28 agosto 2011

RICERCA. Vera la crisi di fondi, ma non il “crollo” delle pubblicazioni scientifiche

Pubblicazioni scientifiche italiane dal 1996 al 2010 (Scimago 2011)Lo studio (consultabile qui nel testo completo) di C. Daraio e H. Moed sullo stato della ricerca scientifica in Italia pubblicato su Research Policy (“Is Italian science declining?”), e ripreso e rilanciato con tipica enfasi da Repubblica, a firma di Corrado Zunino, ha messo a rumore il mondo scientifico italiano facendo gridare allo scandalo anche noi (v. articolo precedente).

Ora, però, un pignolo ricercatore italiano abituato a controllare le valutazioni delle pubblicazioni scientifiche internazionali, messo in sospetto dall’anomalo dato, mai osservato prima, di un “crollo” improvviso del 20% in un anno nella produzione scientifica, è andato a riguardare i dati delle pubblicazioni sulle banche dati, e con i metodi più professionali. E che cosa ha scoperto? Che, pur essendo fondato il grido d’allarme sulla ricerca italiana, il dato esibito dalla Daraio o dalla Repubblica delle “12 mila pubblicazioni in meno in un anno” è semplicemente sbagliato. Un errore. Tutt’al più, meno d’un migliaio (876) di studi citabili in meno nel 2010 rispetto al 2009. E il ricercatore si spinge anche a ipotizzare come la studiosa italiana sia potuta cadere in questo errore. Naturalmente, pur condividendo in toto le consuete giuste lamentele sullo scarso appoggio dei Governi alla ricerca scientifica italiana, tiriamo un (piccolo) sospiro di sollievo: almeno il dato apocalittico del “crollo” improvviso degli studi pubblicati è inesistente. Basta vedere la tabella. Restano i gravi problemi di sempre, certo. E complimenti vivissimi al ricercatore che nel suo blog fornisce le prove della sua ricerca sulla ricerca. Lo riportiamo con orgoglio, pur con l’ausilio di una sola tabella, vista la lunghezza dell’articolo. L’articolo integrale della contro-ricerca è visibile qui. Un caloroso evviva ai ricercatori italiani e un grazie in particolare a De Nicolao!  NICO VALERIO

 

LA CONTRO-RICERCA DI DE NICOLAO
“Da circa un anno mi interesso di valutazione della produzione scientifica internazionale e non ho mai visto un calo del 20% in un anno della produzione scientifica di una nazione. Come osservato anche da Pietro Greco, una tale “catastrofe” è interpretata da molti come l’esito inevitabile di politiche miopi e fallimentari. Tuttavia, il dato è così anomalo e in contraddizione con le mie informazioni precedenti che non ho potuto fare a meno di procedere ad una verifica.

La fonte dei dati forniti dalla Daraio è il Web of Science (WoS) della Thomson Reuters. Insieme al database di Scopus (Elsevier), il WoS è la fonte standard da cui vengono ricavate le statistiche sulla produzione scientifica delle nazioni. Le due fonti non danno risultati identici e non c’è consenso condiviso su quale considerare più affidabile. Tuttavia, su dati aggregati esiste una forte correlazione tra i risultati forniti da Scopus e WoS. Per fare un esempio la scelta del database non influenza la classifica delle nazioni scientificamente più produttive. L’accesso ad entrambe le basi dati richiede un abbonamento. Per nostra fortuna, esiste un agenzia di “ranking scientifico”, SCImago che elabora dei veri e propri “Country Rankings” basati sui dati di Scopus e li rende liberamente consultabili in rete.

Ho svolto la mia verifica in tre passi.

Primo passo: confrontiamo le fonti. Prima di tutto ho consultato la scheda sui dati della produzione scientifica italiana messi a disposizione da SCImago. Per comodità riporto il grafico dei documenti scientifici dal 1996 al 2010 [qui non riportato. V. originale nel link, NdR] e la parte della tabella contenente i numeri dei documenti, dei documenti citabili e della percentuale mondiale.

Saltano all’occhio due cose:
1. Non c’è alcuna traccia di tracollo nel raffronto tra 2009 e 2008. Sia i documenti che i documenti citabili crescono dal 2008 al 2009, come pure la percentuale di documenti italiani sul totale mondiale che, anzi, raggiunge il massimo di tutti i tempi (3.41%). È interessante notare che sia i documenti che i documenti citabili sono sempre cresciuti dal 1998 in poi, con l’eccezione dei documenti citabili del 2010 (pari a 64.667) che sono inferiori a quelli del 2009 (pari a 65.543). Pur non essendo un tracollo, è forse un primo segno di frenata? Lasciamo per ora in sospeso la questione.

2. I numeri forniti da SCImago, la cui fonte è Scopus, sono decisamente maggiori di quelli della Daraio, che provengono da WoS. Per fare un esempio, nell’articolo di Repubblica si parla di 52.496 articoli nel 2008, mentre la tabella di SCimago riporta 62.393 documenti citabili. La discrepanza non è sorprendente in considerazione della diversa copertura dei due database, che però hanno una larga parte di dati in comune. Per quest’ultima ragione, un tracollo superiore al 20% in uno dei due database non può essere completamente invisibile nell’altro.

Il primo passo della verifica evidenzia un’anomalia apparentemente inspiegabile, dato che è per la prima volta che vedo due fonti come WoS e Scopus in stridente contraddizione tra di loro.

Secondo passo: l’origine dell’errore. Considerato l’esito del primo passo, ho voluto verificare il dato della produzione scientifica italiana relativo al 2009, che secondo l’articolo di Repubblica, evidenzierebbe un calo superiore al 20% rispetto all’anno precedente. Usufruendo dell’abbonamento del mio ateneo, mi sono collegato all’advanced search di WoS ed ho eseguito le seguente query: (CU=Italy) AND (PY=2009), restringendo i risultati ai seguenti tipi di pubblicazione: Article, Proceedings paper, Review, come indicato nella Table 1 dell’articolo di Daraio e Moed. Nella query, ho selezionato tutti i database disponibili, ovvero: Science Citation Index Expanded, Social Sciences Citation Index, Arts & Humanities Citation Index. A sorpresa, il risultato è stato quello visto sopra (v. tabella).

