14 gennaio 2016

BENIGNI. Dalle stalle e bestemmie al Papa: che cosa non si fa per fama e soldi.

EXIT. Sì, proprio così: Roberto Benigni, proprio lui, l’attore, il guitto toscanaccio famoso per le sue stalle (vi ricordate “Tele-vacca”?) e le bestemmie, è scomparso, non c'è più, è morto.
Divertente, graffiante e ben scritto (be', sono toscani) il necrologio satirico di "Lercio". Da prendere, però, molto, molto sul serio. Sicuramente, il Benigni che conoscevamo è defunto. Ucciso da quale morbo? Dall'opportunismo (vulgo: fama e soldi). Questo Benigni sarà bravo quanto vi pare, ma ha tradito se stesso e i modi, insomma la cifra stilistica che lo aveva consacrato come attore originale. Quel che è certo è che se avesse preteso di cominciare la sua carriera con Dante o i Comandamenti, sai quante volte sarebbe stato cacciato a pedate dagli impresari?... Comunque non sarebbe mai arrivato alla fama e ai soldi di oggi. Poi, d'accordo, si è evoluto, è maturato, ha studiato. Ogni attore lo fa. Ma far finire le sue bestemmie in Gloria, cioè arrivare addirittura a presentare il libro d'un Papa, per un comico-contadino irriverente e volgare che odorava di stallatico e bestemmiava a tutto spiano, è un dietro-front troppo stridente. Perciò siamo seriamente d'accordo con "Lercio".
Questo, a essere buoni, è un altro Benigni, non lo riconosciamo più. Così, egli stesso disconosce la propria unicità, pone termine a una originale carriera. Di comici di provincia sporcaccioni e scurrili ce n'erano pochi, nonostante i successi che la plebe di Roma antica riservava allo scurra, l'attore di origine etrusca che aveva il ruolo del buffone. Mentre di attori servili e baciapile ce n'è tanti, troppi.
Eppure il furbo Benigni ha deciso di iniziare un'altra carriera. Stavolta niente gavetta: parte già dall'alto della notorietà e va solo in discesa. Grazie tanto, così son bravi tutti! A fare le cose che fa adesso, sai quanti attori, ma anche quanti semplici parroci e predicatori, sarebbero bravi come o forse più di lui, e pure con una migliore presenza scenica e un minor costo per la collettività? Ma allora, perché accontentarsi della (costosissima) copia d'un parroco di campagna, quando gratis potremmo avere l'originale?

