo livello del lettore medio, era vietatissimo scrivere cose scientifiche sui giornali, citando questo o quello studio. 3. E poi il Capo-servizio gli aveva assegnato solo poche “cartelle”, e nelle pagine della lettura del week-end. 4. Perciò inutile sarebbe stato andare nelle biblioteche di biologia dell’Istituto di Sanità, dell’Università La Sapienza e del CNR, come 15 anni dopo avrebbe fatto per il Manuale di Terapie. In compenso l’autore aveva letto tutti i libri pubblicati dai medici o terapeuti naturisti francesi, svizzeri, americani e italiani, con molte cose interessanti e fondate, ma anche con le loro idee personali, le loro esagerazioni fanatiche, gli “studi” condotti solo su 3 o 5 pazienti per di più conosciuti (oggi non varrebbero nulla), le fissazioni, le opinioni più azzardate e bislacche, tra cui quella dell’agronomo francese che assicurava la vitamina B12 nel germe di grano. Insomma, era più filosofia e religione che scienza. In questo non aveva poi tutti i torti Pescarolo. Ma tutto è relativo: nella totale ignoranza generale perfino degli Accademici, l’autore appariva un sapiente. Così l’anno dopo un dirigente Mondadori, allora editore di Repubblica, letta con entusiasmo questa inchiesta, approvò l’idea di trasformarla in un libro per gli Oscar. E solo allora l’autore decise che valeva la pena cominciare a studiare. E così nacque il primo Manuale in Italia su L’Alimentazione Naturale (NV).

AGGIORNATO IL 16 MARZO 2015

30 maggio 2007

ARIA DI ROMA. Quel venticello "stuzzicarello". Sì, di cannabis e coca

Le canzoni romane ci avevano già messo sull’avviso, e chi non capiva è perché o non amava le canzoni romanesche o proprio non voleva capire. "Prestame er ponentino [brezza di ponente, ndr] più malandrino che ci hai", invoca l’amante che evidentemente non riesce a sedurre con i propri mezzi la fanciulla, e deve ricorrere alla farmacologia. Più malandrino di così…
L’aria di Roma - hanno accertato gli analisti del CNR, che in quanto statali devono avere molto tempo libero a disposizione - ha rivelato abbondanti tracce di coca e cannabinolo. Dosi cospicue, che se fossero riferite all’idrocarburo benzene, per esempio, sarebbero fuorilegge. Ma chi avrebbe mai pensato di regolare per legge il "tasso nell’atmosfera di cocaina e cannabinolo", quest’ultimo il principio attivo della Cannabis indica o marijuana? Nessuno, nonostante la depravata fantasia dei nostri legislatori. Eppure…
Però, attenti a non esagerare. Quando è troppo, è troppo. Insomma, anche gli effetti secondari, le crisi da over-dose, erano previste dalle canzoni. Bastava saperle ascoltare, sant’iddio: "Smorza quer venticello stuzzicarello che ci hai…" E come, no? Se stai mezz’ora a prendere il fresco a piazza Navona, sei bell’e "fatto". ("Roma, nun fa’ la stupida stasera"). I guai della "droga facile", direbbero quelli di AN e Lega, mandando in bestia i Radicali.
Del resto, lo dice la canzone, basta annusare e si vedono cose da pazzi e contro-natura (direbbero Buttiglione e Volonté). E' così chiaro! "Tira ‘n ber venticello ch’è ‘na carezza, smuove le fronne [fronde, foglie: evidentissima l’allusione all’erba, ndr] e fa bacià li fiori". ("Nina si voi dormite").
Ma allora, gli austeri scienziati del CNR seguono le canzonette? Anzi, mi correggo, seguono anche loro le piste criminali partendo dal corrotto mondo dello spettacolo, come fa il pubblico ministero Woodcok (quello che da Potenza sogna di far arrestare tutti i Sette Grandi della Terra riuniti in summit, così riduce le spese usando un unico torpedone, e fa contento anche Padoa Schioppa)?
Sia come sia, ora si capisce tutto: l’aria svagata, atarassica, quasi assente, della burocrazia romana, anzi proprio dell’Homo romanus in sé. Che anche se è nato a Canicattì o a Verbania, si adegua subito. Per forza, è l’aria… Ma si cominciamo a comprendere anche certi improvvisi scatti umorali. I cambiamenti immotivati di fronte politico dei parlamentari, le famose pazzie degli automobilisti (rallentano col verde, vanno veloci col rosso) e dei vigili urbani (né vigili, né urbani) di Roma. Insomma, emerge una nuova chiave di lettura di stampo positivistico. La chimica, la "droga" direbbe Fini (non Massimo, né quello dei tortellini: l’altro), invece del "carattere dei popoli", come andavano dicendo Croce e gli idealisti, sono alla base delle vicende umane..
Ora tutto è chiaro: politica, cronaca, decenni di Storia incomprensibile, tutto diventa improvvisamente razionale, anche se non ragionevole. E ti credo: distonie vere e proprie. Comportamenti compulsivi. Di chiara origine farmacologica.
E cadono anche le vecchia accuse ignominiose ai poveri romani (che poi sono sempre i soliti calabresi, pugliesi, napoletani, marchigiani, piemontesi e veneti riciclati). Ambiente levantino, libanese? Macché, come si permettono: erano solo stupefacenti.
Eh, che volete: ogni città ha di che stupirsi. A Milano respirano diossina e bevono acqua alla trielina. A Roma, modestamente, si possono permettere ben altro: acqua purissima di fonte, perfino ricchissima di calcio assimilabile quasi come il latte, e in più costosisima aria alla "coca-maria", l’ultimo mondanissimo cocktail. Un lusso. E, come piace ai romani, gratis. Tutte le fortune 'sti romanacci. Ecco perché stanno sulle scatole a tutti. Già a 20 km di distanza, i palombaresi, per dire, non li possono sopportare. Figuratevi, giustamente, i milanesi.
Anche se... .
Anche se? Be' un'idea ci sarebbe... Dite la verità: anche voi pensate quel che mi frulla in mente, e che non osavo scrivere? Vabbè, lo dico. Prima di aggiungere il CNR alla lista dei tanti "enti inutili", pro bono pacis e in via subordinata preferisco seguire un’altra ipotesi. Mi pare una di quelle scoperte pseudoscientifiche fatte apposta per vincere il goliardico ma molto snob Premio IgNobel. Ma sì, avete capito, non fate gli gnorri: una di quelle meravigliose, geniali cazzate, ricche di riferimenti bibliografici, di "Methods and Matherials", e con tanto di seriose "Conclusions", che dividono il capello in quattro contemporaneamente affermando e negando. Nessuno, neanche provette alla mano, me lo toglierà mai dalla testa…
Per il resto, se amiamo il Kitsch, continuiamo pure a cantare le canzonette di serie B per turisti di serie C: "T’invidio turista che arrivi…", il "venticello friccicarello…", "l’aria malandrina". Ma attenti che non ci sia in giro un chimico. Rascel dalle risate si contorce nella tomba.
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JAZZ. Un audiovisivo curioso, che mette di fronte due sassofonisti e stilisti lontanissimi tra loro, quasi agli antipodi. Solo a Norman Granz potevano venire in mente provocazioni del genere. Ma lo strano è che il duello lo vince, contro tutte le aspettative, il secondo. Che è più lucido, raziocinante, sintetico.