Il numero trovato è molto maggiore di quel “poco sopra quota 40 mila” citato da Repubblica. Se il mio risultato è esatto, non si può certo parlare di crollo rispetto al 2008 (52.496 documenti secondo Repubblica), dato che si rimane sopra i 50.000 documenti . Come è possibile? Ho sbagliato a interrogare WoS? Oppure ha sbagliato la Daraio? A mio favore gioca il fatto che un dato “stabile” del 2009 rispetto al 2008 elimina la stridente contraddizione con le statistiche di Scopus che non mostrano nessun tracollo.

Ammettiamo per un momento che il numero fornito da Repubblica sia sbagliato e cerchiamo l’origine dell’errore. Si noti che i database sono continuamente aggiornati. Se si ripetono le stesse queries a distanza di qualche giorno, si ottengono risposte lievemente diverse. L’ipotesi più semplice è che la Daraio abbia interrogato WoS quando i dati del 2009 non erano ancora completamente assestati. In tal modo, avrebbe paragonato i dati più o meno definitivi degli anni precedenti con un risultato solo parziale del 2009. Questa congettura prende forza se si legge quanto scritto a pagina 5-30 del rapporto Science and Engineering Indicators 2010  del National Science Board relativamente all’uso dei dati WoS:

“Previous editions reported data based on the year an article entered the database (tape year), not on the year it was published (publication year). NSF analysis has shown that, for the U.S. data, each new tape year file fails to capture from 10% to 11% of articles that will eventually be reported for the most current publication year; for some countries, the discrepancy is much larger. Here, data in the first section only (“S&E Article Output”) are reported by publication year through 2007, which contains virtually complete data for this and prior publication years”.

Pertanto:

1. C’è un ritardo di registrazione per cui l’ultimo anno disponibile nel database non comprende almeno il 10% degli articoli che a regime risulteranno pubblicati in quell’anno
2. Il National Science Board nel suo report del 2010, non usa i dati 2008 e 2009 perché ritiene assestati solo i dati fino al 2007.
Alla luce di ciò, nel 2011 dovremmo ritenere affidabili i dati bibliometrici fino al 2008.  È verosimile che anche i dati di Scopus vadano maneggiati con la stessa prudenza e, per tale ragione, l’assai lieve calo dei documenti citabili del 2010 rispetto al 2009 potrebbe scomparire quando i dati del 2010 diverranno definitivi.
Questo secondo passo ci mostra che il dato 2009 citato da Repubblica è fortemente sospetto, probabilmente perché estratto da un database non ancora assestato. Lo scopo del terzo passo sarà validare la congettura sull’origine dell’errore.

Terzo passo: verifica finale. Per convalidare la congettura che la Daraio abbia usato un dato non assestato è importante ricostruire la data in cui ha interrogato il database. In rete è disponibile una versione preliminare dell’articolo la quale è datata 14 dicembre 2010. Figure e tabelle (tranne una, relativa alle spese per ricerca e sviluppo) sono uguali a quelle dell’articolo in stampa su Research Policy. Inoltre, nella versione del dicembre 2010 è citata un’altra precedente versione, presentata in un convegno tenutosi nel luglio 2010. Sembra pertanto che i dati relativi al 2009 siano stati ottenuti tramite interrogazioni eseguite nel 2010, con alta probabilità di ottenere risultati parziali.

La verifica finale viene dal confronto con le statistiche delle altre nazioni. Infatti, l’uso di dati bibliometrici non ancora assestati dovrebbe introdurre un errore sistematico sul conteggio delle pubblicazioni 2009 di tutte le nazioni considerate. Per controllare, basta esaminare la Fig. 9 dell’articolo (C. Daraio, H.F. Moed, "Is Italian Science declining?"). Si noti che l'ultimo dato relativo al 2009 è nettamente inferiore a quello del 2008 per tutte le nazioni. Sul grafico [qui non riportato, NdR] nel caso di CH (Svizzera) e UK (Regno Unito) ho aggiunto delle frecce rosse per evidenziare l'anomalia.

Si vede immediatamente che per tutte le nazioni il numero di pubblicazioni per 1000 abitanti mostra un tracollo del dato 2009 rispetto a quello del 2008. Dato che non ci sono stati improvvisi incrementi della popolazione, il 2009 sarebbe un vero e proprio annus horribilis per tutta la ricerca europea. Fortunatamente, la realtà è diversa. Basta consultare le seguenti schede statistiche di SCImago: Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Svizzera. Tutte queste nazioni aumentano la loro produzione scientifica dal 2008 al 2009. Anche le queries da me effettuate su WoS mostrano lo stesso risultato. Infatti, ora che ci troviamo oltre la metà 2011, i dati del 2009 cominciano ad essere un po’ più affidabili. L’Armageddon della scienza europea non è ancora arrivato.

Il terzo passo della mia analisi ha pertanto dimostrato che nella ricerca della Daraio c’è un errore nella raccolta dei dati che riguarda non solo le statistiche italiane, ma anche quelle delle altre nazioni europee considerate. Questo errore crea l’illusione di un crollo generalizzato della produzione scientifica internazionale, di cui non si trova traccia nei dati assestati.

Conclusione. La situazione della scienza (e dell’università) italiana è drammatica perché, a fronte di molti mali e di un cronico sottofinanziamento, è stata oggetto di una campagna denigratoria, a volte grottesca, che ha giustificato ulteriori tagli che la stanno strangolando con grave danno per il futuro del paese. Uno degli aspetti più gravi è stata la diffusione di dati e analisi fuorvianti, tesi a dimostrare che la ricerca italiana non occupa un posto di rilievo nel panorama internazionale. La realtà è diversa e l’articolo di Daraio e Moed ha il merito di ricordare alcune verità fondamentali già note a chi è correttamente informato. Diversa è la questione del “crollo” del 2009. Il presunto tracollo della produzione scientifica italiana è stato da molti interpretato come l’inizio dell’agonia di un malato stroncato dai maltrattamenti e dai salassi di medici incompetenti o peggio. Tuttavia, l’onestà intellettuale impone di dire che il tracollo denunciato nell’articolo di Repubblica è frutto di un’analisi errata. Denunciare gli errori della politica servendosi di notizie prive di fondamento aumenta la confusione e rischia di diventare un boomerang. Le dinamiche della produttività scientifica sono più lente e stiamo ancora sull’onda di una crescita dovuta ai tanti che hanno lavorato e lavorano con dedizione ed entusiasmo. Difficile dire se potrà durare a lungo.
GIUSEPPE DE NICOLAO

TABELLA. Italia: documenti, documenti citabili e percentuale mondiale (Fonte: SCImago, 23/08/2011).

