02 luglio 2012

L’ASSEMBLEA. Il sogno dei mediocri: comandare. Anche nell’ultimo dei club.

Assemblea (disegno) E’ proprio vero che solo i peggiori “fanno politica”? E’ vero e non è vero. Non siamo troppo severi con la Politica. Darle un primato del genere, sia pure negativo, significherebbe nobilitarla ingiustamente. Un Genio del Male è pur sempre un genio.

Diciamo che l’ipotesi di lavoro va leggermente modificata e allargata: è vero o no che solo i mediocri vivono intensamente e maniacalmente le assemblee, i congressi, insomma la vita interna di un’associazione, di un partito, di un club, qualunque sia? E perché lo fanno? Qual è il loro scopo recondito? Ecco, ora ci siamo: l’abbiamo presa alla larga, abbiamo generalizzato quel tanto che ci permette almeno di delineare il problema in modo credibile e razionale.

Calderoli, ex ministro ed ex leghista, intervistato da Radio Radicale, ha detto – riferendosi alla Lega Nord, ma anche a tutti i partiti – una  verità che non ho mai sentito dire così esplicitamente se non da me stesso: che si fa politica non per diffondere tra i cittadini un’idea, ma per contrastare e vincere gli altri iscritti allo stesso partito. In altre parole, per il partecipante medio di un’assemblea di Partito ( o di Club) gli avversari, anzi i nemici, non stanno fuori ma dentro il Partito o club. Tutte le energie di quei presenzialisti da assemblea sono spese nel contrastare i concorrenti interni, cioè gli “amici”, che in teoria la pensano come loro, “rei” appunto di volere le loro stesse cose, cioè visibilità e Potere.

La cosa evolve anche nella tendenza storica alla fazione e al frazionismo settario. Nel Medioevo nella lunga lotta per le investiture si fronteggiavano Guelfi (favorevoli alla supremazia del Papa) e Ghibellini (favorevoli all’Imperatore). Ma sùbito i primi, a forza di contestarsi tra loro, si suddivisero al loro interno in Bianchi e Neri. E così via, di fazione in sub-fazione, fino a dividere il capello in quattro. Si pensi anche alle infinite suddivisioni e scissioni della Sinistra europea e italiana in particolare negli ultimi decenni. Come mai? Per il perfezionismo dell’ideologia? No, questa è la scusa, la facciata razionalizzata per dare dignità ad una posizione meschina. La ragione vera è la gelosia, l’invidia e l’ambizione con ogni mezzo al Potere all’interno di un gruppo ristretto. Proprio il caso di cui parliamo.

Altro che Politica, è psicopatologia! Lo scopo di tanta distorta aggressività verso i compagni della propria stessa parte? La concorrenza per il Potere, il gusto di comandare, l’ambizione meschina di “essere importanti”, di avere “un fiore all’occhiello”, sia pure all’interno del minuscolo “Club Amici del fungo prataiolo”, dell’ininfluente “Accademia  della Tiorba Medievale” o  della localissima “Società di studi tardo-romantici” (tutti nomi inventati). Ovviamente, della ragione sociale non interessa quasi a nessuno: l’importante è l’assemblea, la vita di club, il mettersi in luce, il prevalere sugli altri. Del resto, se già nel più calmo Condominio cittadino si verificano dinamiche di scalata al Potere, figuriamoci nei Partiti.

Si obietterà che sono vizi, anzi “tendenze” umane, antiche quanto il Mondo. La Bibbia già parla di aspre, criminali, lotte tra fratelli, senza alcun motivo tranne l’invidia e l’ambizione. Ma, sul piano sociale, se l’associazionismo si traduce sempre e ovunque in volontà di sopraffare e vincere gli altri, chiunque siano, a partire dagli amici e compagni di ideologia, è segno d’un diffuso e patologico degrado dei valori e della società, tipico di certi Paesi emergenti, e anche dell’Italia, in cui la sana libertà della concorrenza che difetta in economia, trova uno sfogo abnorme nelle faziosità e aggressività di parentele, di vicinato e di gruppi sociali. Ha due livelli di gravità: puro (senza soldi o vantaggi, ma che “purezza” sarebbe il vizio del Potere?) o impuro, cioè per soldi, vantaggi materiali, prestigio, carriera o altro.

