24 gennaio 2009

CULTURA. Ma è proprio vero che noi Italiani siamo tra i più ignoranti?

La "maestrina dalla penna rossa" del Cuore di De Amicis portava sempre la piuma sul cappello, una vistosa penna di volatile colorata di rosso, evidentemente. Ma no; secondo una giornalista del Corriere della Sera (non una praticante cronista del Giornale di Ragusa) si chiamava così perché correggeva spietatamente con una penna rossa. Rossa? Sì, magari una biro di plastica dell'800. Che infatti - incredibile - viene raffigurata in certi siti internet che parlano della maestra, probailmente a cura di insegnanti. Che bisogno c’era di citare il personaggio e il libro, e fare pure gli ironici, gli spiritosi, se non si conosceva il personaggio letterario? Certo, non era essenziale saperlo. Ma è grave che un professionista scriva a orecchio. E come sbaglia su questo punto potrà sbagliarsi su tutto. Diventa poco credibile. Sono i particolari a tradire una persona, diceva Sherlock Holmes. E altro che penna rossa, ci vorrebbe la matita blu con certi giornalisti, specialmente televisivi, e professori.
      In quanto, poi, alle maestre di oggi, altro che penna rossa o blu; sembrano avere scarsa dimestichezza con la lettura e la scrittura, dato che agli esami di abilitazione compiono i medesimi errori di grammatica e di sintassi dei bambini a cui dovrebbero insegnare la lingua italiana, come riportano i giornali.
      Scrivo spesso che in Italia, per ragioni storiche, influenza della Chiesa, uso generalizzato delle raccomandazioni (amicali a Destra, politiche a Sinistra) e mancanza di concorrenza nel merito, abbiamo una borghesia molto ignorante, con burocrati "dott", laureati in lettere e giornalisti che fanno errori di grammatica o di cultura generale da V elementare, conoscenze scientifiche e musicali minime, disprezzo per l’intelletto, il senso critico e la cultura. In provincia, specie nei paesi, rischiate grosso ad apparire colti: vi prenderanno in giro e vi considereranno un vero deficiente, una macchietta. Vecchio "buonsenso" contadino. Del resto, basta vedere ad una festa su chi, in un gruppo di amici, si appunta l'interesse delle donne: sul più sempliciotto.
      Sull’ignoranza della nostra borghesia ci sono diverse inchieste sporadiche (scuola, esami, concorsi, stupidari delle varie categorie ecc). Senza contare che siamo ultimi tra i Paesi sviluppati per numero di laureati (il basso numero è spesso collegato alla bassa qualità, non viceversa), per libri letti pro-capite, molti dei quali oltretutto romanzi.
      Ma poco sapevo di indagini più scientifiche presso la popolazione generica.
In un suo articolo su "Newton" di qualche tempo fa, Roberto Vacca scriveva che una indagine demoscopica condotta nel Lazio da Osservatorio Filas su questionari e con criteri standard già provati in altri Paesi, ha mostrato valori sorprendenti. "L’analisi – riferisce – ha interessato un campione rappresentativo di 1.044 persone fra i 18 e i 65 anni. Il questionario comincia con 20 domande generali su concetti, parole, nomi, regole. A 9 domande hanno risposto bene il 95%, ad altre 8 fra il 60 e l’80%. Ci sono cinque domande sul processo della ricerca scientifica e 20 relative a scienza e natura, che dal 1988 sono poste ogni anno a 2000 inglesi (dall’Università di Oxford) e 2000 americani (dalla National Science Foundation). Il confronto coi risultati ottenuti in quei paesi è, quindi, significativo".
      "Nel Lazio le percentuali delle risposte giuste a domande tecnico-scientifiche – continua la nota di Vacca - sono in genere fra il 5 e il 10% più alte che fra gli americani e gli europei. Ma dovremmo ripetere "Poco se mi considero, molto se mi confronto". Il 24% dei cittadini del Lazio non sa che la Terra gira attorno al sole (ma è il 29% in USA e il 33% in Europa). La metà crede che gli antibiotici distruggano i virus e il 74% che le vitamine naturali giovino più delle sintetiche".
      Che lezione trarne? "Non va bene – conclude Vacca – dare giudizi affrettati su chi è colto e chi no, nè esprimere pie intenzioni di diffondere cultura. Le scuole certo sono importanti (tutte), ma questi numeri dicono che i mass media funzionano male. E’ vitale che le televisioni riprendano a inventare cultura e trasmetterla in modo vivace, stimolante, drammatico invece di gareggiare per vedere chi riesce a scendere più in basso. Anche i giornali dovrebbero offrire testi comprensibili, ampliare le rubriche scientifiche e tecniche, abolire lo spazio di oroscopi e magie, sfatare le leggende invece di crearle e presentarle come cose serie".
      Bravo, Roberto Vacca, uno dei miei personaggi (v. colonnino). Ora che è entrato in Facebook - ma tutta quella gente e perfino la pubblicità che si intrufola nella sua pagina gli darà fastidio - dedico questo articolo a lui che considero mio maestro non solo in divulgazione scientifica, ma anche in charezza, rigore (che è sempre anche perfezioinismo e rigore morale), amore dei paradossi e demistificazione di leggende.
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JAZZ. Come molti jazzisti Erroll Garner fu un grande autodidatta, e come non pochi di loro riuscì a diventare grande e famoso senza imparare mai a leggere la musica. Con tutto ciò (o forse proprio per questo?) creò uno stile brillante e riconoscibilissimo anche dai non esperti, fondato su caratteristiche cascate, grappoli di note (block chords), soprattutto nel registro acuto, con un uso determinante della mano sinistra. Con tutto questo riusciva quasi a dare l'impressione d'un tempo veloce anche nei tempi lenti. Il suo genere fu sempre lo swing moderno. Dopo sporadiche registrazioni con Charlie Parker la sua evoluzione si fermò e restò un grande e piacevolissimo intrattenitore, abile i,provvisatore di brani standard. Qui suona in trio, con Eddie Calhoun (bass) e Kelly Martin (drums) in Honeysuckle Rose (5.33).