Ma vediamo il gustoso ed elegante necrologio di Chiorbaciov su "Lercio":
ADDIO A ROBERTO BENIGNI, STRONCATO DA UN MALE INCURABILE: ALLA COERENZA
"Gennaio non è ancora giunto a metà che è già diventato un funereo mese segnato dalla perdita di grandi personalità che hanno accompagnato e spesso ispirato la nostra vita.Dopo la scomparsa di David Bowie, infatti, ci ha dolorosamente lasciati un’altra stella luminosa del firmamento artistico mondiale: la vena satirica di Roberto Benigni, definitivamente spirata ieri dopo anni di lenta e tormentata agonia, iniziata con Pinocchio, proseguita con l’esegesi dell’Inno di Mameli, peggiorata dalla lettura in Eurovisione del bugiardino del Peridon, e misericordiosamente terminata, infine, nella presentazione del nuovo libro-intervista di Bergoglio. Il comico toscano lottava già da tempo con un brutto male alla propria coerenza: sviluppare altri monologhi caustici contro la morale imposta che l’hanno guidato a sparare battute sul segno della croce alla Bill Hicks e che negli anni ‘70-‘80-‘90 hanno portato migliaia di persone ad eccitarsi sessualmente con la sua foto con Berlinguer in braccio, alla stregua di un film di Emanuelle o di una copertina di Fausto Papetti, oppure arrendersi alla vittoria di un Premio Oscar e diventare capo comico-spirituale dello stesso spropositato numero di persone che paga monete sonanti per andarsi a vedere Checco Zalone al cinema? Purtroppo, come ben sappiamo, ha vinto la seconda opzione.
Il triste annuncio è stato dato da una solennemente inespressiva Nicoletta Braschi sul profilo facebook ufficiale de L’Osservatore Romano, a margine di un’intervista dal titolo Cristo avrebbe amato le battute sulle stigmate?.
Sono in molti a piangere, e non da oggi, la prematura scomparsa della verve mordace dell’amato toscanaccio. Ma noi continueremo a ricordare con rabbia e affetto gli oltre due minuti di sproloquio osceno di Mario Cioni in Berlinguer ti voglio bene, piuttosto che la lettura dei Dieci Comandamenti in perfetto stile da chierichetto.
Addio Roberto, a Dante spiacerà aver già scritto il suo capolavoro, perché ora l’inferno con il vero te e il Monni sarà ancora più divertente". (Chiorbaciov, Lercio, 13 gennaio 2016 )
Insopportabile, poi, per uno che il Potere lo contestava, fosse il Papa dell'epoca (Giovanni Paolo II, chiamato "Woytilaccio") o il Governo, l'attuale vicinanza di Benigni al Governo Renzi, tanto che ha approvato la discutibile riforma costituzionale proposta , ed è stato chiamato a consulto a palazzo Chigi insieme con altri registi premi Oscar per una nuova legge sul cinema. Tutto questo fa scrivere frasi amare al suo vecchio estimatore e conterraneo Andrea Scanzi, in una nota sul Fatto Quotidiano:
BENIGNI, QUEL CHE RESTA DI LUI
"Leggo che Benigni, quello che anni fa in tivù recitava i suoi sermoni laici sulla sacralità della Costituzione, voterà sì al referendum che vuol sancire lo sfascio della Costituzione di cui sopra: quando si dice la coerenza.
Caro Roberto, ti ho voluto bene, e tutto sommato sempre te ne vorrò, perché certe tue cose resteranno: dal Cioni Mario a tutti gli Ottanta, fino al tuo ultimo apice La vita è bella. Siamo pure concittadini, e fino a un certo punto ce l’hai avuto eccome quell’approccio da guastatore toscano, da provocatore sboccato: da pazzo tanto esilarante quanto (in realtà) lucidissimo. Per carità: non potevi fare sempre la stessa cosa, e mettersi a toccare la “patonza” della Carrà a sessant’anni sarebbe stato un po’ ridicolo. Lo so. E pazienza – voglio essere buono – se un tempo prendevi in braccio Enrico e poi Mastella. Pazienza.
Qui però non siamo più all’incendiario che si fa pompiere: siamo al satirico che si fa mesto turibolo del Potere. Siamo al guitto che rinuncia totalmente al suo ruolo: e questa, per un artista, è la colpa più grave. Perdonami, ma vederti passare da “Berlinguer ti voglio bene” a “Renzi mi piaci tanto”, o dal “Woytilaccio” che fu all’attuale “Volevo fare il Papa da grande”, mette una tristezza che non hai idea. Lo scrivo con dolore, senza dimenticare l’affetto e la gratitudine, ma in tutta onestà era difficile per te invecchiare peggio di così. Peccato. (Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2016).
Ma Benigni, sedotto dal successo e dal Potere, ha cambiato idea anche sui temi politici. Aveva fatto trasmissioni intere, per esempio, sulla tutela della “Costituzione più bella del Mondo” e si era perciò espresso per il “No” sulla sua riforma. al referendum di ottobre. Ora, invece, convertito dal conterraneo Renzi, ha detto che voterebbe “No” solo col cuore, perché – certo – è una riforma scritta male, pasticciata, che stravolge il testo del 1948 ecc., ma “Sì” con la mente, cioè in pratica, perché «sempre meglio questa che il nulla». «Il “nulla”?», ha obiettato sarcastico Travaglio il 2 giugno 2016, in un dibattito per il 70.o della Repubblica. «Il nulla per Benigni ora sarebbe proprio “la Costituzione più bella del Mondo” che ha sempre lodato! Un caso di dissociazione grave». Tanto può la seduzione della notorietà, del successo, del Potere! La satira non glielo ha perdonato. Altro che Johnny Stecchino - ha parodiato Vinegars (v. locandina a fianco)- ora abbiamo il "Johnny Lecchino".

JAZZ. Una registrazione video-audio dal vivo della Rai al Music Inn, la mitica e ormai scomparsa cantina jazz di Roma, diretta da Pepito Pignatelli e dalla moglie “Picchi”, che negli anni 70 e 80 ospitò ogni sera grandi musicisti stranieri e italiani. Qui suona Chet Baker accompagnato dal flautista belga Pelzer e da un ottimo trio italiano: Chet Baker (tp), Jacques Pelzer (fl), Amedeo Tommasi (p), Giovanni Tommaso (b), Bruno Biriaco (dr). Roma, Music Inn, 19 gennaio 1976 (24 min). I brani: "Love vibrations" (Horace Silver); "Heath's health", "Stellar" (Chet Baker); "Deep in a dream" by Eddie DeLange, James Van Heusen (CB, voce); "This is always" (Mack Gordon, Harry Warren) (CB, voce); "Blues for Amedeo" (Amedeo Tommasi).