29 maggio 2007

STAMPA. Giornalisti con le bollicine in testa, che neanche al liceo…

"Le bollicine fanno male?", titola il Corriere. E gli altri giornali sono peggio. L’allarmismo della stampa spesso viene dall’ignoranza. La superficialità e la scarsa precisione dei cronisti italiani è famosa. E magari risultano "responsabili" del settore Scienza d’un settimanale importante. Del resto sono quasi tutti raccomandati. Quelli di Sinistra da partiti e sindacati, quelli di Destra dagli amici. Ma l’èra Berlusconi ha avvicinato Destra e Sinistra. Ormai sono tutti amici degli amici.
Il tipico giornalista italiano di solito è laureato in lettere, quando va bene. Non vi dico che succede con gli articoli che hanno qualche risvolto tecnico-scientifico. Alcuni articolisti e titolisti vanno ad orecchio: "Si rovescia autobotte di varecchina. Trenta intossicati per le esalazioni dell’acido". Acido? Ma la candeggina, ipoclorito di sodio diluito in acqua, è un potente anti-acido, cioè alcalino. E il gas liberato è cloro.
Nell’alimentazione, poi, tema fisso in Italia, quasi tutto è scienza, e spesso complessa. Vaglielo a dire ai cronisti della Rai-tv e dei quotidiani, e alle redattrici dei settimanali femminili, la seconda categoria italica - dopo i politici - che si sente abilitata ad occuparsi di Tutto senza sapere Nulla.
Anni fa proponemmo ad una rivista di far rivedere gli articoli di nutrizione almeno da un giornalista scientifico: mi presero per uno troppo esigente, un invidioso, forse un caratteriale. E sì, perché le redazioni italiane sono affollate di bassa manovalanza non specializzata, e i giornalisti esperti sono rari.
In caso frequente di titolo sbagliato, poi, il titolista si difende facendo notare che i termini usati li ha trovati nell’articolo: quindi la colpa è sempre dell’articolista.
Ma torniamo alle "bollicine", titolo cretino d'un articolo sulle bibite gassate del Corriere della Sera, che è davvero emblematico d'un certo modo italiano di fare giornalismo: confusionario e alla carlona.
Titolo: "Le bollicine fanno male?" spara il titolista che non ha capito niente dell’articolo, cautelandosi malamente con l’interrogativo. Occhiello, da nonna di provincia: "Non solo stomaco gonfio". Sommario: "Pare che un additivo presente in alcune bibite gassate possa provocare problemi ben più gravi. Ma è ancora da dimostrare". E già si comincia a intuire l’equivoco in cui sono caduti titolista e articolista. Dunque non sono le bollicine, cioè l’anidride carbonica, ma un conservante chimico.
Dopo aver esordito con la leggenda da "signora sotto l’ombrellone" che le bibite gassate "gonfiano" (certo, ma non perché gassate, l’anidride carbonica è subito eliminata) e "fanno ingrassare" (ah, ecco, ma è lo zucchero aggiunto, non il gas delle bollicine. Che confusione!), si capisce subito che le bollicine del titolo sono state messe solo per fare colore. Nella mente della titolista-casalinga di Isernia le bollicine sono sinonimo di bibite: non si rende conto che così mette nei guai anche l’incolpevole acqua gassata, la bevanda con le bollicine più comune in Italia. Generando allarme ingiustificato, mistificazione e disinformazione.
Tratteniamo la rabbia, e chiediamoci come mai perfino al Corriere vengono assunti giornalisti così, che in quanto a precisione e serietà non passerebbero la licenza liceale.
Ma non è finita: "Uno studio britannico - questa è farina d’agenzia - rivela che alcuni soft drink potrebbero essere responsabili di gravi danni alle cellule del nostro organismo, provocando effetti normalmente associati all’invecchiamento o all’alcolismo". Giusto. Ma finora la giornalista ha parlato solo di bollicine e zucchero. E il lettore è frastornato dai loro... terribili effetti.
"Nel mirino - prosegue imperterrita l’articolista cambiando le carte in tavola - un additivo contenuto in diversi nelle bevande in questione, il sodio benzoato - o E211 - che potrebbe portare a cirrosi epatica o a malattie degenerative come il morbo di Parkinson".
E questo conservante a rischio da dove sbuca? Com’è che nel titolo non ve n’è cenno, ma si parla di "bollicine", che farebbero pure "ingrassare"?
Insomma si scopre che è tutta colpa del benzoato, detto tra di noi un conservante inutile usato in aranciate, Coca Cola e simili, che potrebbe essere sostituito con l’innocuo acido citrico se la legge costringesse l’industria a mettercelo. Chissà da che cosa dipende questa resistenza dei produttori: forse il benzoato è chimicamente più stabile nel tempo o meno costoso?
"Come spiega The Independent - continua il pezzo - il conservante incriminato viene usato da decenni dall’industria delle bollicine, [rieccole, ma è una fissazione, NdR], ed è presente praticamente in tutte le bibite più famose. In passato, tra l’altro, il sodio benzoato era già stato messo sotto accusa, sospettato di essere cancerogeno…"
Altro che "bollicine", come ripete stupidamente l’articolista destando allarme tra i milioni di Italiani che assumono ogni giorno con l’acqua minerale le bollicine dell’anidride carbonica. Sono del tutto innocue, sia chiaro, anzi con un pH più acido conservano più a lungo l’acqua in bottiglia batteriologicamente pura, e la rendono più digestiva.
Se l’articolista fosse stato professionale avrebbe dovuto preoccuparsi di evitare equivoci ed escludere espressamente l’acqua gassata. Bastava scrivere "bibite industriali", "bevande imbottigliate" da bar, oppure aranciate in bottiglia e lattina, chinotti e Cola. Non "bollicine". Ha voluto fare il brillante e lo spiritoso, ma non lo sa fare: è solo infantile e impreciso.
Siamo al giornalismo dei dilettanti, da blog di provincia, perfino sul "migliore" dei giornali italiani. Figuratevi gli altri. Ecco come nasce l’allarmismo pseudoscientifico involontario in Italia. In quanto a quello volontario, be', è un'altra cosa: ne riparleremo.
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JAZZ. Un bell'audiovisivo degli anni '40 in cui emerge accanto a Clark Terry (tromba) e Wardell Gray (sax tenore) il clarinettista Buddy De Franco.
"One O'Clock Jump", Count Basie Orchestra