AGGIORNATO IL 24 FEBBRAIO 2017

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19 gennaio 2009

GAZA. Le bugie e la violenza, l’odio e la tirannia. Dove sono le anime belle?

Un beneaugurante logo che auspica la pace tra Israele e Palestinesi. Due Popoli, due Stati. Indipendenti, democratici, che si riconoscano a vicenda, pacifici. Un'utopia?
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Ora che le armi sulla Striscia di Gaza si preparano a tacere e la parola sta per passare alla cinica diplomazia internazionale, alla quale pochi di noi credono, ho ricevuto una bella e toccante lettera d'un amico della Comunità ebraica italiana, che voglio rendere pubblica, per rispetto alle sue emozioni con una firma di fantasia. Perché è un po' la sintesi dei drammi e delle sensazioni contrastanti che nei giorni passati hanno agitato gli Israeliani e gli ebrei di tutto il mondo, costretti dall'odio razzista e dal terrorismo a fare una guerra che la loro stessa cultura e tradizione aborriscono. (NV)
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"C’è una guerra in corso, guerra che Israele non ha mai voluto. Ricordo che mentre per fare l’amore bisogna essere in due, per fare la guerra basta che lo voglia uno solo dei due. In questa guerra, chi sta da una parte e chi sta dall’altra. Io sto dalla parte di Israele, del suo parlamento, dei suoi sindacati, della sua Corte Suprema e della sua stampa libera. Altri stanno con i tiranni, le loro bombe nei bus, la loro eliminazione di ogni dissidenza, i loro missili puntati sulla gente e i loro bambini usati come sacchetti di sabbia.
"Intanto non abbiamo tempo per interessarci delle menzogne con cui ci stanno sommergendo. Siamo lasciati soli (come al solito) a difendere noi stessi ma anche le donne arabe, trattate come mucche, i democratici arabi, sterminati e repressi, gli omosessuali arabi squartati per le strade (Israele ne ospita oltre 300 come rifugiati politici) e anche i bambini arabi, educati all’odio e alla violenza, e usati come scudi umani.
"In questo stesso momento in Iran ci sono circa 200 persone in attesa di esecuzione capitale. Dove sono le anime belle pronte a insorgere ogni volta che a Dallas si vuol giustiziare uno stupratore? Alcune di queste vittime della tirannia iraniana sono donne, e saranno lapidate: dove sono le femministe? E i pacifisti che si affrettano a condannare Israele su accuse non verificate e talvolta smentite dalla stessa Croce Rossa (come nel caso dell’uranio arrcchito) cosa hanno da dire sulla bomba atomica iraniana?
"Abbiamo altro da fare che interessarci di chi soffre di sindrome di Stoccolma, una turba che si può curare con la psicanalisi".
BENEDETTO F.
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JAZZ. Un filmato in bianco-nero risalente agli anni Sessanta (prodotto da Ralph J.Gleason, storico produttore appassionato di jazz) è un’interessante testimonianza del giovane Coltrane, in cui però è possibile cogliere i segni premonitori del suo stile futuro. Il quartetto comprende John Coltrane sax soprano, McCoy Tyner piano, Jimmy Garrison bass, Elvin Jones drums.

