15 agosto 2017

FERRAGOSTO festa né cristiana né chic ma contadina, dopo duri lavori nei campi

FERIE D'AUGUSTO. Buon ferragosto, certo, ma solo per i nostri contadini di 2000 anni fa. Altro che "feste alla moda", d'importazione recente, snob che più snob non si può, come quella delle stupide zucche svuotate (che spreco!) con tanto di bocca e occhi luminosi intagliati col coltello, solo per mettere finta paura ai bambini (e dare vera gioia ai commercianti), la festa di mezzo agosto è proprio una festa tutta nostra, tradizionale davvero, tipicamente romana e pagana, dell'abbondanza, dei frutti e dei raccolti, del riposo meritato dopo tante fatiche, e perciò, storicizzando secondo valori e psicologia sociale dell'epoca, della felicità.
      Che c'entrano con le Feriae Augusti, ovvero con la meritata vacanza dopo i duri lavori agricoli, così importante da aver dato nome al mese, gli sfaccendati incapaci di tutto del mondo d'oggi, che sembrano approfittare per cogliere ogni pretesto, ogni embrione di moda, per banalizzare tutto, per esprimere il loro conformismo di uomini-massa che ci  tengono, eccome, a mostrarsi integrati nella squallida società dell’ipocrisia, ma soprattutto per praticare il consumismo festaiolo, per buscare a ufo un altro augurio e forse perfino un regalo? Nulla. Del resto, che ne sanno dell'alternanza delle stagioni e del significato della tregua festiva nell'aspra guerra alla fatica che era un tempo il lavoro nei campi?
      E poi che c'entra la Chiesa, che come al solito ha approfittato cinicamente di ogni festività pagana per impossessarsi facilmente di masse di fedeli abitudinari, e quindi ha rubato anche questa festa, facendo coincidere il ferragosto pagano che si teneva ai primi di agosto con l'Assunzione della Madonna del 15 del mese?
      E allora diamo la parola al solo legittimato ad augurare "buon ferragosto" a qualcuno con cognizione di causa, il "cittadino romano medio". Chiamiamolo Marco Terenzio Patercolo, e facciamolo nascere, che so, a Tusculum venti secoli fa. Di professione vignaiolo, olivicultore, apicultore e piccolo proprietario agricolo, insomma un coltivatore diretto. E, com’era tipico di quella evoluta società, dove quasi non esisteva analfabetismo totale, Marco Terenzio era non solo alfabetizzato, ma sufficientemente informato e in grado di pensare, e ben dotato di personalià, un po' come Catone il Vecchio, a differenza delle successive masse becere contadine volute e rese per secoli ignoranti, molli e ottuse dal Cristianesimo, religione dichiarata "dei semplici di spirito". Ebbene, M.T. Patercolo in una riunione con la numerosa famiglia e i vicini alla vigilia delle Feriae Augusti deve aver indirizzato a parenti, amici e compaesani: più o meno questo discorsetto di rito, che con poche varianti si ripeteva anno dopo anno:

«È andato bene il raccolto, amici? Quanto grano avete ricavato quest’anno? E la vigna come sta? Sono sani e forti gli olmi ai quali sono appesi i grappoli?
      E i porci? Parlatemi dei porci: hanno avuto quest’anno ghiande a sufficienza? Quante troie gravide avete contato?
      Qui da noi, dall’altro lato della collina, la siccità ha ridotto il bosco, e soprattutto i frutti succosi, anche quelli che si conservano per l’inverno. Già, l’inverno: i nostri nonni dicevano che domani comincia l’inverno. Eppure siamo al culmine dell’estate.
      Ma se Fortuna vuole e Cerere è contenta, ormai abbiamo finito i lavori. Domani le donne prepareranno il più grande pranzo sull’aia che si sia mai visto al mondo.
      Dieci muli ci vorranno per portare cibo e bevande per centocinquanta lavoranti, giovani e vecchi, uomini, donne e bambini.
      Tanta è la fame e tanta la voglia di divertirsi: mangeremo tutto il giorno, e pure la notte.
      E si ballerà, come sapete, si canterà, ci saranno giochi e scherzi. E, inutile nasconderlo, si sa come vanno queste cose: nasceranno nuovi amori, e l’anno prossimo figli, tanti figli. Ne abbiamo bisogno.
      Ma intanto, domani godiamoci la festa, la Festa di Augusto».

Così avrebbe parlato l'ottimo pater familias e agricoltore romano M.T. Patercolo, se fosse esistito, alla vigilia della grande Festa dell'Estate dedicata ad Augusto, tanto da dare il nome insieme al Ferragosto (Feriae Augusti) e a quello che per noi moderni è l'ottavo mese dell'anno (agosto). Lui sì, poteva capire questa festa e goderla appieno, insieme con la sua gente. Ma gli altri, sia suoi che nostri contemporanei?
      «Gli altri, gli azzeccagarbugli, gli scritturali, i politicanti per interesse, quelli senza arte né parte, i maneggioni ben vestiti che oziano nel Foro alla ricerca di affari loschi alle spalle degli altri e senza lavorare, i grassi liberti arricchiti che si fingono intellettuali, e tutti i mangiatori a sbafo che vivono tutta la vita tra quattro mura, e anche quei furbi fanatici Cristiani che hanno messo il loro cappello untuoso sulla nostra festa, che cosa possono capire, che cosa c'entrano con la Feriae Augusti? E come si permettono di augurarci "buone ferie", loro che in ferie ci sono sempre e senza produrre nulla?».

AGGIORNATO IL 14 AGOSTO 2021