28 maggio 2007

CIBO ETICO. E’ davvero meno grave uccidere una pianta che un animale?

Forchette contro coltelli. La tavola come un ring, un piccolo campo di battaglia. La guerra è dura, si sa, e fa molte vittime. E la bella tovaglia di lino si macchia di rosso sangue. Ma è solo pomodoro. Insomma, che succede?

Accade che gli onnivori, accusati d’essere insensibili e cinici carnivori, quasi cannibali (è evidente, visto che “gli animali sono nostri fratelli”, come negarlo?), se la prendono con i vegetariani o peggio ancora vegan, gente accusata di fanatismo e presunzione (basta vedere come conducono le polemiche, atteggiandosi a “depositari dell’Etica”). In genere, sono i vegetariani ad attaccare e gli onnivori a difendersi. Ma ogni tanto si trova un onnivoro che, dopo il primo sbandamento iniziale, riorganizza le proprie fila e passa al contrattacco.

E l’etica che cosa dice? Screditata da quando è entrata nelle burocratiche Commissioni Bioetiche, l’etica retrocede e si rimette alla biologia. Quest’ultima, si sa, non ha mai avuto idee proprie e, si rimette, Signori della Corte, agli Usi antropologici, alla Storia. Eppure c’è sempre qualcuno che di “scienza della vita” vuole parlare e combattere nelle sale da pranzo e nei ristoranti.

Bistecca o cespo d’insalata? Questo il dilemma dei nuovi Amleto. Già, nel Medioevo i filosofi cristiani avrebbero discusso su quale dei due cibi fosse dotato di anima… Ma lasciamo stare l’anima, visto che proprio i teologi, col massimo dell’incoerenza, dopo averli chiamati animali gli hanno tolto l’anima. Ma la vita? Quale delle due ha più o meno "vita"? Altro che embrioni sovrannumerari e staminali totipotenti: qui è davvero questione di sesso degli angeli. Già, e se l’angelo fosse un trans?

Tutto è nato negli Stati Uniti. Là, dove sono sempre avanti di dieci anni, infuria la polemica contro i genitori vegan: i loro bambini sono a rischio. In pochi mesi ne sono morti tre per denutrizione. Beati loro.

Come sarebbe? Voglio dire, che loro, nella "felice" America, ne hanno ancora di denutriti. Questo è impossibile in Italia, unico Paese al mondo in cui il BB (Beato Bambino), ovviamente grasso e con diabete incipiente, è il Sovrano assoluto, e le FMI (Famigerate Mamme Italiane), bersaglio preferito dei cartoonist inglesi e americani di costume, altro che affamarlo, il loro Re lo rimpinzano di carboidrati, grassi e proteine. Tutte le mamme: onnivore, vegetariane, vegan e perfino anoressiche. Perché in Italy, do you know, tutte le mamme sono uguali. Così i nostri bambini moriranno ugualmente, ma molto più tardi. A centinaia di migliaia, a milioni. Come nella felice America, del resto.

Nella rubrica che Severgnini tiene sul sito web del Corriere, si sono scontrati tempo fa due opposti agit-prop. Li riesumiamo come unico contributo di pensiero italico sulla diatriba carne-insalata. Uno è Christian, l’altro è Francesco.

“Sono stato alla Christmas Without Cruelty Fayre [“mercatino” di Natale non-violento, diremmo in Italia, NdR] tenutasi nel municipio di Kensington, qui a Londra", scrive Christian. "Eventi del genere suscitano sempre più interesse, e mi è stato confermato che le presenze alla fiera in questione aumentano di anno in anno. Vi erano presenti organizzazioni benefiche dedite a salvaguardare i diritti degli animali oltre che diverse compagnie, ognuna a esporre i propri prodotti non derivati/sperimentati sugli animali. E` stata un'ottima opportunità per sapere dove e come acquistare determinati articoli e per raccogliere informazioni utilissime riguardo il benessere degli animali. Questo tipo di fiere sono anche un perfetto esempio di "normalità": "vegani" e vegetariani sono persone comuni che hanno a cuore uno stile di vita compassionevole e che cercano di infierire meno dolore possibile al mondo animale. Sono vegano da quasi un anno, e mi ha fatto piacere vedere il numero elevato di visitatori, specialmente adolescenti e famiglie. Inoltre ho assistito a due conferenze di ricercatori/scienziati dove si è enfatizzata l'importanza di investire in ricerche alternative e che non si basano esclusivamente sulla sperimentazione animale. Ho anche incontrato un "body builder" appena classificatosi secondo al concorso “Mr. Gran Bretagna”, il quale ha prima posato per il pubblico e in seguito ha con i suoi colleghi illustrato come sia possibile praticare questo sport basandosi su una dieta naturale e priva di prodotti animali. Una bella giornata davvero, vivere da vegani è facile ed è la scelta più giusta per coloro che hanno a cuore gli animali e l'ambiente”.
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Ma a stretto giro di rubrica, gli risponde piccato Francesco, che è di avviso completamente diverso:

