20 marzo 2011

ANNI ALTERNATIVI. I concerti pop e le rivolte giovanili per la “musica gratis”.


CONCERTI POP NELLA STRATEGIA DELLA PROVOCAZIONE NERA

Arancia meccanica 

al Palasport

Nico Valerio, Aut, 2 marzo 1975
Roma. Mancavano solo le note della Nona sinfonia. Per il resto la scena di massa recitata con efficace verismo dai poliziotti con elmetto e scudo mod. Termopili dietro i can­celli e sulle gradinate del Palasport all'Eur, la sera di sabato 14, avrebbe fatto luccicare d'invidia gli occhi del regista di Arancia Meccanica. Quasi si fosse trattato di difendere una posta­zione militare e non di tutelare l'ordine pubblico in un luogo di divertimento - ma l'accerchiamento di ben 500 poliziotti, ha fatto notare qualcuno, non si risolve a sua volta in elemento di provocazione? - gli agenti conti­nuavano a manganellare con coscienzio­sità professionale i ragazzi isolati che scavalcavano i cancelli per entrare gra­tis. Molti restavano a terra, storditi e contusi sotto l'inutile gragnuola di colpi. Grazie a un fantastico multiple eye i due poliziotti di Arancia Mecca­nica sembravano moltiplicarsi per 100, per 1000. Gli addetti alla colonna sonora, in mancanza di sinfonie di Beethoven, programmarono un discre­to concerto di sirene di polizia.

Nei sonnacchiosi uffici della Que­stura romana, tra una brioche e un caffè corretto, era giunta sia pur ovat­tata l'eco dei disordini che due giorni prima avevano mandato a monte l'esi­bizione di Lou Reed al Palalido di Mi­lano. Una quarantina di teen-agers, tute paramilitari e baschi neri di tra­verso, si erano impossessati dei micro­foni e, dopo aver distribuito equa­mente sassate tra tutti i musicisti e « preso in ostaggio » uno degli orga­nizzatori, avevano annunciato in un de­lirante proclama che « la musica rock uccide la creatività dei giovani ». Bella scoperta. L'unica soluzione era quella « totale »: spaccare tutto. Era il bat­tesimo del fuoco dei commandos di «Situazione creativa », l'ultimissima invenzione delle centrali della provoca­zione nera che agiscono dà tempo indisturbate in Italia. Mentre Re Nudo e Stampa Alternativa, le due agenzie di controinformazione che si battono contro i « padroni della musica », im­presari e discografici accusati d'arric­chirsi alle spalle dei ragazzi, facevano appena in tempo a prendere le distanze da feddayn situazionisti, tacciandoli di fascismo, il cantante Lou Reed, carico di rimmel, ombretto e lustrini, giun­geva a Roma con la sua ambigua corte di adulatori.