La cosa riguarda non solo la Politica, ma qualunque associazione. il meccanismo è il medesimo. Ci si iscrive al Partito o a qualunque club, anche bocciofilo, escursionistico, culturale ecc. con la segreta speranza di arrivare a dirigerlo, o per lo meno di diventare “qualcuno”, di farsi un nome. E se va bene nell’associazione di quartiere, almeno così si spera, perché non passare poi a orizzonti più ampi?

Insomma, la responsabilità di un club, pare a certi individui il primo gradino di un cursus honorum che poi potrebbe portare a gestire il Potere in un grande Partito, poi – chissà – in un Ente locale, e via via su per li rami, tentando infine – se gli altri uguali a te ti hanno giudicato valido (la cooptazione è tipica delle posizioni di basso livello di merito), la professione suprema, quella del Buono a Nulla Capace di Tutto, il Politico. Capace di avere alto prestigio sociale (un tempo, oggi questo benefit è sostituito da privilegi presi d’autorità) e contemporaneamente guadagnare soldi non meritati. Non meritati, perché questi pseudo-politicanti sono spesso i più mediocri individui esistenti, quelli senza arte né parte. Quelli del “vorrei, ma non so, e non posso”. Perciò, come la vita militare era il destino obbligato dei primogeniti nobili e la vita ecclesiastica dei secondi e delle figlie nubili, la storia moderna ha aggiunto una terza categoria, quella del figlio scemo (furbo, però, e senza vergogna) il cui futuro preordinato è la Politica. L’unica attività dell’uomo in cui l’ammissione non è né per titoli, né per esami, ma per la cooptazione reciproca tra gli stessi membri del gruppo di non meritevoli.

Verissimo, sacrosanto. Lo ripeto da decenni. Potete constatarlo tutti. Il sintomo rivelatore? Gente che non fa nulla per diffondere il comunismo-liberalismo-escursionismo-nudismo-jazzismo ecc. tra la gente (che sarebbe la vera, unica ragione sociale del club), però è sempre maniacalmente presente alle assemblee, fa mozioni contro questo o quello, mette in minoranza, si appella ai codicilli più segreti dello Statuto, adisce i Probiviri, fa ricorso, denuncia, perde ore, giorni, mesi, anni di tempo. E’ sempre presenti a Congressi, assemblee, riunioni preparatorie, precongressi, Consigli Nazionali, Direzioni ecc.

Per che cosa? Per nulla. Nel Paese infatti gente così non la vedete, non la notate mai: vivono sempre chiusi tra quattro mura: quelle di una Direzione, di un Consiglio, di una Commissione, di una sede di Partito-Club-Congresso. L’unica cosa che li eccita è la “vita virtuale”, la lotta interna in un club che non esiste, né ha ragione di esistere. Infatti, come recitano tutti gli Statuti o Atti fondativi, quei club esisterebbero solo “se” facessero la propria vera attività: diffondere l’idea tra la gente, fare propaganda, proselitismo, attivismo esterno. Ma per fare questo non avrebbero tempo per seguire le assemblee.

Io li ho sempre disprezzati questi "assemblearisti" e congressisti drogati dal mezzo e indifferenti al fine, che evidentemente non si sono realizzati nella vita reale, nella società, perché non sanno fare (bene) nulla. E così si creano un ruolo fittizio in una micro-società irreale, aliena. Sono, se non il 100% degli iscritti, almeno il 99,9% dei frequentatori tra gli iscritti ai Partiti e Club di ogni tipo e risma. “Cummannari è megghiu ca futtiri” (comandare è meglio che fare sesso), dicono non per caso in Sicilia, dove di questo associazionismo malato, di questo vizio del comandare gli altri senza fare nulla di originale, anziché produrre, agire in nome e per conto proprio, un po’ s’intendono.