AGGIORNATO IL 4 GIUGNO 2016

01 gennaio 2016

CAPODANNO. La retorica dell’anno “nuovo” e l’ipocrisia delle ricorrenze.


Doversi divertire a comando e a data fissa (Saturnali e altre feste pagane ieri; Capodanno, Carnevale, Calendimaggio, Feste della Mietitura, Ferragosto ecc. oggi), come anche rispettare le “feste comandate”, religiose o no, dal Natale alla Pasqua, al I Maggio, è considerato un conformismo, certo, ma doveroso in qualsiasi società unita e solidale, sia antica sia moderna, tanto più che riguarda un breve periodo o un tema futile. E invece, riteniamo che proprio perché richiesta in occasioni di nessuna importanza, questa ipocrisia delle ricorrenze debba oggi risultare odiosa a qualunque spirito libero e individualista.
      Cade come mistificazione banale il mito speranzoso e illusorio dell'anno "nuovo", la più antica delle stupide convenzioni. Come se il Tempo procedesse a scatti, e si facesse di un semplice gruppo di mesi – anch'essi discutibili – una sorta di unità personificata, deificata ("Vediamo che cosa ci porta il 1900”, oppure il 1935, oppure il 2000, comunque il "Nuovo Anno", dicevano e dicono i giornali. Mentre, semmai, siamo noi a portare a noi stessi qualcosa. Naturalmente cade anche il rito ipocrita del Capodanno che sa tanto di superstizione mondana, pretesto per rinsaldare amicizie traballanti e falsissimi auguri. E ricorda tanto anche gli insopportabili e stucchevoli propositi infantili da catechismo ("L'anno prossimo prometto di essere più buono"), i trucchi degli antichi Re-sacerdoti per illudere il popolo con una speranza d’un periodo futuro ma prossimo di felicità, le sempre smentite promesse da marinaio dei politici di Governo ("Nel 2016 abbasso tasse, deficit, PIL, speranza di vita, tutto! O vvia! Altrimenti ditemi che ssono un bischero!"). Ma anche i pretesti per attirare lettrici speranzose e facili alle illusioni (su “Donna Moderna”, e figuratevi quella arretrata: "Sarà fortunato il 2016?" Indovinala grullo).
      Certo, per servire, serve. Ma a chi, in fin dei conti? Serve alle finzioni utili e comode di almeno quattro categorie di furbi abituati a mistificare: Religiosi, Ragionieri, Politici e Statistici, che senza il Mito dell'anno Nuovo sarebbero più felicemente apicoltori o raccoglitori di fragole di bosco. E sì, perché le aberrazioni causate da questa pratica divisione artificiale non si contano. A causa della finzione della divisione in anni, può anche accadere che uno sia considerato povero un anno e ricco l’anno dopo, o viceversa; oppure che in un anno appaiano misteriosamente 45.000 morti in più, una vera strage da Grande Guerra. Che cosa non fa la statistica che calcola tutto, com’è ovvio, per anno solare, ma talvolta – può accadere con le lungaggini burocratiche – con un certo ritardo nel riportare i dati locali a livello statistico centrale.
      Ma tra capodanni, date fittizie, festività e altri obblighi sociali bisogna distinguere. A parte le festività religiose, in cui l’essere o no credente in quella religione è o può essere visto come elemento determinante del comportamento conformistico o no (e quindi in qualche modo spiegabile e tollerabile), o le ricorrenze civili e politiche (p.es. in Francia il 14 luglio, presa della Bastiglia, o in Italia il 2 Giugno, festa della Repubblica, o il 20 Settembre ricorrenza della presa di Roma, a Porta Pia), per le quali la mancata partecipazione o condivisione è subito ascritta a contestazione politica o non condivisione ideologica, sono le tradizionali, antichissime, ricorrenze “sociali”, né politiche, né religiose, come il Capodanno, paradossalmente le più difficili da non rispettare. Perché da sempre si usa considerare l’inizio di un nuovo anno, comunque calcolato, il momento della speranza e della proiezione verso il futuro (la Festa della Luce serviva proprio ad affrancare i popoli primitivi dal timore del buio progressivo e senza speranza, con la certezza di poter riprendere con la dovuta intensità allevamento degli animali e lavori agricoli), e perfino l’occasione di un bilancio delle cose fatte, un po’ come si deve fare per legge nelle società commerciali. Come se non ci fosse continuità tra un gruppo di mesi e l’altro e la divisione annuale da convenzionale e nominalistica diventasse reale.