“Vedo pubblicate ormai parecchie volte lettere di vegani, da cui appare che si ritengono superiori in sensibilità e moralità a chi usa prodotti animali, basandosi sul loro esclusivo consumo di prodotti vegetali. Cos'hanno fatto di male i poveri vegetali da meritare di essere divorati? Dal punto di vista scientifico, non esiste nessuna differenza sul piano della vita tra animali e vegetali. I vegetali non sono meno vivi degli animali per il solo fatto che le pareti delle loro cellule sono costituite fondamentalmente da cellulosa, che funge da supporto, esattamente come l'esoscheletro di insetti, crostacei e via dicendo. Ne è accettabile la giustificazione morale del fatto che gli animali soffrono nell'essere uccisi e divorati (le uova soffrono? il latte?). Ormai infiniti esperimenti hanno dimostrato che le piante sono estremamente sensibili all'ambiente esterno. Crescono meglio se viene loro suonata bella musica (particolarmente quella classica) e molti giardinieri possono testimoniare che le piante sono più felici, crescono e vivono meglio se il loro proprietario gli parla con amore. Ne è accettabile la spiegazione che mi ha dato un vegano, che "le piante producono i frutti come un dono a noi". Le piante non vogliono donarci niente. Il colore vivo dei frutti è un allarme di "pericolo, non mangiatemi", in effetti le piante non vogliono essere mangiate e sono cariche di sostanze velenose, noi le chiamiamo aromatiche perché abbiamo una grande massa corporea e la maggior parte di noi ha sviluppato durante un'evoluzione durata milioni di anni succhi gastrici capaci di metabolizzarne la maggior parte, ma per gli animali piccoli queste sostanze sono assolutamente mortali. Controprova? Si sconsiglia assolutamente alle donne incinte di fare massaggi con gli olii aromatizzati, perché il veleno entrando in circolazione nel sangue ucciderebbe il feto. Ho studiato particolarmente la questione – continua Francesco – perché mia figlia è allergica a numerosi alimenti: per lei è un veleno il latte, la carne di pollo e le uova, ma egualmente velenoso è l'orzo, mentre il suo organismo tollera benissimo il pesce e il coniglio. Per molti è assolutamente mortale mangiare le arachidi, e altre cose. Quindi sono assurde le generalizzazioni sui vegetali come alimento di preferenza per gli esseri umani; ognuno di noi è diverso, e la sua dieta dev'essere commisurata alla sua biologia”.

Così Francesco, al secondo round. Ma è solo la prima battaglia, e pure tra dilettanti determinati, certo, ma poco preparati. Infatti nessuno dei due cita il fattore principale della questione, quello che risolverebbe tutto in un attimo: la Storia, la Tradizione, la Cultura dell’Uomo, l’Antropologia (come volete chiamarlo). Perché è da questo fattore culturale che deriva la diversa valutazione tra cibo animale e cibo vegetale, e dunque la diversa valutazione “morale” delle rispettive diete. Insomma, non è questione che si può, dopo millenni di pensiero e di pratica quotidiana, decidere a freddo sul piano dell’etica teorica astratta, come se fossimo i primi uomini caduti sulla Terra direttamente da un libro di filosofia morale o da Marte. No, noi siamo su questa Terra da milioni di anni, di cui solo 10 mila anni o meno di Civiltà più o meno progredita, e appena 5000 anni di Storia più o meno documentata, in cui finalmente soddisfatto lo stimolo drammatico della fame continua che ci teneva bestialmente occupati a cercare cibo tutto il giorno, grazie alle invenzioni tecniche e culturali dell’agricoltura e dell’allevamento, abbiamo cominciato a pensare, a meditare, a porci i problemi, perfino quelli etici, tra un’uccisione e l’altra, tra una guerra e l’altra. E dunque il problema lo abbiamo già affrontato e risolto millenni fa. Ma di questo parleremo in futuro.

Ma di questo non sospettano nulla né veganiani, né onnivori estremi, che si comportano e parlano e scrivono come se dovessero oggi, 2000 anni dopo la fine dell’Impero Romano, stabilire qual è il cibo più “morale” e più perfetto per l’Uomo, e nel contempo elargire graziosamente e per la prima volta al Mondo la definitiva risposta alla “vexata quaestio”: bistecca o insalata di fagioli? Che ingenuità, che ridicolaggine! La Storia è stata la risposta e la soluzione teorica e pratica del problema: prego accomodarsi alla scrivania e studiare, please.

Nel frattempo, nella solita ignoranza totale del Passato, di ciò che gli uomini hanno detto e fatto Ieri e l’Altro Ieri, loro, i neofiti aggressivi e polemici, leggono e si acculturano su… Internet o Facebook. Perciò la Grande Guerra a tavola continua. Vi dò solo un consiglio, o amabili ma ignoranti contendenti: affilate pure coltelli e forchette, ma sappiate che anche su questo tutto è stato già detto e fatto! Non lo sapevate? No, evidentemente. Intanto, vi interrogo io: decidete voi chi volete far soffrire: le piante o gli animali? O un pochino tutti e due? O tutti e tre (cioè anche voi)? No, non fate i furbi: nessuno dei tre è impossibile…

JAZZ. Un bel documento video YuTube che propone il quintetto di Horace Silver, pianista (1959) degli anni del nascente hard-bop, con la lirica tromba di Blue Mitchell, un giovane Junior Cook al sax tenore, il bassista Gene Taylor e il batterista Louis Hayes.