JAZZ. Tre brani del grande compositore, arrangiatore e pianista Bobby Timmons, inventore di tanti stupendi brani dell’hard-bop. Che non è uno stile qualunque, ma è quello che per la prima volta rese popolare il jazz “in quanto musica d’arte”, cosa non riuscita al più puro be-bop. Timmons è ingiustamente poco noto oggi dal grande pubblico del jazz. Eccolo al pianoforte in trio con Sam Jones al basso e Jimmy Cobb alla batteria, in un primo brano (My Funny Valentine 5:00), e poi da solo al piano in un secondo (Dat Dere 5:27) e in un terzo brano (Soul Time 6:25).

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22 agosto 2011

ULTIMI IN RICERCA. La ricetta? Serve cultura, che però manca a questa Destra

Innovazione nei Paesi Europei 2010 (Inno 2011) Figuratevi se un Governo così bassamente populistico e propagandistico (a parole), ma nei fatti affaristico (affari loro, o di uno soltanto), così incapace, ma capace solo di negare la crisi per la cinica paura di dover colpire la Casta e i privilegi degli amici potenti, tra cui la Chiesa (otto per mille, tasse ecc), e perciò perdere quei consensi estorti, si metterà a investire nobilmente in ricerca e cultura. «Per le prossime generazioni?», sarà il commento sarcastico di quegli egoisti un po’ ottusi. Ma l’SOS dello scienziato Roberto Vacca è di quelli urgenti, e assume i lucidi toni visionari di un piccolo Manifesto dei valori della società illuminista moderna, ma è anche un programma di cose che andrebbero fatte subito per cambiare, nientemeno, la cultura media degli Italiani. Fatto sta che le classifiche dicono che l’Italia è molto indietro nelle classifiche internazionali sul tasso di sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica. Secondo quanto riporta Repubblica, una ricerca scientifica di C.Daraio e H.Moed su Research Policy (“Is Italian science declining?”) ci fa fare la solita figuraccia internazionale rivelando che perfino il numero degli studi italiani pubblicati sarebbe diminuito in un anno di ben 12 mila, dopo trent’anni di ascesa. Quest’ultimo dato è per fortuna errato, come ha dimostrato un ricercatore pignolo (v. articolo seguente). Ma, certo, la crisi della ricerca in Italia è vera, verissima. E abbiamo perfino meno ricercatori di ogni altro Paese europeo avanzato. Ma in compenso, aggiungiamo, troppi avvocati. Si sa, gli Italiani, a differenza degli altri popoli, amano da secoli precipitarsi a mettere in piazza all’estero i mali dell’Italia, rafforzando così in un meccanismo vizioso tutti i luoghi comuni sugli Italiani, di cui poi loro stessi “Italiani diversi” saranno vittime. Ma stavolta non si tratta di una denuncia al Tribunale dell’Aja o d’un articolo scandalistico di giornale, bensì d’uno studio scientifico per specialisti. Notizia sùbito pubblicata con golosità masochistica dai giornali italiani, e poi sicuramente ripresa da quelli europei, che non aspettano altro. Ma è ancor più vero che stavolta il famigerato anti-italianismo degli Italiani si nutre di dati veri, reali, incontestabili. Come uscirne? Se i Governi e la classe politica della Penisola vogliono che in Europa e Stati Uniti non si parli più dell’Italia e degli Italiani con pesante ironia, non devono far altro che realizzare le profonde riforme che attendiamo da 60 anni, e prima ancora modificarsi profondamente. Ma ammettendo pure che per miracolo tutte quelle riforme “anglosassoni” venissero fatte, tanto da far assomigliare l’Italia al Regno Unito, se le novità dovessero tagliare i decennali privilegi degli Italiani, di “certi” Italiani, magari proprio degli stessi che per un nonnulla “si vergognano di essere Italiani”, pensate forse che non ci sarebbe una grandiosa sollevazione popolare con dentro tutti, Sud e Nord, Destra e Sinistra? Se dite no, non conoscete gli Italiani. Quel che è certo, tornando alla ricerca, è che senza sviluppo scientifico non ci sarà ripresa, dicono gli esperti di economia e tecnologia. L’allarme è ora confermato anche dal diagramma Innovation Union Scoreboard 2010. E dire che questa Destra di avventurieri aveva preso il potere ingannando casalinghe e pensionati con la favoletta dell’innovazione!
NICO VALERIO

“L’economia italiana ristagna. Crescono scandinavi e tedeschi che da decenni investono 4 volte più di noi in ricerca e sviluppo. La crisi è grave. Non ne parla la Destra - cui manca la cultura. Gli interventi per mirare e realizzare la ripresa non sono ancora al primo posto nei programmi della Sinistra: dobbiamo metterceli.

La Commissione Europea classifica i 27 paesi dell’Unione in base all’innovazione espressa da un indice (fra 0 e 1), funzione di 24 indicatori (lauree, investimenti in ricerca, brevetti, % di imprese innovative, etc.). Il diagramma illustra la situazione: ci sono: 4 leader, 10 innovatori avanzati, 9 moderati e 4 modesti.

La media europea è 0,53. La Svezia è a 0,75.. L'Italia a 0,42 - il 16°  posto su 27, dopo Portogallo ed Estonia. Da noi gli investimenti pubblici in ricerca sono 0,58 % del PIL (0,77 della media europea) e quelli privati 0,65 % del PIL (0,52 della media). Non sono scarsi solo gli investimenti, ma la cultura. Solo il 19% degli italiani completa l’educazione terziaria. La media europea è 32%, Francia 43%, Irlanda 49%.