«Duemila pernacchie - promette­vano dalle fermate degli autobus i manifesti di Stampa Alternativa - altro che duemila lire a biglietto! ». Questa volta per rifarsi dello scacco di Milano, dove le era stato impedito di entrare al Palalido, la polizia presidia­va dall'interno con 250 agenti tutti gli ingressi del palazzone di vetro e ce­mento. Quando, per l'azione congiun­ta di due cortei di contestatori, alcuni cancelli vengono spalancati - misura più o meno tollerata dall'organizzatore David Zard, che per calmare le acque quasi sempre è lui stesso a far aprire i cancelli a tutti, a metà concerto - la pubblica sicurezza comincia ad at­taccare e a convergere verso l'affolla­tissima platea. Fino a qualche mese fa la contestazione del « la musica è no­stra e noi ce la prendiamo gratis » indispettiva a tal. punto Zard da in­durlo a minacciare l'Italia di « embar­go totale » della musica pop e rock; mentre da qualche tempo tra le due controparti si è giunti a una sorta di non dichiarato gentlemen agreement: Voi non fracassate niente e mi fate riempire almeno la metà dei posti, io mi impegno a non chiamare la polizia e a far entrare dopo un po' anche quelli che non possono pagare il bi­glietto. Questa volta, però, la strategia della non-violenza, della contestazione verbale e della disobbedienza civile, non ha funzionato. Perché?
E' chiaro - sostiene Marcello Baraghini, 33 anni, barba e capelli incolti, teorico della contestazione ai « ba­roni della musica » e direttore di Stampa Alternativa - gli strateghi della provocazione nera vogliono esten­dere la tensione sociale all'ambiente della musica e dei giovani ». Dopo gli attentati, i rapimenti, le rapine alle banche, i furti d'arte, sarebbe giunto il momento dei -disordini negli stadi sportivi e nelle adunate pop? Certo, molti testimoni oculari hanno riferito che il comportamento degli agenti di polizia dentro il Palasport è stato a dir poco avventato. Molti poliziotti avrebbero sparato decine di candelotti lacrimogeni contro le ampie vetrate del Palazzo. Un grosso plotone poi, dopo essere penetrato all'interno, si attestava addirittura in platea, e non certo per godersi lo spettacolo. Ma la scena-madre della provocazione, a detta dei testimoni, iniziava alle 10,15, quando un gruppetto di mestatori ad­detti a « scaldare l'ambiente » devasta­vano e saccheggiavano il bar sovra­stante le tribune, mentre la polizia che era lì a due passi assisteva senza colpo ferire per una decina di minuti. Poi improvvisamente, scattata chissà quale molla segreta, veniva l'ordine di attac­care. Sugli ottomila ragazzi seduti ad ascoltare la musica degli String Driven Thing piovevano centinaia di candelot­ti lacrimogeni, sufficienti in un locale chiuso a causare lo svenimento per soffocazione: « Nel panico e nel fuggi-­fuggi generale è stato un vero miracolo - dice Baraghini - se non si sono dovuti contare decine di morti e centi­naia di feriti ». Fuori intanto i fug­gitivi venivano inseguiti fin sui prati, mentre con stridore di gomme e ululati di sirene iniziava il « carosello » delle camionette.
Mentre è auspicabile che un'inchie­sta del ministero dell'Interno accerti le responsabilità dell'avventato attacco della polizia al Palasport, disponendo sanzioni amministrative e per i fatti più gravi denunciando all'Autorità giu­diziaria i colpevoli, una domanda sorge spontanea: a chi giova una simile preordinata escalation del disordine? Una risposta forse la si può trovare ben lontano dagli stadi sportivi o dai raduní pop, ed è abbastanza inquie­tante. Qualcuno, ricorda che proprio in questi giorni è in discussione al Senato il disegno di legge governativo sull'ordine pubblico, redatto lo scorso dicembre dal ministro dell'Interno Gui dopo il noto « appello » di Fanfani per una « esemplare stretta di freni » contro la criminalità comune e politica, assai severo non solo con rapinatori ma. anche con manifestanti, detentori di « armi improprie » (tra cui palline colorate, ombrelli e bastoni da passeg­gio), organizzatori di adunate ecc. Contemporaneamente è in discussione alla Commissione consultíva interparla­mentare una riforma del codice di procedura penale che segna un passo indietro per i diritti della difesa: la polizia avrà licenza d'interrogare i « sospetti » senza avviso di procedi­mento né avvocato difensore. Intanto, mentre Tanassi e la destra dc battono il chiodo fisso del « fermo di polizia », prendono forma i provvedimenti stu­diati dal ministro dell'Interno per raf­forzare numericamente e funzionalmen­te l'organico delle forze di PS, senza contare la violenza fascista e comune che non si elimina con 5000 uomini in più (già oggi abbiamo un agente armato ogni 80 abitanti), ma con la concreta volontà politica di attuare le leggi costituzionali e ordinarie oggi in vi­gore. Se inquadrato in questo mosaico politico, il « cui prodest » della violenza dà una sola risposta: il Potere e la DC, dicono i portavoce dei movimenti culturali e politici « alternativi ». « Fan­fani voleva 50 morti ieri al Palasport » ha sparato con un titolo a caratteri le­traset un volantino dei contestatori.
La constatazione che la violenza non paga e serve solo ai fasci­sti sembra aver fatto breccia an­che nelle frange più dure dei ribelli della musica. La stessa Stampa Alter­nativa, che si definisce non-violenta e al massimo è per la «autoriduzione » del biglietto d'ingresso e la disobbe­dienza civile, ed aveva stigmatizzato il comportamento dei provocatori, s'è presa una strigliata dal segretario del partito radicale, Gianfranco Spadaccia, che in un comunicato ha rilevato la pratica alle volte contraddittoria di molti contestatori dei concerti pop. « Non si può - notava Spadaccia - denunciare la musica dei padroni come musica mercificata e alienante e poi pretendere di partecipare alle loro ma­nifestazioni a prezzi bassi o gratuita­mente, tentando di calmierare il mer­cato o minacciare di aprire con la forza i cancelli », Se il rock è ormai una « sottocultura » prodotta dai per­suasori occulti delle grandi società di­scografiche, è contraddittorio chieder­ne la fruizione libera e gratuita per tutti: basterebbe voltargli le spalle e dedicarsi alle altre forme musicali, ge­nuine e popolari, come il folk, e alter­native, come il jazz. Non ci sarebbe che l'imbarazzo della scelta.