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23 maggio 2007

MUSICA. Quell’avanguardia ferma agli anni ’70, reazionaria e manierista

L’Istituto Svizzero di Roma dopo aver organizzato una colorita performance del percussionista-batterista-rumorista svizzero Fritz Hauser nella chiesetta accanto alla Villa Maraini, ha proposto ieri sera l’intero gruppo del Quartet Noir, mai come in questo caso "nomen omen", un nome un destino.
Oltre al batterista già detto, c’erano l’americana Marilyn Crispell al piano, la francese Joélle Léandre al contrabbasso e il sax svizzero Urs Leimgruber (a destra nella foto), il più insopportabile dei quattro. Senza di lui un eventuale "Trio Noir" sarebbe più credibile. Senonché, dal piglio autoritario pare addirittura lui il leader carismatico. Eloquente il siparietto nel quale quasi di malavoglia concede magnanimamente di bere alla bassista accaldata e distrutta dai suoi fonemi, e rimanda al piano l’americana che, come una liberazione, aveva creduto di aver finito il set. I gesti secondari sono rivelatori, diceva qualcuno.
Sul programma di sala erano stati descritti quasi tutti come musicisti con esperienze di jazz contemporaneo. Ma era solo per predisporre bene il pubblico, sempre diffidente dopo tante fregature di fronte alla sedicente "avanguardia" o musica "sperimentale". In realtà il jazz, anche il free più rivoluzionario, c’entrava come i cavoli a merenda.
Non c’era nulla di musicalmente strutturato, tantomeno di jazz. Nulla, tranne la solita sperimentazione rumoristica cara all’avanguardia europea "seria", anzi, seriosa, degli anni 70, buonanima.
Credevamo, in tutta sincerità, che quelle lontane, inutili, torture acustiche, i soffi, i gorgoglii, gli sbuffi, i rumoretti, le prolungate cacofonie, gli strumenti smontati e violentati, gli oggetti più disparati sbattuti tra loro o fatti cadere per terra, la gestualità narcisistica, l'atteggiamento ieratico di chi si prende molto sul serio, insomma tutto l'abusato caravanserraglio del rumore extramusicale, che poi è la contestazione al suono stesso, il disprezzo iconoclastico per la musica in sé, fossero ormai relegate nell’aneddotica del decennio "alternativo", i "favolosi anni 70".
A quel tempo felice i giovani che mostravano di essere del giro e di aver capito tutto (anche dove non c’era assolutamente nulla da capire), si sedevano per terra a gambe incrociate nonostante che ci fosse posto a sedere - una cosa che agli occidentali non riesce bene come agli orientali - e i critici occhialuti delle prime file ai passaggi più arditi assentivano gravemente col capo, come per dire di essere politicamente della partita.
Ma quale partita? Nel concerto del Quartet Noir si era al più puro manierismo. Quello che doveva essere un salutare, catartico momento di rottura, di crisi, di passaggio, in vista d’una successiva maturazione, la costruzione d’una "Nuova Musica", si è fossilizzato, bloccato a mezz’aria, e incurante del ridicolo si ripete di continuo, è ormai una coazione nervosa dai probabili risvolti psicoanalitici.
Tutto pessimo? No, naturalmente. L’approccio tecnico agli strumenti era, non poteva non esserlo, avanzato. Creative e perfino piacevoli certe clownesche invenzioni rumoristiche del percussionista. Mal utilizzato, purtroppo, il pianismo della Crispell, che si intuiva avere un discreto passato alle spalle. L’unica vera perla, l’originalità della voce della Joelle sullo strumento, i suoi fonemi geniali che diventavano tiritere, scioglilingua assonanti, rasentando più che l’antico canto "scat" o gli shout del pre-jazz, il non-sense del teatro infantile e popolaresco.
Davvero emblematico questo quartetto. Sarà per colpa di certi suoi rivoli provinciali, fatto sta che l’avanguardia europea, a differenza di quella jazz, è diventata maniera, stile fine a se stesso. E’ come se oggi qualcuno rifacesse il Manifesto dei Futuristi e volesse pubblicare le liriche di Marinetti: gli riderebbero dietro perfino i critici dei giornali gratuiti da metropolitana. Altro che avanguardia, siamo alla retroguardia più bieca, alla reazione pura a scopo di lucro (intellettuale, s'intende), comunque alla furberia.
Ah, se i quattro musicisti avessero avuto successo nei rispettivi gruppi d’origine! Come certi pittori mancati che dagli idilliaci paesaggi naturali "si buttano" sull’astratto, dove ogni metro di confronto con i modelli "alti" è impossibile per i non esperti, così i quattro del Quartet Noir non sarebbero ora costretti per vivere a praticare la musica, forse l’unica materia a loro familiare, nel bene e nel male, ma che ormai - è evidente - odiano. Così, gli istituti di cultura che non hanno esperti e soldi per permettersi un vero quartetto jazz (e se ne prendessero uno di scarto, il confronto sarebbe evidente anche alle orecchie della casalinga un po’ acculturata), risolvono con le vecchie, eterne, reazionarie, stranezze della finta avanguardia di periferia. Periferia dell’Impero, s’intende: che altro volete che sia la Svizzera, e ormai gran parte dell'Europa?
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JAZZ. Per rifarci le orecchie, ascoltiamo Art Pepper (sax alto), un sassofonista che significativamente piace molto ai sassofonisti, in "What Is This Thing Called Love". Con Russ Freeman (piano) Ben Tucker (bass) e Chuck Flores (drums). Il brano dura 6.05.