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15 gennaio 2009

GRANDE CORTILE. Ma i pettegolezzi della portinaia sono la vera libertà

Chi ha inventato l'espressione "villaggio globale" era un profeta: aveva già visto in sogno Facebook (*), specchio della nuova società interconnessa e plurimediatica, in cui ognuno - di default - è abilitato a farsi gli affari degli altri e ad esporre in piazza i propri, a meno che non ricorra a stratagemmi tecnici complicati e fastidiosi. Alla fine, esausto, accetta: 1. che la privacy è la più grossa sciocchezza mai inventata, 2. che il Grande Leviatano ha tutto il diritto, anzi il dovere, di riprenderti mentre stai facendo sesso con la signora sposata del secondo piano, e di far vedere il video a tutti i condomini.
Il gruppo, il controllo del gruppo, anzi della folla, come paradigma di libertà? Con le nuove tecnologie sembra così. Strano per noi libertari o liberali che tanto facciamo mostra di odiare la massa e preferire l'individuo. Ma che vuol dire? Un individuo senza stimoli sociali non esiste. Il troglodita, lo stilita nel deserto, l'eremita nella caverna, sono poveri anche intellettualmente. Per essere se stessi, per avere la consapevolezza di essere individui, perfino per accorgersi o per decidersi di essere soli con se stessi, bisogna stare tra la gente, sia pure in modo critico e con tante riserve mentali...
E la folla ha trovato internet grazie a Facebook. Ci trovi tutti, giustamente, perché nonostante la macchnosità, caoticità e pesantezza del mezzo (non ha bravi informatici), Facebook è davvero la sintesi più efficace e brillante di Internet. Mentre i siti web sono l’enciclopedia universale, Facebook è il "catalogo" delle persone. Cosicché ritrovi vecchi amici perduti o la ragazza che per fortuna ti disse no a 19 anni. Ma è anche una posta prioritaria immediata e gratuita, più veloce delle email. È anche un diario pubblico plurimo di interi gruppi di "amici", definizione un po’ forzata che viene affibbiata a quelli che vuoi tu, in modo da farli entrare nella comitiva. Esempio: c’è un gruppo di 100 amici dietro la mia pagina? Ebbene, tutto quello che dicono, commentano, borbottano, fotografano, leggono o fanno questi 100 amici viene diffuso a tutti in tempo reale. Il minimo di privacy possibile. Evviva! Immaginate le interrelazioni, gli scambi e le influenze reciproche tra i tipi umani più disparati. Per quanto uno abbia faticato a "dare una linea" al proprio gruppo, è tale il ritmo delle continue richieste di adesione che alla fine fai entrare chi lo vuole, fidantoti del fatto che è amico di tuoi amici. E così via come nel gioco del domino.
E le facce, quante facce. Un "mare di facce", come disse un jazzista americano a Umbria Jazz guardando gli spettatori dal palco, ai tempi in cui le pletee erano folle assiepate corpo a corpo.
Troppa gente su Facebook, su Internet? Gente che come al telefonino si limita a segnalare la propria posizione nello spazio o almeno la propri esistenza in vita? Certo, c'è anche chi trasforma tutto in una chat. Ma c'è ben altro. Il problema è se vuoi comunicare qualcosa a qualcuno o no, se vuoi ricevere e dare stimoli nuovi, se vuoi nella massa anonima trovare persone come te o che la pensino su qualcosa come te, se vuoi interagire con gli altri, e magari non con il circolo chiuso delle solite persone a cui sei abituato, che è una fetta di mondo comoda e finta, ma con quelle che vedi poco o non vedi più, coi tanti, coi diversi da te. E' come il servizio militare: non piaceva a nessuno, però lì frequentavi gente che non avresti scelto. Questo, si scopre in psicologia, è un arricchimento.
E’ il bello di questo Grande Cortile Informatico in cui il Grande Server-Portinaia riferisce tutto di ciascun condomino agli altri condomini, specialmente le piccolezze, perché sembrino per la loro futilità ancor più piccanti e intriganti. "Qui se ci scopre il Garante della privacy ci arresta tutti", ha detto qualcuno. E infatti negli Stati Uniti Facebook qualche grana l’ha avuta (ecco perché ora troviamo opzioni – per fortuna nascoste e poco usate – su come escludere quello o quell’altro. Ma così finirebbe Internet, forse una delle ultime vere libertà rimaste al cittadino, in tempi in cui tutto è vietato, perfino fotografare una mamma col bambino. Proprio culturalmente, politicamente, il modello Facebook piace, al di là delle sciocchezze che ci possiamo scambiare, perché ha una filosofia "politicamente scorretta" in questi tempi di eccesso di retorica della privacy. E dalla roulette russa alle giostre il mixer casuale ha sempre avuto il suo fascino. Con qualche rischio, certo. E ci sono tanti che in mezzo alla gente si nascondono, come "L’uomo della folla" di E:A:Poe. Siamo o non siamo uomini-massa? E dunque recitiamo la parte. Ma divertendoci a discutere col "vicino di post" (senza la o finale) come in treno o in aereo. Del resto chi fa teatro non penserebbe mai di far entrare gli spettatori a numero chiuso. Perché sa bene che è non dal critico gaté della prima fila, ma da quell’imprevista coppietta rumorosa lì in fondo, all’ultimo posto, che vengono all’attore gli stimoli, il feedback più utile.
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* La mia pagina su Facebook è connessa con tutti gli amici che lo vorranno, e spero anche con tutti i lettori dei miei 8 blog. Basta iscriversi gratis, cioè fare il login (email e password) la prima volta.
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JAZZ. Negli ultimi giorni di dicembre è scomparso il trombettista Freddie Hubbard. Della schiera degli allievi del grande Clifford Brown, era certamente il più estroverso, appariscente, talvolta accusato di superficialità ed esibizionismo. Qualche critico ha storto il naso, anche perché freddezza e virtuosismo non sono apprezzati nel jazz, musica "vera", in cui bisogna essere se stessi, e la tecnica (che deve essere altissima) deve sempre essere asservita all’espressione artistica, senza mai farsi notare troppo. Un americano commentando scrive: "Ma poi non è vero che Hubbard aveva tutta questa tecnica. Anzi, ha una gamma limitata, e il suo vibrato davvero troppo diffuso e fastidioso. Lee Morgan era molto meglio". Sembra la critica d'un trombettista.
Ma ecco un lungo assolo di Hubbard alla tromba (allora non suonava ancora il flicorno) in Moanin con i Jazz Messengerd di Art Blakey (1962). Durata 2.56. Più recente, e anche un po' deludente, I Remember Clifford.