A vent’anni, magari, se abbiamo avuto la fortuna di nascere e di formarci idealisti, la partecipazione, l’associazionismo, l’assemblearismo piace, perché lo scampiamo – santa ingenuità – per autentica “partecipazione democratica”. Altrimenti, argomentiamo, come si forma e si manifesta la volontà dei cittadini? Così ci siamo infilati in decine e decine di club, partiti, associazioni, sempre allo scopo di “ridurre i danni” che gli iscritti avrebbero potuto fare. Alcuni club, poi, li abbiamo addirittura fondati. Un solo esempio: la Lega Naturista, che dal 1975 fu il primo club ecologista in Italia, l’unico in Europa ad avere nello statuto tutti i temi originari del Naturismo, dall’alimentazione naturale all’agricoltura biologica, dal no alla caccia alla tutela degli alberi, dalla difesa del paesaggio alle medicine naturali, dall’escursionismo alla cultura del corpo libero e, perfino, per chi lo voleva, al nudismo. Ebbene? Ebbene, scoprimmo anche sulla nostra pelle che, tranne nobili eccezioni, il club attirava i peggiori. I frequentatori più attivi e aggressivi erano quelli a cui la diffusione dei temi naturistici non interessava minimamente, e mostravano attivismo e aggressività non “fuori” del club, ma all’interno, non a favore del club ma contro. Nei casi migliori gli interessava conoscere e farsi conoscere (utilitarismo della vita di relazione, tipici dei club), nei casi peggiori “fare carriera” all’interno dell’associazione, diventando, chissà, magari dirigente, insomma sognando il Potere, il nuovo biglietto da visita. Senza nessuna virtù né originalità, ovviamente. Per fortuna, essendo buon psicologo, bloccavo subito simili personaggi.

Per fortuna gli arrivisti “da club” e i professionisti “da assemblea” si scoprono facilmente. Il sogno dei mediocri, cioè comandare, dirigere, giocare al “monopoli del Potere”, fosse pure in una bocciofila, in un club di jazzofili o di nudisti, e d’altra parte il recitare la parte teatrale del “congressista impegnato”, che “si differenzia dai cittadini semplici”, e dunque discutere o difendere o contestare qualcuno o qualcosa all’interno del club, anziché all’esterno, si rivela facilmente anche all’occhio meno esperto. Basta osservare i partecipanti alle inutilissime assemblee annuali e statutarie di club, associazioni, sindacati e partiti vari. Dove si pesta l’acqua in un mortaio, si discute di nulla, ci si accapiglia per le virgole di un comunicato che nessuno leggerà. Allo scopo, evidente, di scalzare i propri concorrenti interni per il Potere. Il club, la bocciofila, il partito diventa un microcosmo, la rappresentazione simbolica della società aperta, un hortus conclusus, un cortile riparato, senza i rischi del campo aperto. Senza, sia ben chiaro, che si sia fatto nulla nella società vera, tra la gente, dove vigono magari regole più strette sulla concorrenza nel merito e nell’intelligenza.

E quasi sempre in giacca e cravatta, sudando, o fumando, magari in una bellissima domenica dall’aria frizzante. Quando si potrebbe approfittare per camminare per parchi, boschi e montagne, e respirare l’aria che chiarisce le idee, e cominciare a vivere la vita vera.

IMMAGINE. Bella questa tempera, vagamente alla Guttuso, trovata su Google immagini senza il nome dell’autore, che ci piacerebbe riportare per attribuirgli il dovuto omaggio. Con l’occasione stigmatizziamo il malcostume di chi mette su internet opere pittoriche senza citare l’artista.

JAZZ. Chet Baker, il trombettista legato al periodo, allo stile e alla sonorità cool, erede in questo del “secondo Miles Davis” (e forse anche di Lester Young, Bix, Joe Smith e di tanti bianchi e neri), in My Old Flame, un brano molto riuscito che faceva parte della sua tournée italiana dei primi anni 60 (“Chet Baker in Milan”), accompagnato da musicisti italiani, tra cui Gianni Basso e Franco Cerri. Poi lo ascoltiamo in un lungo assolo a tempo veloce in Walking del 1983. Infine con Gerry Mulligan, in un’altra versione, cantata, di Walking.

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