22 maggio 2007

JAZZ. Con la tromba di Lee Morgan il sito si collega alla grande musica

Inizia con questo articolo speciale, appositamente dedicato, il collegamento tra questo sito-blog e la musica jazz. D'ora in poi, ogni articolo sarà collegato a un brano di musica, senza nessuna attinenza particolare con l'argomento trattato. Sia che si tratti di registrazione sonora, sia di audiovisivo. Ma nel modo meno invadente possibile, senza gli antiestetici schermi da infilzare al centro come un bersaglio: basterà un discreto collegamento.
Chi vuole, alla fine di ogni post, clicca sul link colorato, dopo poche righe - ma possono anche mancare - di presentazione discografica o biografica, e ascolta subito un bellissimo brano di jazz.
Qui siamo nel 1958, all'Olympia di Parigi. E' in tournée Art Blakey con i suoi Jazz Messengers. Allora era famoso solo il batterista-leader, ma oggi a riascoltare il brano ("I Remember Clifford") l'eroe ci sembra un altro: il trombettista Lee Morgan. Accanto a lui il sax tenore Benny Golson, il pianista, compositore e arrangiatore Bobby Timmons, il contrabbassista Jymie Merritt. Un quartetto da antologia. Filmato in bianco-nero e registrazione musicale sono di qualità mediocre (opera d'uno spettatore anonimo).
Ma la musica è grande, nonostante sia "dal vivo". Lee Morgan, il divino trombettista che non fece in tempo a diventare famoso in vita, ora sta diventando poco meno che una leggenda tra i jazzfans. Ebbe purtroppo una stagione brev e una fine drammatica e spettacolare: finì sul palco dove aveva tante volte suonato. Fu ucciso per gelosia dopo un concerto, a colpi di pistola, dalla donna con cui conviveva. Golson è anche l'autore del brano, composto in ricordo del grande Clifford Brown, il genio della tromba moderna che era morto in un incidente stradale a soli 26 anni.
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20 maggio 2007

JUVENTUS. Perché la serie B ha fatto bene alla Signora del calcio italiano

Auguri alla Juventus, che torna in serie A dopo una punizione ingiusta proprio sul piano sportivo. Le colpe d’un dirigente maneggione non avrebbero dovuto toccare i giocatori. Non esisteva in questo caso - come dire - il "vantaggio oggettivo", in analogia alla responsabilità oggettiva.
Intendiamoci, se si fosse trattato d’una squadra di brocchi, avvantaggiata in maniera determinante dai trucchi di Moggi, sarebbe stato giusto punirla, insieme al dirigente. Ma i giocatori juventini sono da anni i migliori d’Italia e non solo. Dopo lo scoppio dello scandalo, indossando la maglia azzurra hanno anche permesso all’Italia di vincere i Campionati del Mondo. Ecco, già un anno fa, la dimostrazione sportiva che il teorema Moggi = giocatori era sbagliato. Che senso ha, infatti, "raccomandare" o "favorire" i giocatori migliori d’Italia?
Ma il senso del ridicolo non ha sfiorato i giudici sportivi, che hanno giudicato col fiato sul collo del giustizialismo della magistratura ordinaria e dell’invidia generale anti-Juventus.
Così abbiamo preso per un atto di aristocratica sopportazione, di nobile civiltà sportiva, nel più puro "stile Juventus" dei bei tempi, la rinuncia al ricorso alla giustizia amministrativa e l’accettazione del verdetto. E ora, dopo un difficile campionato (la B non è come la A: sul campo anche i giocatori delle squadre di provincia si battono come leoni fino all’ultimo, costi quello che costi, se non altro per farsi notare dai direttori sportivi della serie A), la "vecchia Signora" del calcio italiano ha vinto di nuovo. Come è accaduto spesso in passato, e come accadrà in futuro. E’ naturale, visto che ha non solo buoni giocatori ma, al contrario di altre squadre, anche un’efficiente organizzazione.
Sono sempre stato contrario al fanatismo da football. E ho anche criticato spesso il mondo del calcio, e perfino il calcio in sé. Al calcio, condizionato talvolta dal "caso" ("il pallone è tondo") proprio per le infinite e casuali interrelazioni reciproche tra i 22 giocatori in campo, preferisco mille volte l’atletica leggera, non solo per la purezza non equivoca del "gesto atletico", ma anche perché mette tutti i competitori nella medesima condizione, e decide in modo razionale, scientifico, gerarchie e premi in base al puro valore atletico individuale.
Ma, paradossalmente, proprio questo mio essere anti-calcio, mi ha spinto verso la Juventus. Perché era la squadra più popolare, sì, ma la meno "tifosa", meno campanilistica, meno fanatica. Perché la storia della sua fondazione (modello inglese, stile inglese, perfino maglia inglese), la signorilità degli Agnelli che – unici - lodavano spesso il bel gioco delle squadre avversarie, e anche una vulgata popolare consolidatasi a partire dagli anni 30, facevano sì che una distaccata nobiltà inglese si sovrapponesse all’antica faziosità tosco-italiana (il calcio è stato inventato a Firenze). E poi c’era la parola "gioventù". Era ed è il nome più adatto, l’unico possibile se ci pensate bene, per una squadra competitiva. Lo sport agonistico è cosa da giovani.
Così, a otto anni di età, l’età giusta - l’unica, secondo me - per questo genere di adesioni, giocherellando al pallone nel cortile di casa con i miei coetanei, fu per me naturale, ovvio, decidere che la Juve sarebbe stata la "mia" squadra. Con moderazione e senza "tifo" (sono andato allo stadio solo una volta in vita mia), perché la Juventus rappresentava in Italia la squadra di quelli che, lontani dalle ottuse folle stracittadine, amavano lo sport, la competizione corretta, e non la faziosità. Un’adesione di stima, "di testa", di stile, senza saperlo in fondo "culturale", non emotiva.
Ma nell’ultimo anno le disavventure della "Signora del calcio italiano" hanno paradossalmente riavvicinato alla maglia bianco-nera i bambini e gli adolescenti di ieri, quelli che a costo di apparire anglosassoni si erano educati alla bellezza e alla signorilità dello sport, non a pretendere la vittoria a tutti i costi, con tutti i trucchi, e per di più disprezzando l’avversario. Questa rimonta in salita, alla disperata, è bella perché per la prima volta la Grande Aristocratica ha dovuto faticare come una squadra di minatori, e ha dovuto far vedere sui campetti di provincia, nelle tante insidiose fosse dei leoni, di avere muscoli e carattere oltreché sussiego e alterigia. La serie B ha fatto bene alla Juve: l’ha resa più umana, più simpatica. Auguri, Juventus. .

08 maggio 2007

SALUTE e vegetarismo. Negli anni ’20, primi naturisti contro la “necrofagìa”.