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02 gennaio 2009

NATURA E SPIRITO. Contro gli abusi della Chiesa, spiritualità naturista, laica.

Contro gli abusi lessicali suggeriti dalla Chiesa (pensiamo p.es. all’inesistente distinzione semantica-politica tra Stato “laico” o scuola “laica”, e “laicista”, nel senso di seguace di quella stessa idea; mentre i preti danno a intendere che il secondo termine sia un rafforzativo o peggiorativo del primo...), a maggior ragione si può discutere di spirito e spiritualità.
Premetto che non sono spiritualista né religioso, ma avendo un bellissimo e significativo anagramma perfetto (Nico Valerio = Invero Laico) non posso essere contrario all’uso che l’amico Paolo d’Arpini, descrivendo in una sua pagina  scritta a Calcata un curioso evento da lui promosso, ha fatto del termine “laico”, abbinandolo sia a Natura che a Spirito. Per lui esisterebbe immanente alla Natura una sorta si spiritualità diffusa di carattere laico-pagano. Non ci trovo nulla di scandaloso. Un uso che è ben diverso da quello machiavellico e truffaldino dei clericali, papa Giovanni Paolo II in testa e qualche politologo finto-laicista a fargli da contorno (”ed è subito Pera”, parodiando Quasimodo), per cui i “laici” sarebbero loro, cioè preti e clericali nientemeno.
Non so che cosa sia esattamente nell’intuizione di D’Arpini, ma posso benissimo intuire e ammettere che esista una “spiritualità laica”. L’espressione suona bene ed è analoga alla famosa “religiosità laica” di cui erano animati i grandi liberali del passato, soprattutto i pensatori, come il grande Benedetto Croce, che proprio sullo spirito, lui laicissimo, fondò una sua teoria (“filosofia dello spirito”) che ebbe grande influenza sulla cultura italiana ed europea.
E che cosa era lo “spirito” per il non-credente Croce? Se ho capito bene, era l’unica, vera, realtà che unifica l’Uomo e la Natura, cioè la Storia. E gli accadimenti – aggiungo io – si riferiscono anche alle piante e agli animali, infatti un tempo si parlava (oggi un po’ meno) di “storia naturale” come somma di botanica e zoologia ed ecologia. Comunque, la realtà, per il laico Croce, è manifestazione dello Spirito. E’ lo Spirito che si realizza nella storia. Ogni sapere ha perciò natura storica. La filosofia stessa non è altro che metodologia della storiografia. Così, al contrario, si può dire che la realtà ha natura spirituale, come avevano detto anche Giambattista Vico e Francesco De Sanctis. Insomma, la spiritualità non è la deteriore inazione dei monaci o il compiere riti strani e ripetitivi sotto una statua o ascoltare passivamente preghiere o recitare rosari-mantra o essere superstiziosi e credere ai fantasmi o al gatto nero, ma è il massimo dell’attività libera e creatrice, perché lo spirito in noi è forte e libero. Tanto da determinare nel suo divenire gli eventi, la Storia appunto, che è la somma di tutte le attività dello Spirito. E l’attivismo dello spirito si può dividere in quattro campi: conoscenza del vero (filosofia) e del bello (arte), volontà dell’utile (economia) e del bene (morale). Pensa un po’, d’Arpini, che importanza aveva e forse ha tuttora lo spirito per i laici (o laicisti?).
Non mi è difficile, perciò, accettare che dalla osservazione-narrazione d’un filo d’erba o d’un falco il nostro spirito ci porti a quell’universale che si esprime anche nelle “leggi di Natura”, e che da tutte le piante e da tutti gli animali possibili emerga una spiritualità naturalistica e quindi laica che ha al centro l’uomo in quanto pensante e narrante questa meravigliosa “storia naturale” e il suo ambiente.
Ma parlarono di spiritualità laica anche tanti uomini laici, di pensiero ma più spesso pratici, che si espressero nella politica e nella cultura (alcuni sfiorarono la filosofia, ma sempre filosofia della storia), da Parri a Omodeo, da Nathan a tutti quelli di “Giustizia e Libertà” e del Partito d’Azione, e poi al settimanale Il Mondo, da Ernesto Rossi ad Aldo Capitini (quest’ultimo, coincidenza, grande vegetariano e teorico della non-violenza gandhiana).
Grande generazione, l’ultima ad aver dato dignità e onore all’Italia. Che era una forte esigenza morale, una intransigenza ideale che aveva del religioso, e che accomunava anche quelli che tra loro erano atei ai grandi Riformatori, ai Calvinisti e comunque ai protestanti del passato. Che, non dimentichiamo, ripulirono la Chiesa di Roma delle sue corruzioni, dalle vendita delle indulgenze, dalla simonia, dall’ipocrisia, dal “perdonismo” ambiguo e complice. Ma così, certo, apparvero molto più severi, e quindi impopolari nel corrotto mondo cattolico italiano. Ma da naturista mi chiedo, essendo anche tu immerso totalmente nella Natura come me, se non sia forse il caso di definire questo genere di trascendenza morale, questa urgenza etico-naturalistica, questo immanentismo etico, appunto, come “spiritualità naturalistica”. Sarebbe un bel nome.
Attenti, però, se facciamo una ricerca scopriamo che qualche matto emarginato tedesco lo ha già usato per collegare, nientemeno, la cultura ecologica alla presunta e aberrante “spiritualità” del Superuomo nazista. Fatti loro, dirai: se qualcuno, come la Chiesa o i nazisti si appropria di termini elevati e seducenti per nascondere il proprio vero messaggio, noi che c’entriamo? Eh, no… Le parole sono semantemi – o dovrebbero esserlo – da cui si dovrebbe in teoria poter risalire alla vera idea sottostante e alla personalità di chi le usa.
Se scegliamo questa espressione, perciò, stiamo bene attenti a mettere le mani avanti e a distinguerci da coloro che approfittando dell’altrui ignoranza, senza avere nessuna spiritualità (proprio loro, figuriamoci), si definiscono ”spiritualisti naturalisti”. Però, l’espressione è talmente bella che potreste riappropriarvene. Anzi, il termine esatto dovrebbe essere “spiritualità naturista”. Deriva da Naturismo o filosofia della Natura.
Com’è noto agli antropologi e storici, le religioni antiche, tutte immanentistiche e naturalistiche, perché dalla osservazione della pianta, dell’animale o della Luna i nostri Progenitori arrivavano a ipotizzare un Ente superiore, quando non adoravano direttamente la pianta, l’animale o la Luna in quanto tali. Era questa una forma di Naturismo primitivo. Nei dizionari migliori il termine “Naturismo” ha anche questo antico significato religioso. Il grande Gabrielli in due volumi, secondo me il migliore vocabolario italiano, alla voce “Naturismo”, come terzo significato scrive: “Nella storia delle religioni, la dottrina che considera certe particolari forme di religioni primitive come la divinizzazione degli elementi e delle forze naturali, personificati spesso in figure di dèi”.
Ma sì, chiamatela pure, caro d’Arpini, spiritualità diffusa, spiritualità laica, spiritualità naturista. E così non avrete imitatori o concorrenti.