05 marzo 2011

SCUOLA. Quella statale è la più seria, e la più adatta a formare cittadini liberi.

I grandi uomini del Liberalismo
italiano, prima ancora di Cavour, dettero sempre grandissima importanza all’istruzione pubblica. Erano ben consapevoli che in un Paese di antica e voluta ignoranza, proprio a causa del dominio oscurantista della Chiesa e dei vari regnanti stranieri, è la scuola, solo la scuola, a formare davvero i cittadini liberi, e che senza cultura il Liberalismo non penetra nelle coscienze e nelle menti del popolo. Perciò, che fossero liberali di centro-destra o di centro-sinistra, moderati o progressisti (penso a Lorenzo Valerio ed altri), sempre l’istruzione popolare e la scuola furono considerate prioritarie in tutti i programmi liberali. E la scuola fu, fin dall’inizio del Risorgimento, pubblica, come dovere sociale imposto allo Stato, proprio perché in Italia la scuola “privata” era quella reazionaria tenuta della Chiesa, in particolare dai Gesuiti, ma anche da altri ordini religiosi. Basti ricordare il generoso attivismo del più grande sindaco che abbia avuto Roma, Ernesto Nathan, insieme liberale e mazziniano, nell’istituire le “scuole rurali”, ovviamente pubbliche, nell’Agro Romano.
Siamo convinti, inoltre, della maggiore efficienza e giustizia liberale di una scuola pubblica rispetto ad una privata, in quanto realizza quella “eguaglianza nei punti di partenza” che il grande liberale ed economista Luigi Einaudi raccomandava.
Ci fa piacere, perciò, riportare una tabella tratta dall’indagine sulle scuole dei Paesi dell’area Ocse che metteva a confronto in Italia il rendimento degli studenti nelle scuole pubbliche e private.
“Il grafico mostra i punteggi delle scuole pubbliche e private nei test Pisa condotti nel 2006 in Italia. Pisa (acronimo di Programme for international student assessment) è una indagine internazionale promossa dall'Ocse nata con lo scopo di valutare con periodicità triennale il livello di competenze dei quindicenni dei principali paesi industrializzati. Come si vede chiaramente, gli studenti delle scuole private hanno un livello di competenze acquisite nettamente inferiore a quello degli studenti delle scuole pubbliche sia nelle conoscenze matematiche, sia nella comprensione del testo, sia nelle competenze scientifiche. Si noti che queste statistiche non tengono conto del livello di istruzione e di reddito dei genitori (più alto nella scuola privata) che mediamente porta a risultati migliori dei figli. Qualora si controllasse per questi fattori il divario sarebbe ancora più accentuato (“La Voce”). Per chi è interessato a questo argomento, l’ultima rilevazione Ocse è visibile qui.
.
IMMAGINE. La scuola che funziona meglio, o meno peggio, è quella in cui gli studenti acquisiscono migliori conoscenze. Ecco nella tabella del Rapporto OSCE riportata in alto i tre parametri della comprensione del testo e delle conoscenze scientifico-matematiche.
.
JAZZ. Il quartetto del grande trombettista Kenny Dorham nel 1959, con Dorham (tromba), Tommy Flanagan (piano), Paul Chambers (basso), Art Taylor (batteria), Il brano è Lotus Blossom tratto dal disco 'Quiet Kenny'.

Etichette: , , ,