Spulciando nella propria biblioteca si fanno scoperte curiose. Ho trovato un malandato opuscolo del 1927 che rivela il buon livello che aveva in Italia in quegli anni la grande e antica cultura “naturista” [da Naturismo, il nome del movimento medico-salutistico che prende le mosse da Ippocrate, prosegue con i saggi medici o umanisti (Cornaro, Redi ecc), ma si diffonde dappertutto con i grandi medici o terapeuti tra 700 e 900 (da Hufeland a Lehmann, da Carton a Bircher-Benner); ma è anche il nome della filosofia sottostante, cioè la il “vivere secondo Natura”]. Nell’ambito del Naturismo, si sviluppò in Germania e Svizzera nell’800 il grande movimento della Lebensreform o “Riforma della vita”. Oggi, invece, in tempi di grande ignoranza, cioè perdita di memoria, ovvero di cultura, non si trovano le parole per dirlo, e ci si arrampica sugli specchi con concetti vicini, analoghi, imperfetti, talvolta ridicolmente inadeguati (“igienismo”, ecologismo, salutismo, vegetarismo, biologismo ecc), nessuno dei quali riesce a comprendere il Tutto come il termine Naturismo.
      Nel Naturismo troviamo medici, anche specialisti e docenti, divulgatori, giornalisti entusiasti, organizzatori. Il naturismo mette al primo posto correttamente la "questione alimentare", secondo la tradizione del cibo semplice, che però è anche medicina, che da Ippocrate passa per il dottor Carton (e gli altri terapeuti ippocratici) e arriva ai giorni nostri. Con una precisa tendenza vegetariana, in alcuni autori addirittura fruttivora o veganiana. Il rapporto con l'ambiente e gli animali è strettissimo: sorprendono le motivazioni circostanziate, molto simili a quelle odierne, un secolo dopo.
      Ma la preziosa rivista, diretta dal prof. Fortunato Peitavino, offre squarci di vita culturale e scientifica che vanno ben al di là del contenuto degli articoli.
      Eloquente la pubblicità: ristoranti vegetariani di ottimo livello e prezzi modici (come quello di Torino, della signora Pissarreff, vedova Bocca, in Corso Vittorio Emanuele 41 ("Scelto e variato servizio, cucina esclusivamente vegetariana"). Molti gli studi medici collegati o raccomandati, gestiti da sanitari vegetariani o addirittura propagandisti del naturismo salutista e vegetariano. Un collegamento che oggi, per ipocrite "norme deontologiche", è difficilissima se non impossibile da trovare sulle riviste del settore.
E ancora: "E' uscito in seconda edizione Il Vegetarismo, [manuale] di Nigro Licò, a lire 1,50 la copia". Era lo pseudonimo d'un medico, il prof. Nicola Grillo, di Chiavari.
      Colpisce il trafiletto Naturoterapia, un manuale completo di Juan Angelatz y Albornia sull'antica Scienza della Salute, per la quale “tutti possono arrivare ad essere Medici di se stessi e degli altri”. A parte la faciloneria e il semplicismo, oggi immutati, anzi peggiorati (basta leggere i siti su internet), meraviglia l’uso corretto del termine Naturoterapia, cioè terapia della Natura. Finalmente il termine corretto: nel 1927 non erano così ignoranti come oggi, quando orecchiando il termine omeopatia si ciancia, anche nei testi di legge, di "naturopatia" cioè, letteralmente, mescolando latino al greco, malattia naturale! Perciò, grazie a quel madornale errore linguistico, oggi abbiamo i “naturopati”, ovvero, stando al significato delle parole natura e patìa, sorta di stregoni malefici che diffondono le malattie naturali…
      E com'erano aggiornati e internazionali negli anni 20. In apertura, a pagina 3, si riferisce dell'importante Congresso vegetariano di Londra, a cui parteciparono vegetariani di 14 Paesi, dalla Danimarca all'America del Sud. Tra l'altro si sostiene che in Italia, nel lontano 1927, i vegetariani erano moltissimi, paragonabili a quelli delle nazioni d'Europa più progredite. "Il numero dei simpatizzanti a questo regime è superiore a quello delle Nazioni predette; essendo però essi dispersi, non possono unirsi per manifestare le loro nobili idee": Insomma, al solito, il difetto italico di organizzazione e di associazionismo.
      Dal fascicolo diretto da Peitavino riporto l'articolo sulle ragioni etiche del "vegetarismo" (non "vegetarianesimo", meno male, perché il nome del movimento non può derivare da quello del singolo… associato: altrimenti da “socialista” avremmo “socialistismo”! Perciò vegetarismo, da cui vegetariano). Il titolo è originale, il sottotitolo-sommario è una mia aggiunta (Nico Valerio).

LA NECROFAGIA 
"La carne? Diffonde le malattie. E gli amici degli animali siano coerenti: diventino vegetariani" 
di Nigro Licò 
Salute-Longevità, anno I, n.3, 30 maggio 1927. Organo per la divulgazione scientifica della scienza del ben vivere