      Non crediamo che questa scansione temporale convenzionale che chiamiamo "anno" abbia molto a che fare con la produttività, l'opulenza, il mondo occidentale e addirittura con il nostro amatissimo, borghesissimo e milanesissimo Carlo Emilio Gadda, perché nessuno contestando il Capodanno vuole contestare la numerazione degli anni nella cronologia della Storia o la redazione dei bilanci dei ragionieri, come pure si diverte a tirare in ballo Alfio Squillaci in un interessante articolo (ma alle persone intelligenti, purché forniscano uno straccio di prova o ragionamento, si deve perdonare tutto).
      Certo è che gli eventi non aspettano il 31 dicembre per verificarsi o per mutare verso, la vita dell'uomo e la Natura essendo in movimento continuo. Il Tempo, come la Natura, non fa salti. La facilità pratica, burocratica, amministrativa che ogni anno, e anche il nuovo, ci procura non deve farci prendere l'unità anno troppo sul serio, né farci dimenticare le piccole e grandi aberrazioni che questa artificiale divisione nominalistica di 12 mesi esatti provoca di tanto in tanto. L'ultima è il paradosso statistico. Se per ipotesi gli uffici di rilevazione locali dovessero tardare a riversare i dati sui decessi della popolazione di alcuni mesi o giorni, ecco che questi dati andrebbero a riversarsi sul nuovo anno e l'Ufficio Centrale di Statistica sarebbe costretto ad ammucchiare molte morti in più in un solo anno, anziché diluirli in più anni. Come probabilmente è accaduto con i 45 mila morti "in più" scoperti all'improvviso nel 2015, come suggerisce Marco Cattaneo in un articolo sul suo blog di Le Scienze. Lo stesso capita normalmente nel computo delle tasse, dei redditi e di altri elementi statistici ed economici. Insomma, è la stessa divisione in anni che provoca distorsioni accanto a innegabili vantaggi.
      Ma torniamo al rito del Capodanno che del mito dell'anno è il simbolo. Nella sua rubrica “Sotto la Mole” che teneva sull’Avanti, il giovane socialista Antonio Gramsci (diventerà comunista nel 1924 con la scissione di Livorno), scrisse il primo gennaio del 1916 una “stroncatura” del Capodanno che è rimasta famosa. E proprio con le argomentazioni che abbiamo fatto poche righe sopra noi che invece siamo liberali. Com’è possibile? Tranquilli, le distanze si riprendono alla fine del suo articolo.
      Infatti, Gramsci all’invettiva fa seguire una conclusione ingenua, propagandistica e, visto com’è poi andata a finire la storia del Socialismo e del Comunismo, anche ridicola. Dunque – conclude in parole povere – è anche per questo rispetto stupido per ricorrenze inutili e fuorvianti come il Capodanno che aspetto il Socialismo, che farà piazza pulita di questi ipocriti modi obbligati borghesi e formali imponendo nuovi valori.
      Ecco il corsivo “Odio il capodanno” firmato Antonio Gramsci, sul numero del primo gennaio 1916 dell’Avanti, edizione torinese (rubrica Sotto la Mole):
«Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.
      Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna.
      E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.
      Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore.
      Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.
      Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati».
Così concludeva Gramsci. Ma si è visto poi, e drammaticamente, quanto la liberazione da qualche festa (forse solo dal Natale e dalla Pasqua, anzi, neanche, perché perfino l’ateo socialista Mussolini, diventato “fascista”, con l’ottuso Concordato con la Chiesa ha permesso di reintrodurre altre festività religiose), sia stata amaramente più che compensata in URSS e nei Paesi satelliti da una miriade di festività “socialiste”, alle quali era obbligatorio partecipare, pena il carcere o l’emarginazione.