Siamo nell’era dell’informazione, ma la misura del successo in base alla diffusione di PC, cellulari e altri gadget è piuttosto rozza. Attualmente cresce il divario fra alta tecnologia e cultura media. I supercomputer si usano per scopi banali. I decisori pubblici e privati non investono in ricerca e sviluppo, nè creano scuole eccellenti. I mass media propagandano tecnologia per scopi insulsi. Una rimonta tecnologica ed economica richiederà investimenti, risorse umane, immaginazione e controlli di qualità, ma non se ne vedono segni. È ora che quelle esigenze siano soddisfatte e non si discuta più su astrattezze.

In ogni settore dovremmo rinnovare strumenti e concetti efficaci per combattere il degrado culturale. Le carenze sono così palesi che spesso si propongono rimedi, purtroppo timidi e settoriali. È vitale, invece, definire [questi] traguardi:

 definizione di settori, risorse, strumenti, su cui basare imprese innovative
 progetto di aziende virtuali, costituite da ricercatori, scienziati, industriali
 innovazioni che creino settori di attività già perseguiti all’estero
 reperire risorse finanziarie e umane
 creare studi e formazione avanzata entro le aziende.

In Italia c’è una università ogni 600.000 abitanti. Negli Stati Uniti ogni 100.000 abitanti, in Inghilterra ogni 200.000, in Francia ogni 230.000. Per iniziare una ripresa, l’industria italiana dovrà creare università, istituti di ricerca, politecnici. Invece si tagliano i finanziamenti pubblici a università e ricerca. In Francia il 2% dei professori universitari sono stranieri, nel UK 10,4 %, in USA 19%, a Singapore 47% - e, in questi paesi, è alta la percentuale di università eccellenti. Le università italiane, invece, non ingaggiano i migliori ovunque si trovino.

Innalzare la cultura generale, creare scuole avanzate, investire in ricerca e sviluppo evita il declino e produce resilienza [termine multi-significato: rimbalzo, elasticità, capacità di resistere, creare abilità e adattarsi. Dal lat. resiliens-entis. NdR]. Invece le opinioni, credenze, ideologie più diffuse sono errate e modeste e il pubblico crede a catastrofismi e leggende metropolitane. A lungo termine occorre un'azione internazionale congiunta di aziende ad alta tecnologia per innalzare la cultura di intere popolazioni. Si alleino accademia, parlamento, industria per fornire al pubblico criteri di giudizio e modi di comunicazione efficaci.

In tutto il mondo si generano progressi continui cui si accede da Internet, ma il pubblico ne è escluso: giornali, radio, TV, comunicazioni sociali trattano argomenti volatili e non analizzano criticamente fatti importanti. Non siamo motivati a capire, partecipare. I mass media si usano per fini politici o interessi privati. Per eliminare tutto ciò ci vogliono tante conversioni a codici di equità e oggettività, oggi disprezzati. L’abbandono della ragione lascia spazio ad astrologia, parapsicologia, miracoli, visti come spiritosi atteggiamenti anche da certi intellettuali. La disinformazione porta alla rovina.

Il mondo è fatto di meccanismi naturali, struttura della materia, artifatti umani, processi sociali, politici ed economici. Questi sono gestiti o subìti dal pubblico in modi razionali, irrazionali, casuali. Per capirlo bisogna padroneggiare strumenti concettuali e tecnologici.

La capacità di concatenare problemi e soluzioni deve essere acquisita da tutti. La gestione di problemi sociali e politici non è una scienza. Usa anche principi semplici facili da comprendere. La gestione totale di qualità deve continuare a diffondersi nell’industria, ma anche pervadere società, scuole, processi decisionali, mass media. Solo chi investe forte in ricerca e sviluppo incrementa il PIL o non lo vede calare in tempo di crisi - gli altri no”.
ROBERTO VACCA

TABELLA (cliccare per ingrandirla). Fonte: Innovation Union Scoreboard 2010, www.proinno-europe.eu/metrics

JAZZ. Il trombettista hard-bop Kenny Dorham, attivo nei ruggenti anni 60, in Afrodisia, un brano di sapoore afro-cubano della durata di oltre 5 minuti. Ancora Kenny Dorham alla tromba nel Quintetto di Joe Henderson (tenor sax), McCoy Tyner (piano), Butch Warren (bass), Pete LaRoca (drums), dall’album “Page One”, in Blue Bossa (1963).

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07 agosto 2011

NUDISMO. Escursionismo e ginnastica terreno comune tra nudisti e naturisti.