01 gennaio 2009

FINE ANNO. Una notte con lo spirito del luogo: fuochi, grotte, ruscelli e polenta.

Calcata e rupe L’antico borgo medievale di Calcata, ormai invaso dallo snobismo degli pseudo-intellettuali romani, che vi hanno preso casa dopo i primi alternativi e post-hippies degli anni 70, è un po’ Cetona, un po’ Ios. Ma spero non diventi una nuova Capalbio "di potere" (o lo è già diventata?) o, peggio, una Pitzidia (vicino Matala, Creta) o una Myconos di terraferma, dove sporcizia, abusivismo edilizio, neon, cemento, noia, criminalità e droga sono più frequenti che a Soho, e i soliti americani, greci e giapponesi vanno a fotografare a caro prezzo "gli altri che si divertono". Ma, diceva quel saggio, se vanno tutti i guardare gli altri, va a finire che non si diverte nessuno. La vita come voyerismo, imitazione, esibizione, snobismo, è una vita finta.
Lontani i "bei tempi" alternativi, quando ci si imbatteva nello stupore ingenuo degli abitanti veri, gli indigeni, che chiedevano in cambio della nostra invasione pacchiana e rumorosa, o dai toni insopportabilmente paternalistici e saccenti, almeno semplicità e naturalezza. Ma ora che il borgo è popolato da architetti, giornalisti, funzionari Rai, pittori e scultori, e conta anche pub e "restò", rimangono solo gli antichi tufi, quelli veri non quelli scolpiti ex novo oggi, che sono un'ulteriore sopraffazione intellettualistica sull'antica roccia vulcanica, a testimonianza dell’antica semplicità.

Per fortuna, almeno fino a quando ha potuto resistere, c’era il vero nume tutelare di Calcata, che non è il "prepuzio di N.S.Gesù Cristo", figuriamoci, un tempo venerato in una chiesa, ma il locale Circolo Vegetariano, semplice e povero, spesso animato dai guizzi geniali e imprevedibili di Paolo d’Arpini che lo aveva fondato, singolare figura di saggio, spiritualista laico, naturista, erborizzatore selvaggio, Robinson anticonsumista, asceta metropolitano, bambino-vecchio, post-hippy, insieme poeta e mago come gli aruspici etruschi. Uno dei pochi che era ancora capace, tra i telefonini, i computer, le insegne al neon e le "installazioni" avanguardiste del nulla della nuova Calcata trendy, di sentire i ritmi segreti della Natura: tronchi, edera, erbe, massi, selve, ruscelli e grotte, a cui lui come gli Antichi dà un'anima e attribuisce anche sfumature di una spiritualità ancestrale, immanentistica, direi nobilmente pagana.

Prima che si rifugiasse sconsolato nelle Marche, il genius loci ancestrale di Calcata organizzava memorabili quanto alternativi “ultimi dell’anno”, stonatissimi tra tutti quegli snob romani trapiantati lì. Ve ne voglio raccontare uno, l’ultimo.

Per l’ultimo giorno dell’anno, altro che mondanità futile, d'Arpini aveva organizzato una discesa catartica agli inferi vegetali, alle selve profonde dei valloni tutt’intorno all'alta rupe della Calcata snob, approfittando della singolare circostanza che quel "tutt’intorno" è selvaggio come, anzi, più che ai tempi degli Etruschi. E altro che tacchi a spillo: ha condotto le fanciulle tra forre, fossi, spine e fango, proponendo la notte dell'ultimo dell'anno, in pieno inverno, di guadare torrenti che manco il contadino d'estate passerebbe, di fare l'asse di equilibrio su un tronco, di districarsi tra i rovi.