IL MITO DELLA PALINGENESI E «L’UOMO NUOVO». Ma, vista la sorprendente speranza di Gramsci per un "uomo nuovo", a partire nientemeno dal Capodanno, cioè dalle feste comandate (il che è una ingenua forzatura, quasi adolescenziale), vediamo di volare più alto per vedere - approfittando dell'occasione - che fine hanno fatto, non solo il Socialismo, ma anche tutte le Ideologie o Rivoluzioni che tendevano a creare un "uomo nuovo" a partire dalle più minute abitudini e scale di valori quotidiane. Una fine mediocre, quando non pessima. Ricordiamoci il tentativo della Rivoluzione francese di eliminare non solo il Capodanno, ma addirittura i mesi tradizionali, sostituendoli con nomi paganeggianti. Certo, i privilegi dei nobili e del clero furono aboliti, ma sostituiti con altri privilegi, forse ancora più irrazionali e ingiusti, come la prepotenza, spesso vera e propria violenza del terrore, dei nuovi potenti "rivoluzionari".
      Per una persona intelligente, un cultore della Storia come Gramsci, non c’era bisogno del proverbiale “senno di poi” per immaginare fallaci già nel 1916 le promesse di palingenesi totale del Socialismo, fino a costruire addirittura un “uomo nuovo”, con diversi stimoli, diverse abitudini, diversa psicologia. Dai Gracchi in poi, rivolte o rivoluzioni sociali c’erano già state nel Mondo, e tutte avevano fallito proprio in questo, nell'aver pensato che l'Utopia fosse un programma realizzabile e giusto di per sé; nel voler essere a tutti i costi coerenti con le parole d'ordine magniloquenti e le aspettative da queste generate tra le persone semplici o gli idealisti dotati di poco spirito critico e pratico.
      Anzi, tutti questi movimenti rivoluzionari, di Sinistra o di Destra che fossero, gestiti a loro volta da “uomini vecchi” (i rivoluzionari), anch'essi uomini del Passato, politici con tutti i difetti dei politici di professione o d’avventura, avevano finito con l’imporre al presunto “uomo nuovo”, in sostituzione dei vecchi obblighi e conformismi, obblighi e divieti addirittura peggiori. Come si è visto nella Rivoluzione comunista sovietica del 1917 e poi nelle contro-rivoluzioni del Fascismo e del Nazismo.
      E oggi? E’ un po' - a un livello enormemente più basso (e mi scuso per il confronto), ma non meno insidioso e pericoloso - quello che viene fatto di pensare delle illusioni palingenetiche dei Movimenti Populistici. Anche se il Populismo dell'Uomo Nuovo era già presente nelle dittature del Novecento. Non riuscì a Gramsci, è vero, ma non riesce neanche a parecchi uomini d'oggi capire al volo la situazione. Eppure, grazie agli esempi della Storia, le utopie e le mistificazioni della Palingenesi dovrebbero trovare gli uomini scettici e vaccinati. Macché. Invece, siamo ancora al Capetto carismatico e alla sua corte! Per esempio, quella degli incompetentissimi politici non-politici del movimento di Grillo (5 Stelle). Qualunque persona di buon senso e studi regolari (dovrebbe bastare la storia studiata bene nei Licei classici) sa già in anticipo che con un approccio simile, dopo un effimero boom iniziale, un movimento è destinato a un rapido insuccesso, o per l'inefficienza o per i comportamenti autoritari e dittatoriali d'un Capo.
      Insomma, altro che abbattere le feste comandate Natale o Capodanno per sostituirle magari con altre ricorrenze obbligatorie! La conclusione di Gramsci è errata oltre che ingenua: lo si può perdonare solo perché Comunismo e Fascismo erano appena agli albori e non avevano ancora preso il potere. Queste promesse populistiche di rivoluzioni, di palingenesi totali da eseguirsi con bacchetta magica politica, oggi sanno di burletta e servono al massimo a turlupinare per qualche mese o anno i tanti gonzi (che, purtroppo, in Democrazia votano) e a far ridere nei bar e nei talk show alla televisione; ma fino all’altro ieri hanno provocato anche morti e distruzioni, altro che “uomo nuovo”! Così è stato non solo per la Rivoluzione francese, ma anche per Fascismo, Nazionalismo, Comunismo. Così è oggi per Islamismo e Populismo: si comincia col sostituire festività e costumi popolari, e non si sa dove si andrà a finire.

IMMAGINI. 1. Un calendarietto offerto dai portalettere per l'anno nuovo 1916, che sicuramente avrà innervosito Gramsci, che proprio in quell'anno scrive il velenoso corsivo sull'Avanti. 2. Vignetta satirica di Altan sulla stupida "felicità obbligatoria" di fine anno e inizio anno nuovo.

AGGIORNATO IL 2 GENNAIO 2017