Nude hiking su percorsi non frequentati degli Appennini L'escursionismo sportivo nella natura selvaggia, o l’attività ginnica, i giochi e la vita attiva all’aria aperta, almeno nelle vacanze estive e nei fine settimana durante l’anno, rappresentano il momento più alto e coerente nella pratica di un nudismo che aspiri a diventare davvero, almeno un po’, “naturista”. Così, il nome usato da qualche anno per incomprensibile vergogna della bellissima parola “nudista” sarebbe un po’ meno abusivo.
      Vogliamo fare i “naturisti”? Per essere credibili – sembrano essersi detti i nudisti più intelligenti e colti – cominciamo a praticare almeno qualcuno dei più importanti temi naturisti classici, dall’alimentazione alle medicine naturali, dall’ecologismo all’escursionismo. Magari cominciando dall’ultimo, proprio il nudismo (in tedesco, FKK o Freie-Korper-Kultur, cioè cultura del corpo libero).
      Infatti, a detta dei grandi teorici e pratici del movimento, il nudismo è nato come l’ultimo punto, per di più facoltativo e non essenziale, del Naturismo, che è un ben più vasto e antico movimento scientifico e filosofico del “vivere secondo Natura”, dal quale sono derivate grandi conquiste, che hanno aiutato l’Uomo “civile” a reagire agli eccessi della civilizzazione: il culto della salute del corpo, le medicine naturali, l’alimentazione sana e naturale, le terapie con gli alimenti, l’autosufficienza, il risparmio di beni e di energia, l’autoproduzione e l’anticonsumismo, la tutela di piante-animali-ambiente, l’ecologismo ecc. Si veda nella lettera del grande nudista-naturista Giuseppe Ghirardelli, che definì correttamente il nudismo come ultima “estrema conseguenza” del Naturismo (v. il fondamentale e, vi assicuro, originale articolo  monografico sul “Naturismo”, che corregge la sbagliatissima e sottoculturale voce su Wikipedia e la meschina definizione campeggistico-commerciale dell’INF).
      Perciò, se proprio si vuole cominciare a praticare il Naturismo partendo dal nudismo, almeno lo si coniughi con qualcuno degli altri e più importanti temi. Se dunque i nudisti di oggi, pigri, sedentari, poco o per nulla salutisti, che non sanno niente del vero Naturismo e delle sue origini, cominciano a recuperare almeno l’escursionismo e l’attivismo sportivo nella Natura, fanno solo bene. Una piccola cosa, d’accordo, ma è sempre meglio di niente.
Escursionismo gruppo nudista (dietro) lungo spiaggia      Fatto sta che in Svizzera (ma il cantone conservatore dell’Appenzell oggi commina severe multe), Germania, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Australia, e solo molto raramente in Italia, la gioiosa e liberatoria pratica del “nude hiking”, cioè della camminata sportiva nudista nella natura selvaggia (foreste, ruscelli, laghi, vette, perfino sulla neve), sta prendendo sempre più piede.         Per quanto insufficiente, si guardi la voce “Nude Hiking”, andando poi a vedere i link di riferimento in basso, e a chi non sa nulla di questo movimento del contatto “primigenio” con la Natura si aprirà tutto un mondo. Vedrà nei pochi filmati allegati a mo’ di esempio, come la “Randonnue” (randonnée nue, camminata sportiva nudista) a Tharaux del 2010, che in certi luoghi così paradisiaci lo stesso buonsenso impone di andarci nudi, così come solo gli stupidi metterebbero il costumimo bagnandosi in una caletta vergine e deserta.  In un altro filmato, sulla Randonnée des Concluses del 3 agosto 2010, l’operatore si mette a intervistare gli escursionisti vestiti che i nudisti incontrano sul sentiero, evidentemente molto frequentato.
      E le risposte sono molto interessanti. Possiamo capire e perfino apprezzare, psicologicamente ed esteticamente (beau geste artistico, un po’futurista), il nudo provocatorio in città, come extrema ratio dell’esasperazione, dell’infrazione della norma. Perché il nudo è l’ultima chance, la protesta estrema, anzi la verità assoluta. Ma sul piano generale e razionale non è una buona cosa. In fondo, è una piccola forma di violenza. Siamo contrari, da liberali e non-violenti, a imporre visivamente il nostro corpo nudo agli altri. Anche se abbiamo “antropologicamente” e biologicamente ragione. Dobbiamo rispettare anche i tabù e le idee “sbagliate” del prossimo, ignorante del valore del corpo, e comunque non ancora maturo per capire le nostre conquiste. A meno che, a titolo sperimentale o in alcune comunità di avanguardia, non si sia tutti d’accordo per il nudismo anche sui luoghi di lavoro. A noi piacerebbe molto: siamo sicuri che molto mobbing sparirebbe (al massimo sostituito da qualche invidia o gelosia tra donne…). E infatti sembra che col nudismo in ufficio perfino la produttività aumenti.
Ragazza nudista tira con arco (ridotta e modif)      Ma è certo che il nudismo è perfetto per la Natura. Sebbene, anche in villaggi e montagne sia prudente saper scegliere oculatamente. Perché c’è il rischio, oltretutto, di scatenare reazioni di sindaci e polizie locali che potrebbero stroncare il movimento, come infatti sta accadendo nel cantone Svizzero anzidetto (100 franchi svizzeri di multa, più ben 3300 FS di spese processuali, un patrimonio!).
      No, il nudismo libero, statico, balneare o itinerante, va praticato solo dove la Natura non solo è selvaggia, ma anche difficilmente raggiungibile dalla massa o dai curiosi. Dove, cioè, è “presumibile in buona fede” che non ci sia nessuno. Solo in questi casi la legge ci difende.
      Evviva, perciò, l’escursionismo nudista. Se il contatto attivo con la natura vergine diventa la base minima di uno stile di vita che coinvolge tutto il corpo, e dunque anche la mente, è altamente probabile che poi, a poco a poco, anche gli altri e più importanti temi naturistici, come il salutismo, le medicine e l’alimentazione naturale, la difesa di piante, animali e Natura, la manualità, il far da sé e l’autosufficienza, l’anticonsumismo, la riduzione al minimo o il riciclaggio casalingo dei rifiuti ecc., troveranno un terreno favorevole, e si faranno strada da sé, anno dopo anno, fino a ricostituire nella vita e nell’animo di ciascuno di noi quell’unità e circolarità filosofica, scientifica ed esistenziale che è il vero Naturismo.
      E invece, che accade? Che perfino il nome “Naturismo” non è conosciuto o è gravemente equivocato (molti lo considerato sinonimo di nudismo), a causa dell’ignoranza abissale che regna oggi tra le nuove generazioni, facilitata anche da tutti i trucchi della mistificazione e dell’ipocrisia. Tanto che quando abbiamo dovuto scrivere per disperazione un documentato articolo monografico con l’Abc della storia e del vero significato del termineNaturismo”, parecchi lettori, perfino quarantenni e cinquantenni, alcuni dei quali si definiscono “naturisti” da anni, sono caduti dalle nuvole e sono rimasti a bocca aperta, come se avessero avuto chissà quale rivelazione. A loro dire, leggevano quelle cose per la prima volta. Incredibile. E qualcuno di loro è addirittura dirigente di un club nudista (sedicente “naturista”)! Davvero incredibile. Un fenomeno di sottocultura e incultura tipico di questa Italia e di questa Europa senza studio, e quindi senza passato.