Un vero rito di iniziazione. Per ritrovare, in controtendenza, nella nottata dell'apparenza, degli abiti eleganti, delle abbuffate di carne, creme, pessimi panettoni e champagne artificiali, dei fuochi finti e delle parole false, la sostanza dei modi semplici, i riti istintivi dell'amicizia, una saporita cena vegetariana, le abilità primigenie dell’uomo (lui li chiama "atti di coraggio"), i soffi e i rumori veri della Natura, l'immersione negli elementi, il freddo e il caldo naturali, la casa atavica (la grotta). E se rito deve essere – deve essersi detto giustamente il saggio-matto d'Arpini – che sia almeno compiuto attorno al fuoco atavico in una grotta. Grotta che lui chiama "tempio". Altro che i pub e le magioni degli intellettuali arredate in uno studiatissimo stile finto-povero dell’acropoli soprastante. Insomma, lo spirito della Natura, il contatto con gli elementi: l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra.

Ma chi è questo d’Arpini, l’ultimo degli ingenui o il primo dei provocatori? Temo, anzi, spero, un po’ l’uno, un po’ l’altro.
Come l'hanno presa gli incauti invitati? Ecco la bella testimonianza dello stesso d'Arpini, la cronaca della strana notte di ieri, una "notte senza tempo" perché sarebbe stata la stessa 2500 anni fa. L’ultima notte dell’anno proposta da un acquisito calcatese purosangue che in realtà è ormai un anti-Calcata fin nelle midolla, almeno per com’è diventata. Tanto che l’ha dovuta lasciare (Nico Valerio)..