La questione del vegetarismo può essere considerata da diversi punti di vista, i quali però nel complesso si riducono a due principali: quello dell'igiene e quello della morale. Ora io tratterò del lato morale, prescindendo perciò dal fatto, ormai dimostrato, che il regime vegetariano è altrettanto adatto alla conservazione dell'individuo normale e alla cura dell'anormale, quanto è disadatto il regime carneo. Intendo spiegare che il regime vegetariano vale anche a preservare il regno animale da un cumulo di sofferenze e di vere torture, che l'uomo gli infligge per farne suo cibo.
      Richiamo dunque la principale attenzione sul tatto della necrofagia e della crudeltà ch'esso implica; pel quale scopo. riporto qui tradotto un articolo che fu stampato nel periodico dì Mulhouse, "L'ami des animaux", annata 1925, n. 6 e 7,
      Dice quell'anonimo articolista:  " Tutte le sofferenze inflitte al mondo animale mediante la vivisezione, le corride, l'ammaestramento, la caccia, il commercio delle pelliccia, il lavoro, messe in ano dei piatti della bilancia, sarebbero come una pagliuzza relativamente alla massa terribile dal dolore causato dall'alimentazione carnea.
      Al pascolo e nella stalla, buoi, montoni e vitelli ricevono già numerosi maltrattamenti, bastonate, o morsicature di cani stimolati dai pastori e dai boari. Allorchè bisogna abbandonare il prato nativo per andare in città, sulle banchine delle stazioni, alla cinta daziaria, quei cattivi trattamenti si raddoppiano, occasionati dallo spiegabile spavento delle povere bestie, le quali non avanzano che a colpi di randello e di nervo di bue..... Poi cominciano gli orrori del viaggio. Per ore e per giorni le bestie sono ammucchiate in vagoni, o, peggio, nelle stive di navi in cui, sballottate, urtate, soffrono crudelmente la sete ed il caldo in estate, il freddo nell'inverno. Molte hanno le membra rotte e ricevono colpi di piedi dalle loro compagne di sventura.
      All'arrivo delle navi da trasporto per bestiame, si trova sempre un buon numero d'animali morti in condizioni miserevoli. Chi non ha sentito stringersi il cuore nell'udire i dolorosi muggiti che escono dai vagoni-bestiame lasciati per lunghe ore in pieno sole lungo le linee ferroviarie?
      Arrivati nelle città è peggio ancora. Lo sbarco è un'altra tappa atroce che percorrono i disgraziati animali commestibili, calvario che raggiungerà il suo apice negli ammazzatoi in cui le povere vittime della ghiottoneria e dell'ignoranza umana saranno sacrificate in un luogo sudicio e ripugnante, nel mezzo di violenze e crudeltà ancora più brutali, le ultime tuttavia. Sembra che solo nella morte i nostri umili e disgraziati servitori trovino l'estremo rifugio contro la brutate ferocia dell'uomo.
      La somma delle sofferenze cagionate agli animali coll'alimentazione carnea è terribile. Mentre in tutta l'Europa si trovano solo alcune dozzine d'infermi di vivisezione e poche centinaia d'arene spagnuole e di circhi, si contano a migliaia i mattatoi e a milioni le loro vittime. Ecco la grande, la principale sorgente della sofferenza animale. Ed essa ha questo di specialmente tragico: che é ignorata. Solo nelle stazioni lontane, nei quartieri remoti, l'umanità, che sacrifica gli animali alla sua gastronomia, compie il suo basso lavoro, lungi dal pubblico. Le brave persone, la cui anima sensibile soffre vedendo un carrettiere che dà un colpo di frusta ad un cavallo e che proteggerebbero gli animali dai maltrattamenti, mangiano impavide la loro cotelletta o bistecca, senza che niente evochi in esse le sofferenze che hanno preceduto ed accompagnato lo strozzamento, il colpo di mazza delle disgraziate vittime della loro alimentazione.
      Quand'anche si ammetta necessario di mangiare della carne per vivere, si potrebbe a rigore rassegnarsi, colla morte nell'anima, come è voluto dalle abitudini alimentari, ad uccidere gli animali per mangiarli, circondando però gli ultimi istanti delle nostre vittime colle massime cure e col maggior sollievo possibile.
      Ma ciò è inutile. " Per fortuna l'uomo non é condannato a nutrirsi dei sangue, della carne e del grasso degli animali. Egli può vivere, e vivere assai bere, coi frutti della terra. Centinaia. di milioni di vegetariani, in tutti i paesi e in tutti i tempi, l'hanno provato più che a sufficienza, mediante l'esempio, il quale annienta tutte le discussioni e le ipotesi sulla possibilità od impossibilità di vivere senza carne.
      Non soltanto è possibile di vivere senza carne, ma ciò è necessario se si vuole rafforzare la propria salute ed evitare i reumi, l'appendicite ed il cancro, queste piaghe del mondo moderno.
      La loro recrudescenza infatti é dovuta alla generalizzazione dell'alimento carneo che gli igienisti ed i medici, impressionati dai suoi pericoli, cominciano a combattere.
      Dal punto di vista personale ed igienico, l'uomo ha dunque interesse a cessare di mangiar carne, la quale è la causa della maggior parte delle malattie di cui soffre. Dal punto di vista morale, è quello un dovere, giacché in tal modo egli eviterà di causare le sofferenze e la morte degli animali, che sono ora sacrificati ogni giorno, affatto inutilmente, alla sua ghiottoneria.
      Divenendo Vegetariano e frugivoro, egli troverà in un'alimentazione sana, abbondante e piacevole, di legumi, di noci, di cereali, di frutti, la forza e la salute del corpo, la chiarezza e la libertà della mente, nel tempo stesso ch'egli farà la pace cogli animali.
      Da più di un secolo i filantropi, gli animi buoni, hanno tentato di alleviare gli orrori della guerra, di umanizzarla. Si é visto dal 1814 al 1918 fino a qual punto vi siano riusciti. Pretendere di umanizzare la guerra, è quanto darsi a un gramo e truce scherzo. Bisogna sopprimerla. Lo stesso si deve dire per l'uccisione degli animali. Gli amici degli animali, se sono logici, se sono coerenti, se vanno al fondo dei fatti, devono voler sopprimere i mattatoi, col cessare di mangiare carne e non col tentar di umanizzarli. Questo, d'altronde, sarebbe vano, giacché l'alimentazione carnea implica ineluttabilmente la sofferenza. Infatti, quand'anche si giungesse ad anestetizzare gli animali prima di sacrificarli, bisognerebbe pur sempre portarli a destinazione, ed è il loro trasporto ciò che li fa soffrire di più. Cosicchè il voler sopprimere le sofferenze degli animali e continuar a mangiare carne strappata ai loro cadaveri ancora palpitanti, é altrettanto ridicolo quanto il voler empire la botte delle Danaidi. Se i protettori sono sinceri, diventino vegetariani.
      Essi avranno le mani pure da ogni sangue animale, nel tempo stesso che saranno più sani e più lieti, vivendo nella dolcezza e nella pace, in armonia colla vita universale".  NIGRO LICO'

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