      Insomma, gli sprovveduti “naturisti” all’italiana (anzi, alla francese, perché la colpa dell’ipocrisia linguistica e della pochezza intellettuale dei nudisti di oggi è soprattutto dei Francesi), in realtà solo e a malapena nudisti – spesso soltanto sporadicamente – usano un nome sbagliato, senza sapere che cosa significhi, o al massimo vanno a guardare la pietosa descrizione fatta da qualcuno dei loro amici di incultura su Wikipedia, secondo la quale il naturismo sarebbe il nudismo! Fonte “scientifica”? Testi storici, filosofici, medici, c’è da immaginare. No, solo una frasetta, nientemeno, scritta da una federazione internazionale di club di vacanze nudiste, la FNI-INF, in un articolo… del proprio statuto. E’ come se un’associazione di appassionati di cucina nel proprio regolamento decidesse che i “cereali” sono quei prodotti industriali in scatola che alcuni usano per colazione, e non il più proprio e vasto settore dei grani, dei fiocchi e delle farine, dal frumento all’avena, che ha fatto la storia dell’uomo e la sua alimentazione. E per i mediocri che non hanno mai aperto un libro di saggistica in vita loro, si sa, Wikipedia è il vangelo.
      Avete presenti i tanti furbi politici che si definiscono “liberali” o “democratici”? Ebbene, il primo imbroglio è sempre lessicale. Copiando gli snob e ipocriti francesi, i club di vacanze nudiste si sono impossessati abusivamente del termine “serio” e “alto” Naturismo, vergognandosi evidentemente del nome appropriato Nudismo. Perché, dicono i francesi, il termine nudiste è volgare, in Francia. Ah, buono a sapersi: questo è il loro vero retro-pensiero! E col cattivo esempio dei francesi, che dovunque vadano impongono autoritariamente le proprie idee (o fisime), perfino i tedeschi hanno abbandonato la definizione di Freie Korpe Kultur (FKK) o “cultura del corpo libero”, che aveva almeno una sua dignità poetica e storica. Oggi la usano solo vecchi nostalgici. Dunque, per queste meschino snobismo prude e piccolo borghese dobbiamo cambiare vocabolario e confondere le idee alla gente? E i due termini non sono affatto sinonimi, anzi stanno tra loro come il tutto (la filosofia del Naturismo) e una piccola parte, oltretutto eventuale, del tutto (la pratica del nudismo).
Doppio Tennis nudistaEventuale? Sì, perché il grosso del movimento naturista attuale non è nudista, ma (oggi si dice) “ecologista”. Tutti e tre i principali filoni storici del Naturismo, l’alimentazione naturista (che nel mio libro ho chiamato “naturale” per farmi capire meglio), la medicina naturista (o ippocratica) e l’ecologismo, non c’entrano nulla col nudismo. Non solo nell’800, ma ancor oggi, nessuno dei medici o dietologi naturisti, per non parlare degli esperti ambientalisti, è nudista. Anzi, ci prendono in giro, ovviamente a torto (v. più avanti Fulco Pratesi del Wwf). L’unico in Italia, e forse in Europa, tra gli esponenti noti o pubblici, nel senso che si sono esposti e hanno pubblicato qualcosa, ad essere fautore o esperto ugualmente di alimentazione e medicina naturiste, come pure di tutti gli altri temi del Naturismo, compreso il Nudismo, è purtroppo il sottoscritto Nico Valerio. Lo scoraggiante paradosso dei tempi moderni, quindi, con questa singolare eccezione, è che “nessun naturista è nudista, e nessun nudista è naturista”. Altro che termini “sinonimi”! Anche se da qualche anno, aggiungo, dai e ridài con le mie filippiche, libri, articoli con dimostrazioni storiche, e con lo stesso boom dell’ecologismo, qualcuno dei nudisti (ne fanno fede le email che ricevo) si sta timidamente aprendo agli altri temi.
      E così, per questa mistificazione del nome, il vastissimo movimento che prende le mosse da Ippocrate e che nientedimeno doveva fare la “Riforma della vita” (Lebensreform, si veda la lunga voce, in tedesco, su Wikipedia), dal cibo alla medicina, si riduce a togliersi il costumino prima di fare il bagnetto in mare, ad agosto… Ovviamente sfumacchiando e bevendo alcol come tutti, abbuffandosi di schifezze allo snack bar come tutti, e perfino sporcando spiagge e facendo rumore come tutti.
      Però qualcosa sta cambiando, finalmente, tra i nudisti solo nudisti. E’ sempre vero che i nudisti di oggi sono pigri (in questo ricordano dannatamente i vegetariani…), si muovono pochissimo, e perciò l’escursionismo nudista nella realtà è poco o nulla praticato, specialmente in Italia. Però in qualche gruppetto locale e spontaneo, soprattutto all’estero, i legami con le origini attivistiche e salutistiche a tutto campo del Naturismo, ben noti fino a 30 anni fa, cominciano a riemergere, magari per merito di qualche capo-gruppo sapiente o meno ignorante degli altri. In questo filmato, per esempio, si vede chiaramente che la guida, il personaggio carismatico intervistato, è un nudista tendenzialmente naturista, non un semplice nudista. Per lo meno il suo naturismo abbraccia la Natura e l’esercizio fisico, che è già abbastanza. Insomma, si capisce che ha letto qualche libro, oltre a esporre le chiappe al sole.
biciclettacoppia      Fatto sta che proprio grazie all’escursione, alla camminata, all’esercizio fisico, allo sport, al movimento, il nudismo esce dal sedentarismo consumistico e commerciale dei club, delle saune, delle palestre, dei campeggi e delle spiagge estive, dove ormai è relegato, oltretutto ridotto sempre più a momento marginale (prima del bagno…), specialmente tra i giovani, molto conformisti e vergognosi.
      E’ un vero peccato, perché il nudismo escursionista non è praticato neanche dove la Natura lo consente. Nelle Alpi meno battute dai terribili e vocianti “merenderos”, i famigerati gitanti della domenica che pretendono di arrivare con la loro automobile (non c’è bisogno di scomodare Freud: l’auto è un rassicurante “scudo” protettivo psicologico) fino sul prato del pic-nic, ma soprattutto sugli ancor meno frequentati Appennini, nel Lazio e in Abruzzo, molte bellissime zone naturalistiche sono talmente poco antropizzate che vi si può camminare totalmente nudi, e in gruppi anche numerosi, sia pure con qualche elementare accortezza.
      Ci sono stati gruppi – condotti da me fin dagli anni 70 e 80 – che camminavano nudi non solo lungo le ultime spiagge selvagge del litorale, ma anche e soprattutto nei boschi, nei valloni e sui prati, che salivano verso una vetta, o si arrampicavano sui faggi, o scendevano giù per dirupi, in regolari escursioni sportive, anche a 25 chilometri da Roma! Tanto che ne parlò anche Repubblica, nella prima inchiesta in Italia sul nudismo come fenomeno di costume e ideologia, tanto che io stesso che avevo proposto l’inchiesta mi meravigliai molto che fosse subito accettata dalla redazione, e col nome giusto “nudismo” (solo in un titoletto riuscirono a infilarci “naturismo” come sinonimo!).
      L’idea insinuata dalla mia inchiesta su Repubblica era che il nudismo si potesse fare anche e soprattutto nella Natura vergine. Cosa che non piacque a qualcuno, tanto che alcuni amici ecologisti e pure Fulco Pratesi, allora presidente del Wwf, che pure mi lodava per i miei libri di alimentazione, che aveva sempre sulla scrivania, me lo rimproverò. Come i nudisti non capiscono gli ambientalisti, così ci sono anche gli ambientalisti che non capiscono i nudisti. Chi glielo dice ad entrambe le categorie che fanno parte del medesimo club ideale, quello dei Naturisti? Ecco, questo era appunto il nostro scopo: rimettere insieme i due filoni separati del Naturismo.
Corsa nudista