“Già dal mattino gli auspici sono favorevoli, il sole brilla in cielo, le poche nubi sparse sospinte dal vento svaniscono in una direzione sconosciuta. Voilà, il cielo è terso e limpido. Trascorro la giornata tranquillamente a preparare il Tempio, sistemando le candele ed i moccoli nei punti strategici. Mio figlio Felix ha potato parecchi alberi ed i rami secchi giacciono invitanti. Ne raccolgo alcuni e li accatasto.
Torno a casa. I primi prenotati per la serata arrivano alle 17: sono 4 ragazzi giovanissimi di Ronciglione, anzi due ragazze di 16 anni e due ragazzi di venti. Hanno portato con loro diverse specialità dolci e salate preparate dalle loro mamme: mhmmm... ottimo aspetto hanno queste torte.
Conduco i giovani al Tempio e dò loro l'incarico di accatastare e spaccare un po' di legna, accendere il fuoco nel camino per stemperare l'ambiente ed altri lavoretti. Io torno al Circolo e lì vado avanti nei preparativi scenografici e culinari. Sistemo una pila di arbusti che mio figlio aveva lasciato sullo spiazzolo, preparo il letto per il falò, accendo il fuoco e lo curo sino a che la fiamma è scoppiettante. Nel frattempo arrivano altri ospiti, vengono da Campagnano. Lascio l'uomo al compito di fuochista e prendo la donna, Rosalia, con me in cucina per sistemare ed apparecchiare la tavola.
Ormai è buio, le candele sono accese, l'atmosfera è dolce e romantica. Mano a mano che giungono gli atri prenotati, la massa dei cibi consegnati aumenta, stavolta veramente tutti hanno fatto il loro dovere e c'è una grande varietà di insalate, pietanze, pizze, pane, olio, vino, etc. Mentre fuori sul falò i maschi preparano le bruschette, all'interno del Circolo io mi intrattengo con le ragazze e le signore che, un po' freddolose, circondano la stufetta con le mani protese verso il caldo.
Ecco si crea familiarità ed amicizia fra tutte queste persone che non si sono mai incontrate prima, ognuna per un motivo o per l'altro attratta dalla particolarità della manifestazione. Si parla di archetipi, di dieta vegetariana, di rapporti fra il maschile ed il femminile. Finalmente siamo tutti dentro, stretti stretti perché il Circolo è piccolissimo, siamo solo in 11 si sta come dentro all'uovo primordiale. Sì avete letto bene solo 11 persone, tutte prese e coinvolte e vicine le une alle altre come se si conoscessero da sempre.
La polenta è cotta, iniziamo a mangiare con gusto, portata dopo portata le pance si riempiono e il tepore della stanza coinvolge tutti in una sorta di maggiore intimità.
Insomma senza quasi accorgersene siamo arrivati al dolce, e tra una chiacchiera e l'altra, tutte chiacchiere sensate e non vuote, giunge il momento di scrivere i pensierini. Quelli che vengono condivisi li trascrivo di seguito (*) e gli altri, i desideri segreti e le aspirazioni per il nuovo anno vengono invece riposti in saccoccia di ogni partecipante per caricarli durante il viaggio di forza emendatrice.
Alle 22.30 partiamo per il bosco, tutti pimpanti all'inizio, e sempre più emozionati e sconvolti durante il tragitto... Le ragazze hanno estrema difficoltà a continuare il cammino fra i rovi e la discesa ripida devastata dal continuo passaggio di cinghiali. Questo sentiero del Parco è un po' una "frana"....
Giunti al primo fiumiciattolo, il Rio, si pone il problema della traversata. Nessuno vuole guadare togliendosi le scarpe, e così conduco la comitiva lungo il greto reso scivoloso e fangoso dalle piene recenti sino a giungere ad un grosso tronco caduto fra le due sponde che serve da passatoia per i cinghiali e le volpi, e qui siamo di fronte alla vera prova di coraggio.
