18 marzo 2010

MILANO e Alda Merini. L’ultima grande poetessa, grande comunicatrice.

Tu non sai: ci sono betulle che di notte
levano le loro radici, e tu non crederesti mai
che di notte gli alberi camminano o diventano sogni.
Pensa che in un albero c'è un violino d'amore.
Pensa che un albero canta e ride.
Pensa che un albero sta in un crepaccio e poi
diventa vita. Te l'ho già detto: i poeti non si redimono,
vanno lasciati volare tra gli alberi
come usignoli pronti a morire.

ALDA MERINI

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Poeta? “Perché tu mi dici poeta?”, scriveva Sergio Corazzini. Già, perché? Chiunque, nel groviglio folle di parole, nella sintassi eccentrica, nella grammatica fantasiosa, nell’abuso di figure retoriche, nella musicalità e nel ritmo opinabili, nella metrica discrezionale, potrebbe sostenere d’essere un poeta.
Anzi, meno si capisce quello che un preteso “poeta” vuol dire – perfino da altri poeti – più c’è spazio per quel mistero, quel luogo comune sottoculturale che gli incolti confondono con il carisma dell’artista incompreso, sfortunato, insondabile. Perché non hanno mai capito che cos’è davvero la poesia, suprema arte del comunicare la Vita in una sintesi brevissima e geniale. E a chi, se non agli altri?
E invece, ecco la totale incomprensibilità della pseudo-poesia di oggi, la vera e propria asemanticità, l’assenza di qualunque significato. Tutto e il contrario di tutto. La caduta nella prosa, e pure prolissa e insignificante. A questo ha portato un certo post-romanticismo deteriore, la parodia piccolo-borghese della poesia come anarchia del logos per tutti e a buon mercato, un individualismo narcisistico solipsistico e autoreferenziale che ignora sprezzantemente gli altri, il pubblico (vero soggetto-oggetto della poesia), ed ha rovinato non solo la poesia ma un po’ tutte le arti dall’900 ad oggi. La finta poesia come diario criptico per se stessi.
E invece, no, nient’affatto, non nacque così la poesia. Omero, o chi per lui, raccontava, narrava storie. Non a se stesso, ma agli altri. E con che cura formale del particolare, che minuziosa ricerca. Senza la debita forma, ripeteva perfino Croce, tutti saremmo poeti, perché tutti abbiamo intuizioni, pensieri, gioie, dolori, emozioni davanti ad un tramonto, alla morte d'una persona cara, ad una scogliera d'inverno, in un bosco, e così via.
E allora? I veri grandi Poeti, insomma gli artisti, sanno indirizzare una sintesi geniale agli altri, ai non-poeti, insomma sanno comunicare come e più d’un giornalista. Che spesso spreca troppe parole per non dire nulla, o per dire cose facili in modo contorto e oscuro, appunto, come i poetastri saccenti e mediocri. Perché il poiein, cioè il fare, è comunicare, è la comunicazione per eccellenza.
Ecco, pensavo a tutto questo, alla grande comunicatività della grande poesia, leggendo la notizia delle onoranze che Milano si appresta ad organizzare per la sua poetessa Alda Merini il prossimo 21 marzo, ricorrenza del suo compleanni. Una grande poetessa perché sapeva parlare alla gente semplice e umile come lei. Tanto, che le figlie della Merini, che questo l'hanno capito, hanno approntato un bel sito dedicato alla madre e capace di parlare al popolo di Milano e di tutt'Italia. Non ai critici letterari..
Grande personaggio, persona vera della Milano popolare, e grande poetessa, famosa per i suoi colpi di fantasia a pennellate rapide e geniali che ricordano le intuizioni di certi bambini o dei pazzi, la “folle” Merini, forse l’ultima grande rimasta in quest’epoca, tra un'arida e arrogante avanguardia incapace di creare, e l’esercito di studentesse, professoresse di lettere, o peggio, che come nelle canzonette di Sanremo inanellano in un orrendo Kitsch "cuori, fiori, amori, mari e lune" spacciandolo per poesia.
Chi l’avrebbe detto: ancora una volta, dopo Montale, si scopre un grande esponente della poesia nascosto in una grande e grigia città, quasi clandestino nella stiva di un’enorme nave. O è forse proprio per questo, che cioè la metropoli anonima eliminando l’opprimente controllo sociale dei paesini di provincia stimola i percorsi misteriosi, i “cunicoli” della vita?
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FOTO. Alda Merini dalla copertina della rivista "Poesia", n.244
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JAZZ. Il grande chitarrista gitano Django Reinhardt in una rara esecusione di Nuages su una delle prime chiatte elettriche negli anni 40. Il nuovo mezzo impone, com'è facile riscontrare all'ascolto, uno stile un po' diverso dal solito.

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