ELISIR. Manca l’olio: usiamo le foglie di olivo. Curano più delle foglie di fico?
Il suo principio attivo è la oleuropeina, un polifenolo che è anche un glucoside amarognolo, che - dicono i siti pubblicitari - previene e cura tutto, dall'aterosclerosi alle micosi.
Troppa grazia, S. Antonio. Di solito, quando è tutto, è niente. Ma si sa, ricchezza, nobiltà e pubblicità: metà della metà.
Intanto almeno una malattia la cura: il vezzo provinciale – subito fatto proprio da quei provincialotti che sono i Politici italici – di chiamare l'albero dell'olivo "ulivo". Ma i nomi sono le cose, e un errore nei nomi vuol dire: se nessuno ha controllato neanche i nomi (che è facile), figuriamoci gli uomini e i programmi (che è più difficile). Perciò cadde Prodi.
Per carità, non voglio equiparare questo geniale ritrovato a un intruglio da fiera di paese del ciarlatano Dulcamara, anzi non dubito che possa essere un impiego alternativo per i proprietari di olivi del Salento colpiti dalla xylella.
Mi permetto, però, una piccola critica lessicale: perché lo chiamano un esempio di "nutraceutica", pessima parola inventata dai soliti americani per le sostanze alimentari che hanno valore bioattivo e farmacologico? La nutrizione non c'entra nulla, nessuno mangia foglie di olivo, neanche in una parola composta: siamo invece nel più classico campo della fitoterapia.
Piuttosto, è una Nèmesi: ora che l'olio manca, almeno le foglie riscattano questo antico e nobile albero. In quanto alla fondatezza delle sue proprietà, vogliamo sperare, l'infuso toccasana avrà sicuramente un minimo di letteratura scientifica di supporto, almeno in teoria e sui soliti poveri ratti.
In quanto agli Umani non li vedo consumare foglie di olivo, anzi a stento se le trovassero su un tavolo saprebbero distinguerle da quelle del leccio. A parte i coltivatori, solo i cattolici sono a tu per tu con le foglie dell'olivo, perché una volta all’anno gli vengono propinate dai preti imbroglioni come "palma". Solo che le palme si sprecavano in Israele 2000 anni fa, mentre in Europa, anche per colpa del punteruolo rosso, sono più rare, e guai a chi le spoglia. La Chiesa Apostolica Romana ha quindi pensato in alternativa all'olivo. Una fronda vale un’altra nella botanica celeste!
E che dire degli Umani della varietà Italicus? Con le foglie hanno un pessimo rapporto. Tranne i Napoletani, che per "fogghia" intendevano il loro vero cibo principale, prima dell'infatuazione tardiva per i maccheroni e per la pizza, sedicente "napoletana": i cavoli. Gli Italici, del resto, sono famosi per gettare le utilissime e potenti foglie di ravanello ricche di glucosinolati consumando solo le sue blande radici rosse, e per ignorare a tavola le foglie di carota e di crescione. Insomma, di foglie - mangerecce o no - non capiscono un’acca. Bravissimi, invece, in caso di vergogna, nell’usare le foglie di fico.