Io avanzo spedito per dare il buon esempio, seguito da Mara una signora di Roma veramente coraggiosa, ma una delle ragazze viene presa da una crisi isterica e da un attacco di panico, malgrado sia da noi incoraggiata in tutti i modi, e si mette a strillare che non ce la fa... Un'altra ragazza della sua stessa età, Gloria, di Caprarola, per dimostrare che si può fare, attraversa l'improvvisato ponte carponi, a quattro zampe, e giunge sull'altra sponda. Anche altri tre maschietti osano affrontare la passerella sull'abisso. Ma sull'altro lato, dove sostano i "rimasti", il senso di pericolo e di incapacità è troppo forte, e nessun altro ce la fa a compiere il "salto" oltre il mondo conosciuto. Dopo mezz'ora di tira e molla il gruppo iniziale si scinde, una parte procede verso la sopravvivenza ignota, ed una parte ritorna alla sopravvivenza conosciuta (tornano indietro ad attenderci al Tempio).
La traversata effettuata dal minuscolo branco di 5 persone, due femmine e tre maschi, è simbolica di una capacità ancestrale ad andare avanti, come fecero i nostri antichi avi quando lasciarono l'Africa per invadere il resto del mondo... A questo punto le difficoltà non hanno più importanza si va verso l'ignoto, quel che viene viene!
La sensazione di essere fuori dal tempo e dal mondo viene però scacciata dopo un'ora di impervio cammino dai botti e dalle girandole e fuochi d'artificio che si vedono illuminare la notte sopra l'acrocoro di Calcata: è mezzanotte per loro... per noi è solo chiarore nell'avanzare nella notte buia. Ma l'incanto dell'abbandonarsi alla natura in qualche modo si è rotto, il mondo conosciuto si è riaffacciato alla mente.. ora per il gruppo ci sono solo le difficoltà del ritorno alla civiltà e non l'avventura fine a se stessa...
Stremati ma felici terminiamo il tragitto, arriviamo infine al Tempio della Spiritualità della Natura. Lì ad attenderci c'è il resto della compagnia, hanno tenuto il posto caldo. La ragazza impaurita che non voleva cavalcare il tronco all'andata, mi guarda vergognosa ma io le sorrido...
Invito tutti nella grotticella della Madre Terra e lì cantiamo dolcemente un mantra antico che ci riappacifica con la vita e con noi stessi. Restiamo in silenzio per un po' ed infine completiamo il rito davanti al focolare acceso, ognuno "confessa" a turno il suo desiderio inespresso e brucia il foglietto di carta consegnando al sacro fuoco il messaggio.
La cerimonia è conclusa, congedo tutti e li saluto, qualcuno sente il bisogno di scambiarsi gli auguri per il nuovo anno e così ci abbracciamo a turno, come una famiglia che si ritrova... una grande famiglia elettiva!"
PAOLO D’ARPINI

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(*) Pensierini condivisi dai partecipanti:
"A volte basta poco per sentire e percepire un po' di amicizia da chi non conoscevi"
"Percorriamo sempre la stessa routine ed abbiamo poche possibilità di uscirne fuori, e quando vi riusciamo bisogna approfittarne. Spero che questo capodanno diverso sia il preludio per un anno diverso..."
"Speriamo che l'originalità di questo incontro porti a noi tutti un 2009 pieno di energie positive da vivere"
"Sono contento di questo capodanno atipico perché mi consente di apprezzare il contatto con la natura ed il piacere della condivisione"
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JAZZ. Lo storico quartetto con Clifford Brown (tromba), un giovane Sonny Rollins (sax tenore), Max Roach (batteria), in un bellissimo
Get Happy (durata 22 minuti). Diapositiva fissa ma è la musica che incanta, col lungo solo stupendo di Clifford. Sono gli ultimi anni dei Quaranta.

AGGIORNATO IL 20 MARZO 2015

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