E poi, che male facevamo noi escursionisti nudisti all’ambiente? Nessuno. Anzi, meno inquinamento cromatico. Cioè? E’ noto che i colori vivaci (rosso, giallo), che sono una fissazione degli escursionisti ad imitazione degli alpinisti che hanno a che fare con la neve e vogliono essere visti subito in caso di incidenti dal soccorso del CAI, allarmano moltissimo gli animali, specialmente gli uccelli, i quali fanno il tipico verso discendente di allarme e scappano via. I nudisti, invece, come anche gli escursionisti vestiti con colori rigorosamente mimetici (verde scuro, sabbia, bruno chiaro), come infatti richiedevo ai partecipanti della mia Lega Naturista, oltre al divieto di bacchette, hanno il vantaggio di poter osservare più a lungo gli animali. E’, in versione rigorosamente non violenta e di bird-watching, lo stesso trucco dei cacciatori, anche loro mimetici, sia pure per fini secondo noi ignobili.
      Infine, solo di rado il vestiario in montagna, o comunque in escursione negli ambienti selvaggi, ha anche una funzione di protezione, sia dall’ambiente circostante (rovi, pietre ecc.), sia dagli agenti atmosferici (freddo, sole eccessivo ecc.).
      Spesso, al contrario, il solito consumistico vestiario che gli istruttori di montagna o le guide escursionistiche, le riviste specializzate e i siti commerciali delle case produttrici di articoli sportivi consigliano, è più d’impaccio e di danno che di utilità: ostacola il movimento, crea inutilmente caldo, falsa il sistema termo-regolatore del corpo umano, trattiene l’umidità, provoca irritazioni e macerazioni della pelle, provoca sudorazione eccessiva, fa perdere preziosi sali minerali indispensabili per resistere durante lo sforzo fisico, e mette anche in allarme la fauna prima del tempo impendendoci di osservarla.
      Senza contare il piacere indicibile che camminare in totale nudità immersi nella Natura provoca. Insomma, dalla primavera all’autunno (e perfino d’inverno nei versanti sud o riparati dove si instaurano veri e propri “microclimi caldi”, come accade spesso nei luoghi scelti per la sosta della colazione), è possibilissimo camminare o sostare nudi. Perfino gli zaini possono essere ridotti o alleggeriti, e addirittura gli scarponi possono essere sostituiti, dove camminare a piedi nudi sull’erba non è possibile, dai sandali robusti dotati di suola molto spessa e anti-scivolo, oggi molto diffusi perfino in città. In sintesi, anche la montagna, anche l’escursione avventurosa, può andare d’accordo col nudismo. Per fortuna esiste una guida CAI che la pensa come noi!
      E questo escursionismo nudista noi della Lega Naturista – il primo club naturista totale ed ecologista in Italia (fondato nel 1975) – lo abbiamo praticato spesso e volentieri ad ogni occasione, almeno quando l’ambiente naturale e umano era favorevole, fino agli anni 80 e 90. Nonostante che il nudismo fosse per noi (correttamente, come mostra l’articolo monografico sul Naturismo nel link) proprio l’ultimo tema tra tutti quelli del Naturismo, dopo alimentazione, igiene e medicine naturali, agricoltura naturale, tutela di piante-animali-ambiente, energie rinnovabili, autosufficienza, anti-consumismo, escursionismo, cultura del corpo e nudismo. Vedete, dunque, quanti temi, più importanti ancora, ci sono prima del nudismo, per poter parlare senza farsi ridere dietro di “Naturismo”!
      Però, devo anche aggiungere che la nostra Lega Naturista faceva da educatrice per un pubblico del tutto ignaro di questi temi. Basti dire che tra molte centinaia di ragazze e ragazzi, donne e uomini che si sono avvicendati in 20 anni nel nostro gruppo di hiking, cioè normali camminate sportive su sentiero e fuori sentiero, tra boschi, montagne, prati, altopiani ecc), i nudisti già convinti e praticanti saranno stati appena una decina in tutto, a dire tanto. Così, con un entusiasmo contagioso, riuscivamo a far provare l’escursionismo e perfino il nudismo a molti che mai li avrebbero praticati spontaneamente. E ogni occasione durante l’escursione (frutti selvatici, erbe aromatiche, la colazione portata da casa) era buona per parlare anche di alimentazione sana (“naturista”), medicine naturali ecc.
piscina nudista mista      L’escursionismo nudista resta comunque lo sport più bello, rilassante ed entusiasmante. La lunga camminata sportiva nudista in ambienti selvaggi e naturali, senza tracce apparenti dell’Uomo e delle sue costruzioni, oltre che benefica (il famoso “movimento” o “esercizio fisico” a cui ci esortato gli epidemiologi per ridurre tutti i rischi di malattie) e tonificante-rassodante per la pelle, innaturalmente stretta e riparata da schermi artificiali che poi la renderanno più vulnerabile al primo sole o al primo sfioramento di un ramo, è anche educativa, perché ci riporta ad una semplicità primigenia, catartica, e fa capire a giovani e vecchi che perfino il nudismo, tra i tanti aspetti del Naturismo come filosofia, divulgazione scientifica e modo di vivere, può essere praticato anche da chi vive in una metropoli moderna, anzi ne è la tipica reazione terapeutica. Questa consapevolezza che è possibile, pratico, facile, organizzarsi una vita diversa e alternativa, simbolicamente più vicina a quella delle nostre origini culturali, è di per sé rassicurante psicologicamente. E’ noto che molte nevrosi si curano con l’escursionismo. E il nudismo può essere una medicina in più.
      Naturismo e Nudismo sono due concetti ben diversi, dunque, ma che partono dal medesimo filone culturale che prende le mosse dagli ippocratici dell’Antichità, e che poi si è evoluto, all’inizio soprattutto per opera dei medici naturisti dall’Ottocento a tutto il Novecento, come dimostro facilmente nell’articolo sopra citato e linkato. Il nudismo è solo un piccolo aspetto, e per di più secondario ed eventuale, cioè non essenziale, del Naturismo. Ma è pur sempre compreso come ultima, estrema possibilità, nel primo, come era chiaro perfino ai grandi nudisti del passato, fino ai Gorischegg e Ghirardelli. Dopo di loro, una pesante cappa di ignoranza, ipocrisia e mistificazione, perfino sul nome, è scesa sul movimento. Così – lo ripeto da decenni, sulla scorta degli insegnamenti dei grandi naturisti del passato – si può essere perfetti naturisti senza essere anche nudisti, e viceversa. Purtroppo.
Ragazza nudista a cavallo figure intere
Anzi, la pratica di ogni giorno ci insegna che questa separazione profonda, addirittura antitesi, è la norma. E’ infatti rarissimo, specialmente nell’ignorante Italia, trovare naturisti che siano anche nudisti, e nudisti così aperti, colti e coerenti da essere anche naturisti. Oggi, poi, i “naturisti” sono in pratica gli ecologisti. Peccato, però, che sia inevitabile dare alla categoria un valore in qualche modo politico, ora finalmente tornato ad essere trasversale, bipartisan. Il che va d’accordo con la Riforma del cibo e della vita stessa (Reformhaus era la bottega di cibi e oggetti naturali), Lebensreform era la filosofia generale e il programma dei club naturisti del primo Novecento.
      Torniamo, perciò, a fare attività fisica, escursionismo, ginnastica e giochi, anche impegnativi, da nudi, come intelligentemente facevano gli Antichi che non per caso crearono la parola “ginnastica” a partire dal termine “nudo” (gymnòs). Capisco che ben pochi oggi studiano il greco, ma sappiano che letteralmente, una escursione “ginnica” vuol dire una camminata nudista!


RIFERIMENTI: Nico Valerio, Guida al Nudo, ed. Sugarco 1980

NOTA. A proposito, è curiosissimo: tutti i nudisti hanno lodato, anzi, mitizzato questo testo Guida al Nudo, che è anche storico-ideologico, e ha dimostrato per la prima volta con abbondanza di prove inconfutabili non solo la differenza concettuale, ma anche di “scala” tra Naturismo e Nudismo: il primo immenso, il secondo piccolissimo. Eppure non ne tengono conto, sia sul piano storico-culturale, sia su quello linguistico. Cosicché i nudisti sedicenti “naturisti” continuano a vergognarsi del… nudismo, e a scrivere su Wikipedia e sulle rivistine di club le solite sciocchezze sul “naturista”, non sul “nudista”, che si espone al sole, sulla base di definizioni arbitrarie, storicamente infondate e che non tengono minimamente conto della grande Cultura Naturista, solo perché espresse nello statuto della federazione di club di vacanze nudiste INF-FNI, per ironia della sorte affiliata all’ente sovranazionale per la “cultura”, l’Unesco! Sembra che la Cultura e la Storia del Nudismo e del Naturismo – due movimenti ben diversi – non esistano per loro, e che spetti ai burocrati dei campeggi, che si vergognano di definire la propria attività “nudista”, coprirsi con la foglia di fico del termine “naturismo”. Tutto questo lo scrivevo già nel libro “Guida al Nudo”, stranamente lodato da tutti… Al contrario dei burocrati INF, i nudisti del passato, da Gorischegg a Ghirardelli, erano persone che avevano letto e studiato, uomini di cultura e di Natura, che sapevano bene che il Naturismo è ben altro che il semplice esporsi nudi al sole estivo in qualche spiaggia! Basti dire che il Gorischegg, ad esempio, scrisse articoli sul pane integrale e l’alimentazione naturista fin dagli anni ‘20, e il Ghirardelli con la sua gloriosa Anita, oggi irriconoscibile, negli anni ‘70 raccoglieva firme contro la caccia e a favore dell’alimentazione sana. Perciò loro, sì, potevano definirsi nudisti e naturisti. Ma i loro eredi, per carità, sono di un’incultura unica! Si veda, perciò anche la monografia sul significato vero e la storia del Naturismo che sostituisce la voce sottoculturale che appare su Wikipedia: è qui.

IMMAGINI. Dall’alto in basso: 1. Escursione di “Nude Hiking” sui percorsi più selvaggi e meno frequentati dell’Appennino (l'autore al centro, foto A. Papadato). 2. Gruppo di escursionisti nudisti dietro una laguna in Francia. 3. Ragazza nudista si esercita con l’arco (foto anni ‘20). 4. Una escursionista nudista con zaino. 5. “Doppio misto” nudista di tennis. 6. Ciclisti nudisti. 7. Gara di corsa in un club nudista negli Stati Uniti. 8. Una delle annuali gare di nuoto per i club nudisti europei (Germania). 9. Cavallerizza nudista in un’escursione a cavallo (prob. anni ‘30, Stati Uniti).

JAZZ. Il chitarrista Django Reinhardt nel poco noto brano Nagasaki del 1936 (2:51. Freddy Taylor, vocal).

AGGIORNATO IL 20 MARZO 2015

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